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Mori's Humor Page
Umorismo, facezie, testi letterari curiosi


Poggio Bracciolini
LE FACEZIE

| I - XXX | XXXI - LX | LXI - XC | XCI - CXX | CXXI - CL |

| CLI - CLXXX | CLXXXI - CCXX | CCXXI - CCL | CCLI - CCLXXII |

INDICE DEI TITOLI

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FACEZIE DA CCXXI a CCL

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CCXXI

SI RIPRENDE L'ADULTERIO DI GIOVANNI ANDREA

Giovanni Andrea, dottore Bolognese, uomo di molta fama, fu una volta sorpreso dalla moglie mentre cavalcava su di una donna di casa. Meravigliata la donna del fatto strano, voltasi verso il marito: «Ma Giovanni», disse, «dov'è dunque la vostra sapienza?». Ed egli, senza turbarsi: «In questo buco», rispose, «che è un luogo assai adatto per essa».

CCXXII

DI UN FRATE DELL'ORDINE DE' MINORI CHE FECE
IL NASO AD UN FANCIULLO

Un Romano, che era uomo molto arguto, mi raccontò una storia molto amena, che era avvenuta ad una sua vicina: «Un frate», disse, «dell'ordine dei Minori, che aveva nome Lorenzo, aveva posti gli occhi su di una bella giovine che era moglie di un vicino mio (e ne fece il nome). E volendo andar più oltre, chiese al marito di essere padrino del primo figlio che gli sarebbe nato; e il frate, che osservava di continuo la giovine, s'accorse ch'ella era gravida, e alla presenza del marito, come se fosse un indovino, disse e che essa era gravida e che partorendo avrebbe avuto grande mestizia. E la donna, credendo che egli parlasse di una femmina che doveva nascere: «Anche se fosse una femmina», disse, «io l'avrei graditissima». Ma il frate disse che era cosa più grave, tutto afflitto nel viso, e fece nascere nella donna il desiderio di sapere che cosa fosse; ma quanta maggiore insistenza poneva ella a chiedergli ciò che sarebbe avvenuto, altrettanta ostinazione egli metteva a non dirlo. Finalmente, desiderosa di sapere qual male le sovrastasse, la donna, di nascosto del marito, chiamò il frate e con molte preghiere lo scongiurò a dirle che mostro avrebbe ella dato alla luce; ed egli, sempre dicendo che su questo conveniva mantener il silenzio, finalmente le confessò che avrebbe partorito un maschio, ma senza naso, cosa che è la più deforme nella faccia di un uomo. Spaventata la giovine e richiestolo di un rimedio, annuì il frate, ma le disse era d'uopo stabilire un giorno nel quale egli, per supplire alla mancanza del marito, avrebbe aggiunto il naso al bambino. E per quanto questa paresse dura cosa alla moglie' tuttavia, perché il figlio non nascesse imperfetto, si dié al frate; ed egli, dicendo che il naso non era ancora ben formato, fu spesso con la donna, e le ingiungeva di muoversi perché coll'attrito meglio si attaccasse. Finalmente nacque un maschio e per caso aveva un naso voluminoso; e alla donna, che se ne meravigliava, il frate disse che per far quel membro aveva lavorato troppo; e questo narrò al marito, dicendogli che aveva stimata oscena cosa se il fanciullo fosse nato senza naso e il marito la lodò e non disprezzò l'opera del compare».

CCXXIII

DI UN FIORENTINO CHE DICEVA SEMPRE MENZOGNA

Eravi a Firenze un tale talmente abituato alla menzogna che mai dalla sua bocca usciva la verità. Uno che andava spesso seco e si era avvezzo a tutte quelle bugie, una volta che incontrò il bugiardo, prima che questo aprisse bocca: «Tu menti» gli disse. «Come mento», rispose l'altro, «se non ho detto alcuna cosa?». «Intendevo di dire», aggiunse il primo, «se tu avessi parlato».

