MORI'S HUMOR PAGE

Umorismo, facezie, testi letterari curiosi

HOME         EX MEIS LIBRIS



 

Poliziano - I detti piacevoli 


 

Caricatura di Leonardo da Vinci

Non esiste un testo con questo titolo pubblicato con il nome del Poliziano (1450-1494). Nel 1548 Lodovico Domenichi pubblicava un libro dal titolo "Facetie e motti arguti di alcuni eccellentissimi ingegni et nobilissimi signori" in cui ammetteva di aver aggiunto alcune facezie ad un libretto di M. Giovanni Mazzuoli da Strada, detto lo Stradino, ricevuto in prestito. E l'attribuzione al Poliziano delle facezie in esso contenute era facile poiché in una delle facezie il narratore annotava che Piero di Lorenzo de' Medici era stato suo allievo. Nel 1929 lo studioso tedesco Albert Wesselski, in base ad accurati studi, confermava che il libretto dello Stradino aveva ripreso un'originaria opera del Poliziano e lo pubblicò, ripulito dalle aggiunte, con il titolo "Angelo Polizianos Tagebuch". I successivi studi non hanno posto in dubbio questa attribuzione.

Il testo ricostruito dal Wesselki è stato pubblicato in Italia nel 1985 da "Editori del grifo" di
Montepulciano, a cura di Mariano Fresta.

1

Lorenzo de' Medici, richiesto di favorire nella elettione de' Signori non so chi alquanto sospetto allo stato, ma huomo a cui piaceva il succo delle vite, e dicendogli chi gne ne parlava: Tu gli farai fare ciò che tu vorrai con un bicchiere di vino, rispose: Che se un altro gne ne desse un fiasco, dove mi troverei io?

2

Cosmo de' Medici, padre della patria, avo del predetto, richiesto dall'Arcivescovo Antonino di favore circa una prohibitione che voleva fare che i preti non giocassero, gli disse: Cominciate a fare un po' prima da voi che non mettano cattivi dadi.

3

Cosmo predetto soleva dire, che la casa loro di Cafaggiolo in Mugello vedeva meglio che quella di Fiesole, perché ciò che quella vedeva era loro, il che di quella di Fiesole non avvenia.
Vedeva meglio: si intende il panorama.

4

Cosmo predetto, essendoli menato innanzi Matteo del Tegghia anchora garzone del Tegghia suo padre, il quale, benché detto Matteo insino all'hora fusse sciocco, come egli è anchora al presente, stimava, dall'amor paterno ingannato, che e' fusse savissimo e molto introdotto nelle studi; hora dimandando Cosmo in che esso studiasse, e rispondendo egli scioccamente che studiava in libris, voltosi al padre, Cosmo disse: Fallo studiare, che n'ha bisogno.

5

Lorenzo di Piero Cosmo predetto, ragionandosi in un cerchio di preti, e dicendogli alcuno che l'huomo non si potea guardar da loro, disse, non esser maraviglia, perché, havendo essi i panni lunghi, hanno dato prima il calcio che altri vegga loro muovere la gamba.

6

Braccio Martelli (Fortebraccio), volendo mostrare che Rinato de' Pazzi era pauroso, non havendo egli voluto giostrare ad una giostra ordinata, disse che lo faceva, perché egli havea paura nell'elmo solo.

7

Puccio d'Antonio Pucci, huomo nell'età di Cosmo prudentissimo, confortando non so che cittadino ad accettare l'ufficio del Gonfaloniere di giustitia in tempo importante, e rispondendo egli che non gli pareva esser tanto savio, quanto a quell'ufficio s'aspettava, gli dimandò se gli bastava esser savio come Cosmo. E dicendo egli che se fusse la metà savio, che egli crederebbe assai bene sodisfare, Oh io t'insegnerò, disse Puccio, a esser più savio di lui. Non hai tu punto senno da te? E dicendo che ne pure credeva havere qualche poco, soggiunse Puccio: Fa dunque ciò che Cosmo ti dice, e harai a questo modo tutto'1 suo senno; il quale accozzando col tuo poco, verrai ad havere il suo e il tuo, e così ad essere più savio che Cosmo.

8

M. Matteo Franco, essendo con Lorenzo de' Medici a camino, et essendogli all'hosteria posto innanzi un vinaccio, il quale 1'hoste diceva esser vin vecchio, disse: A me pare egli rimbambito.

9

Il predetto, stando a vedere a Pisa una disputa, la quale era condotta già al tardi, disse che e' farebbono bene a lasciarla stare, chè non si vedendo lume, l'argomento si verserebbe fuori, e che almeno sedessero, acciò che gl'argomenti non se n'andassero giù per le calze.

Argomento: sta per clistere.

10

Lorenzo de' Medici, essendo in Firenze Leonardo Benvoglienti Ambasciatore Sanese, il quale, trovatolo un dì per un certo andamento ch'era all'hora, gli toccò il polso, domandando come si sentisse; scosso il braccio, riprese il polso al detto Leonardo, dicendo: Questo tocca a fare a me che sono de' Medici, e lo infermo siete pur voi.

11

Ambrogio Spannocchi, ragionando con Lorenzo de' Medici del governo de' Sanesi, gli disse che essi vivono di miracoli.

12

Giovan Francesco Venturi, motteggiando un dì con Lorenzo de Medici delle dame, gli disse questo motto, che non haveva mai havuto niuna voglia, che non se la fusse cavata Lorenzo.

13

Un altro, scrivendo una lettera nella quale faceva mentione di certo vino, disse che egli haveva giallo, non tantum pedes, sed manus et caput.

Giallo era termine usato per indicare il vino andato a male.

14

Messere Agnolo della Stufa, havendo ricevuto dal Duca Galeazzo di Milano una lettera piena di molte offerte, fra le quali erano queste parole, ciò che egli havea era del detto Messer Agnolo, gli rispose così: Ohimè, Signor, non lo dite, chè se qua si sapesse che io fussi si ricco, mi disfarebbono con le gravezze (tasse).

15

Iacopo Pandolfini, essendo ritornato lo Argiropilo in Firenze, il quale si havea levata la barba