CCXXIV

DI UN GELOSO CHE SI CASTRO' PER CONOSCERE
L'ONESTA DELLA MOGLIE

Un tale di Gubbio che aveva nome Giovanni, ed era uomo molto geloso, non sapeva trovar certo modo per conoscere se sua moglie avesse avuto relazioni con altri. E il geloso pensò ad una furberia degna di se stesso, e si castrò, con questo scopo, che, se sua moglie si fosse poi incinta, egli sarebbe stato sicuro del suo adulterio.

CCXXV

CHE COSA UDI' UN SACERDOTE ALL'OFFERTORIO

Un giorno di festa, all'offertorio, un prete di Firenze riceveva i doni che i fedeli sogliono fare; e, come e costume, a chi offriva diceva parole: «Avrete per uno cento e possederete la vita eterna». Un vecchio nobile, che dava un soldo, udite queste parole: «Sarei contento», disse, «se mi si rendesse soltanto il capitale».

CCXXVI

DI UN PRETE CHE PREDICAVA E SBAGLIO' IL NUMERO E DISSE «CENTO»
QUANDO DOVEVA DIR «MILLE»

Nello stesso modo, un sacerdote che predicava a' suoi parrocchiani l'Evangelo, narrava come il nostro Salvatore con cinque pani sfamò cinque mila uomini; e in luogo di cinque mila disse cinquecento. II chierico piano gli disse che aveva sbagliato nel numero, perché di cinquemila parla il Vangelo. «Taci, sciocco», gli disse il prete, «che dureranno fatica credere a cinquecento soli».

CCXXVII

SAGGIA RISPOSTA DEL CARDINALE D'AVIGNONE
AL RE DI FRANCIA

Mi piace di raccontare tra queste facezie anche la mordace risposta del Cardinale d'Avignone, che era uomo di molta prudenza. Quando i Pontefici furono in Avignone, faceansi precedere da molti cavalli riccamente bardati e senza cavalieri per maggior pompa; e il Re di Francia, sdegnato della cosa, gli chiese un giorno se gli Apostoli avessero mostrato tanto splendore; e il Cardinale rispose: «Giammai, ma gli Apostoli vissero in un tempo nel quale anche i Re avevano altri costumi, poiché erano pastori e custodi di armenti».

CCXXVIII

TERRIBILE FATTO AVVENUTO IN SAN GIOVANNI LATERANO

Non per scherzare, ma per far sentire spavento delle scelleratezze, si racconta questa storia mostruosa. In questa quaresima un frate dell'ordine degli Agostiniani predicava al popolo (ed io era presente) e lo esortava alla confessione dei peccati, e narrava il seguente miracolo che gli era avvenuto sei anni prima. Una volta erasi alzato con gli altri a mezzanotte per cantar mattutino in San Giovanni Laterano, e udirono una voce uscire da un sepolcro, dove era stato deposto diciotto dì prima un cittadino romano; e lo udirono più volte; spaventati alla prima, poco per volta si riebbero, poiché il morto diceva che di nulla temessero, che portassero il calice e togliessero la pietra. E fatto ciò, il morto sorse e sputò nel calice l'ostia consacrata che aveva ricevuto prima della morte; disse che era dannato ed afflitto dalle più atroci pene, perché aveva avuta la madre e la figlia e non se ne era mai confessato; e detto ciò, il cadavere ricadde.

CCXXIX

COME FU CONFUSO UN PREDICATORE CHE GRIDAVA MOLTO

Un frate che predicava spesso al popolo, aveva, come è degli sciocchi, uso di gridar molto, e una delle donne che eran presenti piangeva con così alti gemiti che parean muggiti. S'accorse più volte di questa cosa il frate, e credendo che la donna fosse commossa dalle sue parole, dall'amor di Dio e dalla coscienza, la chiamò a sé e la richiese della ragione di quei gemiti, e, se erano le sue parole che le avevano agitato lo spirito, le disse che spargesse pure quel pianto che era cosa pia. E la donna rispose che per il suo vociare e per le sue grida era commossa e dolente; che era vedova e il suo povero marito le aveva lasciato un asino dal quale traeva di che vivere; e che quest'asino spesso soleva, di giorno e di notte, ragliare come il frate faceva; e l'asino era morto e l'aveva lasciata senza pace; e quando udiva le grandi grida del predicatore, simili alla voce dell'asino suo, gli tornava questo in memoria, anche senza volerlo, sì che era costretta a piangere. E così quello sciocco, più che predicante, latrante, se ne andò confuso della sua stoltezza.

CCXXX

DI UNA GIOVANE CHE FU BURLATA DA UN MARITO VECCHIO

Un Fiorentino, già vecchio, condusse in moglie una giovine, che aveva appreso dalle matrone a resistere la notte alle prime violenze del marito, ed a non cedere la fortezza al primo assalto. E rifiutò. E l'uomo, che a navigar per quel mare aveva spiegate tutte le vele, quando la vide così ritrosa, le chiese del perché non fosse docile seco. E la vergine disse che ciò era dolor di capo, e l'uomo, ritirati gli ordegni, si volse sull'altro lato e dormì fino all'alba. La ragazza, quando s'accorse che ei non la cercava, dolente del consiglio che le avevano dato, destò il marito e gli disse che il capo più non le doleva. Ed egli: «Ora mi duole la coda», rispose, e lasciò la moglie vergine com'era. Perché è ben fatto ricevere le cose buone tosto che vengono offerte.

CCXXXI

LE BRACHE DI UN FRATE MINORE DIVENTANO RELIQUIE

Un fatto molto ameno, e che trova luogo fra queste storielle, avvenne tempo fa ad Amalia. Una donna maritata, mossa, come credo, da ragione di bene, andò a confessare i suoi peccati ad un frate dell'ordine dei Minori. Costui, parlando, mosso dal desiderio, fece tanto con la donna, che finalmente la trasse alla sua voglia e insieme cercarono il modo di far la cosa; e si combinò fra di loro che la donna si sarebbe finta malata ed avrebbe a sé chiamato il confessore; con questi è costume lasciar solo il malato, che così più liberamente apregli l'anima sua. E la donna finse una malattia, si mise a letto, simulando un grave dolore, e chiese del confessore, il quale, essendosi tutti gli altri ritirati, rimase con lei e giocò seco più volte. Ed essendo stati molto tempo insieme, entrò alcuno nella stanza, e il frate se ne andò, dicendo che il dì dopo sarebbe tornato a ricevere la fine della confessione. Tornò, e levatesi le brache e postele su1 letto della donna, continuò la confessione nello stesso modo del dì prima. I1 marito, che di nulla sospettava, meravigliato della lunghezza di quel sacramento, entrò nella stanza, e il frate, sorpreso da quella venuta, se ne andò dimenticando le brache; e il marito, vistele, gridò che quello non era un frate, ma un adultero, e andò al priore del convento, protestando, lamentandosi del fatto indegno e minacciando di morte il reo. I1 priore, che era vecchio, calmò l'ira dell'uomo, dicendo che quelle grida tornavano anche a disonore della sua famiglia; che era meglio metter tutto in silenzio e coprire la cosa. E il marito disse che essa era manifesta per modo delle brache e che non si poteva nascondere; e il vecchio trovò rimedio anche a questo; disse che quelle poteano passare per le brache di San Francesco, che, per guarire la moglie, quel frate aveva portate; che egli verrebbe con pompa e processione a riprenderle. Così fu convenuto, e il Priore convocò i frati, e vestiti degli indumenti sacri, colla croce in testa, si recarono alla casa di quell'uomo, presero divotamente le brache, e come se fossero sante reliquie le recarono su un cuscino di seta, e le fecero baciare al marito, alla moglie e a tutti quelli che incontrarono per la via, e con gran canti e cerimonie le portarono al convento e le collocarono nel Santuario fra le altre reliquie. Ma poi l'affare fu scoperto e vennero a Roma inviati di quella città a chieder ragione dell'ingiuria.

CCXXXII

DI UN BREVE CONTRO LA PESTE DA PORTARSI AL COLLO

Andai, di recente, a Tivoli, per vedere i figliuoli che io avevo colà mandati dalla città per causa della peste, e udii là narrare una cosa che non è indegna di riso e di esser messa fra queste fiabe. Pochi giorni prima, un frate, di quelli che vanno attorno (si cominciava già a temere della peste) prometteva di dare un di quei che chiamano brevi da portare al collo, e chi l'aveva non sarebbe morto di peste. Quella sciocca plebe, mossa da questa speranza, spesero i danari che avevano a comprare i brevi e se li attaccarono al collo con un filo. I1 frate aveva prescritto di non aprire il breve che dopo quindici giorni; se l'avessero fatto prima, avrebbe perduta la sua virtù; e dopo aver fatti molti denari, se ne andò. I brevi poi furono letti, per desiderio che gli uomini hanno di conoscere le cose celate; ed in essi era scritto in volgare:

Donne, se fili e cadeti lo fuso
Quando te fletti tien lo culo chiuso.

Questo supera tutte le prescrizioni dei medici e tutte le medicine.

CCXXXIII

DEL CARDINALE ANGELOTTO CUI APRIRONO LA BOCCA
INVECE DI CHIUDERLA

Angelotto Romano, uomo loquace e mordace, non la perdonava ad alcuno. Quando per colpa dei tempi, per non dire per la stoltezza degli uomini, egli fu fatto Cardinale, una volta, come è costume, nel concistoro segreto dei cardinali tacque; e volgarmente si dice che i nuovi Cardinali hanno chiusa la bocca fino a che il Papa, dando loro permesso di parlare, glie la apra. Un giorno chiesi al Cardinale di San Marcello che cosa avessero fatto nel Concistoro: «Abbiamo» rispose, «aperta la bocca ad Angelotto». «Oh», risposi, «era assai meglio chiudergliela con un forte catenaccio».

CCXXXIV

IN QUAL MODO RIDOLFO PRESTO' UN BUON CAVALLO
AD UNO CHE GLIE LO CHIESE

A Ridolfo di Camerino, del quale abbiamo più sopra detto, fu chiesto una volta da un nobile Piacentino un cavallo in dono, che doveva riunire tante buone qualità e tanta bellezza, da non potersene trovar uno sì fatto nelle stalle del principe. E Ridolfo, perché quell'altro fosse contento, gli mandò una cavalla ed uno stallone de' suoi, aggiungendovi che gli spediva quegli ordegni perché potesse con essi fare un cavallo a suo modo, perché come egli lo aveva richiesto non l'aveva. Queste parole insegnano a non chieder cose così squisite, che o siano troppo difficili, o si possono onestamente negare.

CCXXXV

LA CONTESA DI DUE DONNE FA DARE UNA
RISPOSTA DEGNA DI RISO

Una donna di Roma, che io conobbi, che guadagnava la vita col suo corpo, aveva una figlia maggiore molto bella, che aveva dedicata a Venere. Sorta una volta contesa fra lei e una vicina che facea lo stesso mestiere, vennero a ingiurie e contumelie di ogni maniera. E avendo la vicina minacciata la madre e la figlia, parlando di non so quale alta protezione, quella, toccando la figliuola sotto il ventre: «Che Iddio», disse, «salvi e custodisca questa e me; che io disprezzerò le tue parole e le tue minacce». E rispose bene; perché si confidava ad un ottimo patrocinio, nel quale molti avevano diletto.

CCXXXVI

UN PRETE INGANNO' UN LAICO CHE VOLEVA SORPRENDERLO

Un prete era di gran giorno in letto con la moglie di un villano, e questo era nascosto sotto per sorprenderlo. Forse pel troppo lavoro, come caduto in delirio, e non sapendo del villano che era nascosto sotto il letto, saltò su il prete a dire: «Oh! si dispiega sotto i miei occhi tutto quanto il mondo». E il villano che il dì prima aveva perduto l'asino: «Ehi, vi prego», disse, «guardate se in qualche parte non vedeste l'asino mio».

CCXXXVII

DI UN TINTORE INGLESE CHE EBBE UN'AVVENTURA
MERAVIGLIOSA CON LA MOGLIE

Quando io era in Inghilterra, accadde ad un tintore una cosa molto da ridere e che merita di trovar luogo qui. Questi aveva moglie e in casa aveva molti garzoni e serve, e sopra una di costoro gittò gli occhi che più delle altre pareva bella; egli più volte le chiese di venir seco, ed essa alla padrona riferì ogni cosa, e per consiglio di questa accondiscese. Nel giorno e nell'ora stabiliti la padrona andò invece dell'ancella nel luogo segreto ed oscuro; e l'uomo venne e compì l'opera sua, non dubitando ch'ella fosse la moglie; e quando ebbe finito ed uscì, narrò la cosa ad uno de' suoi giovini dicendogli, che se voleva, poteva anch'egli servirsi della ragazza. E quegli vi andò, e la moglie che lo credette il marito lo prese senza dir verbo; e dopo quello andò un terzo, e la donna, sempre credendo che fosse il marito, si assoggettò per la terza volta al sacrifizio. Quando finalmente poté, uscì la donna di nascosto dal luogo e alla notte rimproverò il marito, che verso di lei si mostrava così tranquillo e colla serva tanto acceso da ripetere per tre volte un giorno seco la stessa cosa. E il marito fe' finta di non saperne e del suo errore e del peccato della moglie, del quale egli era stato la causa.

CCXXXVIII

CONFESSIONE TOSCANA CHE FU POI FRANCA

Un tale, che non aveva risparmiato né anche il pudore di sua sorella, venne a Roma per confessar quel peccato e cercò un confessore toscano. E quando glie ne indicarono uno, egli vi andò chiedendo prima di tutto se egli fosse toscano. E quegli rispose che era, e l'altro incominciò la confessione, e fra le altre scelleratezze narrò che un giorno, essendo nella stanza di sua sorella e aveva l'arco pronto, le scoccò una freccia; e il confessore: «Scellerato!», esclamò, «forse hai uccisa la sorella?». «No», rispose l'altro, «ma voi non capite il toscano». «Lo comprendo benissimo, se son nato in Toscana, ora tu mi dici che tesa la balestra saettasti tua sorella». «Non intendo in questo modo», soggiunse, «ma che avevo l'arco teso, che vi posi una freccia e che colpii la sorella». E il confessore: «E la feristi o nella faccia o in altra parte del corpo». «Oh!» rispose il penitente, «voi non sapete parlar toscano». «Ma se ho capito le tue parole»», riprese il confessore; «guarda piuttosto che tu non sia quello che non sa parlare in quel sermone». «Non dico», aggiunse l'altro, «di aver ferita la sorella, ma di aver scoccata una freccia dall'arco teso». E avendo il confessore concluso che non capiva quel che si dicesse, e l'altro ripetendo che egli non capiva il toscano, e rinnovando la storia della balestra e della saetta: «Se non ti servi di altre parole», disse il confessore, «io non arrivo a capire». E l'altro, dopo avere così a lungo tergiversato per il pudore, disse finalmente con parole proprie tutto ciò che aveva fatto. «Ora», disse il confessore, «tu parli toscano a un toscano, e capisco perfettamente», e datagli la penitenza lo assolse. È davvero segno di cattivo animo dimostrare il pudore con le parole, mentre nei fatti si è impudico e scellerato.

CCXXXIX

DI UN COMBATTIMENTO FRA GAZZE E CORNACCHIE

In quest'anno 1451, nel mese di aprile, è avvenuta una cosa meravigliosa fra la Gallia e quella che ora si chiama Britannia. Gazze e cornacchie, schieratesi in aria con acute grida, combatterono accanitamente per tutto un giorno. E la vittoria fu delle cornacchie, e furono trovate morte per terra duemila di loro e quattromila gazze. Vedremo che cosa ci recherà questo prodigio.

CCXL

DETTO GRAZIOSO DI FRANCESCO SU I FIGLI DEI GENOVESI

Francesco Quartente, mercante fiorentino, dimorava a Genova con la moglie e la famiglia; e i suoi figliuoli erano macilenti e di corpo gracile; e i figli dei Genovesi sono invece più forti e robusti. Un giorno un Genovese chiese a Francesco per qual ragione fossero i figliuoli suoi tanto deboli e magri, mentre che per i loro figli non era in quel modo. Ed egli: «La ragione è facile», rispose. «Io faccio i figli miei da me solo, mentre voi altri per farli avete bisogno che molti vi aiutino». Perché i Genovesi, appena hanno preso moglie, vanno subito sul mare e le mogli abbandonate lasciano, come essi soglion dire, alla custodia degli altri per moltissimi anni.

CCXLI

GESTO DI UN FIORENTINO, GIUSTO MA BRUTALE

Uno de' miei amici raccontò una volta che egli aveva conosciuto un Fiorentino, il quale aveva la moglie bella che era perseguitata da molti amatori. E alcuni di quelli, alla notte, sulla via vicino alla casa venivano con le fiaccole a fare la serenata, come si dice. I1 marito, che era uomo molto arguto, spesse volte destato dal suono delle trombe e dai canti, s'alzò una notte dal letto e venne alla finestra con la moglie, e vista la turba degli amanti che facean baccano, con gran voce li pregò di stare un poco a vedere. Tutti a quell'invito alzarono gli occhi, ed egli espose fuori della finestra un arnese molto abbondante, in funzione, dicendo loro, che per quanto essi ne avessero egli ne aveva anche di più per contentare la donna, che era quindi vano ed inutile che si dessero tanto attorno, sperava adunque che non gli avrebbero più dato noia. E questo grazioso discorso li distolse dall'inutile cura.

CCXLII

GRAZIOSA DOMANDA DI UN VECCHIO IMPOTENTE

Un altro narrò una storia simile di un Fiorentino, che era suo vicino, il quale in età avanzata aveva sposata una donna giovine. Questa, Riccardo degli Alberti, giovine nobile e bello, prese ad amare e similmente alla notte con molti sonatori e cantanti sulla via destava l'uomo che dormiva. Questi finalmente andò da Benedetto, che era padre del giovane, e invocata l'antica amicizia, e i servizi che s'eran resi, dopo molti lamenti concluse che e' non s'era meritato che suo figlio lo uccidesse. A queste parole meravigliato il padre rispose che ciò non avrebbe egli mai sopportato e che avrebbe impedito il delitto, e chiese in che modo potesse meglio punire suo figlio. E l'altro: «Tuo figlio è innamorato di mia moglie, e spesso la notte con suoni e con canti desta me e la moglie dal sonno, e per questo avviene che io, sveglio, più di quello che possa, e perché ella non pensi ad altri, debba dare opera seco. E poiché ciò accade assai spesso, così mi mancano le forze, e se tuo figlio non smette, io sono presso a morire». E con questa facezia Riccardo, ammonito dal padre, non gli fu più molesto.

CCXLIII

DETTO FACETO DI UNA CORTIGIANA ALLE
SPALLE DEI VENEZIANI

Ai bagni di Petriolo udii da una dotta persona narrare di una faceta risposta di una meretrice, che non è indegna di essere registrata fra queste facezie. Eravi a Venezia una cortigiana da bassa gente, alla quale andavano uomini di tutti i paesi; uno di questi un giorno le chiese quali fra gli uomini del mondo le paressero meglio forniti. E la donna tosto rispose che erano i Veneziani. E chiestane la ragione: «L'hanno tanto lungo», disse, «che per quanto siano in mare e in lontani paesi, arrivano fino alle loro mogli e fanno loro fare fanciulli». Scherzava in questo modo sulle mogli dei Veneziani, che, quando questi vanno lontano, sono lasciate alle cure degli altri.

CCXLIV

FACEZIA DI UN IGNORANTE CHE CONFUSE I PIU' DOTTI

Molti frati conversavano sulla età e sulle opere di nostro Signore e come Egli al trentesimo anno incominciasse la predicazione. Un tale, che non sapeva di lettere e che era presente, li richiese di ciò che avesse fatto Gesù dopo aver compito il trentesimo anno. E poiché alcuni dei frati tacevano, e altri in diversa guisa rispondevano: «Con tutta la vostra sapienza», soggiunse, «non sapete una cosa che è tanto facile». E domandando quegli che cosa fatto egli avesse dopo il trentesimo anno, disse l'altro: «Entrò nel trentunesimo». E tutti scoppiarono in riso e lodarono la facezia di quell'uomo.

CCXLV

MORDACE RISPOSTA DI UN TALE CONTRO UN MERCANTE
CHE DICEVA MALE DEGLI ALTRI

Carlo Gerio, mercante fiorentino, uno di quei banchieri che seguono la Curia Romana, venne in Avignone, com'è costume dei mercanti che fanno commercio in varie province; poi, tornato a Roma, e in un pranzo di amici, parlando, un giorno fu richiesto del come vivessero i Fiorentini che ad Avignone si trovavano; ed egli rispose che erano contenti ed allegri come matti, perché, soggiunse, a stare un anno in quel paese si diventava matti. Allora un convitato, che si chiamava Allighieri ed era un uomo arguto, chiese a Carlo per quanto tempo fosse egli rimasto in Avignone. E Carlo rispose che solo per sei mesi ci aveva fatta dimora. E l'altro: «Tu hai dunque molto ingegno, Carlo», gli disse, «perché in soli sei mesi hai fatto ciò che gli altri fanno in un anno». E tutti ridemmo del mordace detto di quel tale.

CCXLVI

BELLA RISPOSTA DI UNA DONNA AD UN GIOVANE CHE
ARDEVA D'AMORE PER LEI

Un giovane di Firenze bruciava d'amore per una donna nobile ed onesta, e spesso la seguiva in chiesa o in qualunque luogo ella andasse. E soleva dir con gli amici che e' desiderava di trovar luogo e tempo per dirle poche parole, che egli aveva già pensato e composte. Un dì di festa venne la donna alla chiesa di Santa Lucia, e uno degli amici disse al giovane che era quella l'occasione per parlarle, quando la vedesse andare al santo fonte a prendere l'acqua benedetta. Ed egli, istupidito, come se avesse perduta ogni forza, cedendo agli incitamenti dell'amico, andò vicino alla donna: e dimenticate le parole che aveva pensate, non osava né anche parlare; e poiché l'amico gli ripeteva che era tempo di dirle qualche cosa: «Signora», disse finalmente, «io sono vostro servitore». Alle quali parole rispose la donna sorridendo: «A casa ho abbastanza e anche troppi servitori, che spazzano le camere e lavano il vasellame; perciò non ho io bisogno di voi». E tutti risero e della stupidaggine del giovane e della bella risposta della donna.

CCXLVII

DI UN NOBILE DEL TEMPO DELL'IMPERATORE FEDERICO CHE
AVEVA MOLTA PRESUNZIONE NELLE ARMI
MA CHE NULLA FECE

Quando l'imperatore Federico (che morì a Buonconvento su quel di Siena) pose, come nemico, gli accampamenti a due miglia da Firenze, molti nobili presero le armi per difendere la loro città e uscirono ad attaccare i nemici nel loro campo; un millantatore, di nobile famiglia, montò armato a cavallo e si slanciò di galoppo fuori dalle porte della città, rimproverando la lentezza degli altri, che venivano dietro come se avesser paura, e urlando che sarebbe anche solo andato contro ai nemici. Quando correndo, e buttando le forze in queste millanterie, ebbe trascorso un miglio e vide alcuni che ritornavano coperti di ferite avute dai nemici, prese ad andar più piano e ad allentare il passo. E quando udì le grida dei nemici che combattevano co' suoi concittadini, e vide di lontano la battaglia, si fermò. E quando uno, che aveva udite le sue millanterie, gli chiese perché non si spingesse innanzi e non entrasse nella mischia, egli, dopo essere stato per qualche tempo in silenzio, rispose: «Non mi sento così forte e valoroso nelle armi come credevo». Si devono pesare le forze del corpo e dell'animo per non promettere mai più di quello che si possa dare.

CCXLVIII

DI UN UOMO CHE PER DUE ANNI NON PRESE
NE' CIBO NE' BEVANDA

Temo, che ciò che sto per raccontare non sembri una favola, perché ripugna alla natura e pare che si possa facilmente negare. Un tale, che aveva nome Giacomo, e che al tempo di Papa Eugenio era nella Curia Romana, nel posto chiamato di copista, tornò a Noyon in Francia, che era il suo paese natale, e qui cadde in grave e lunga malattia. I1 mio racconto sarebbe troppo lungo se dovessi dire tutte le cose che egli disse e che gli erano durante quella malattia accadute. Finalmente, dopo molti anni, al sesto anno del pontificato di Niccolò V, tornò alla Curia, per andare al sepolcro di nostro Signore, nudo e povero, perché per la via i ladri lo avevano spogliato; e andò da alcuni della Curia, miei vicini, uomini onestissimi che lo avevano prima conosciuto. E raccontò loro, che già da due anni dopo la malattia non aveva né mangiato né bevuto, per quanto avesse provato spesso. È un uomo magrissimo, ed è prete; ha la mente perfettamente sana, dice l'ufficio, ed io ne ho udita la messa. Molti teologi e fisici hanno lungamente parlato con lui, e dicono che è cosa contro natura, ma talmente stabilita che sarebbe ostinazione non crederla. Ogni giorno vengono moltissimi a vederlo e ad interrogarlo; e si hanno su di ciò diverse opinioni. Alcuni credono che il suo corpo sia abitato dal demonio; ma egli non ne dà alcun segno, e pare uomo prudente, probo e religioso, e anche ora lavora al suo mestiere di copista. Altri affermano che il suo umore malinconico gli sia di nutrimento. Io stesso ho molte volte parlato seco, ed egli crede false queste opinioni; e confessa che ne è più meravigliato degli altri. Ma non venne a questa consuetudine tutt'in una volta, ma a poco a poco. Io mi meraviglierei di più di questo prodigio, se sfogliando certi annuali che copiai in Francia, non avessi letto che similmente ciò avvenne al tempo di Lotario imperatore e di Papa Pasquale, nell'anno 822. Una fanciulla di dodici armi a Commercv, nel territorio di Toul, dopo avere avuta la comunione pasquale, si astenne dal mangiar pane per dieci mesi prima, poi per tre anni da qualunque cibo e bevanda; poi tornò alla consuetudine di prima; ed egli spera di far lo stesso.

CCXLIX

DETTO GRAZIOSO DI UN TALE CHE AVEVA PROMESSO
DI EDUCARE UN ASINO

Un signorotto, allo scopo di rapire i beni di un vassallo, che si vantava di saper fare molte cose, gli comandò sotto grave pena di insegnar a leggere a un asino. E quello rispose che ciò era impossibile, se non gli avesse lasciato molto tempo per educar l'asino a far quella cosa; e poiché i1 signore gli concesse di chieder quanto tempo voleva, così e, chiese un decennio. Tutti lo deridevano perché si era assunto di fare una cosa impossibile, ed egli consolava in questo modo gli amici: «Non temo nulla», diceva, «perché in questo tempo, o io muoio, o muor l'asino, o muore il signore». Con queste parole dimostrò che è saggio trarre alle lunghe e differire una cosa difficile.

CCL

DI UN PRETE CHE NON SAPEVA SE L'EPIFANIA
ERA MASCHIO O FEMMINA

Un amico mio nel giorno dell'Epifania mi narrò di una stoltezza di un certo prete, suo compaesano: «Fuvvi», disse, «un prete che annunziò in questo modo al popolo la festa del dì dopo: «Domani», disse, «veneriamo con molta divozione la Epifania; perché questa è una delle principali feste. Non so davvero se fosse uomo o donna; ma in qualunque modo è necessario osservare questo giorno con la massima riverenza».

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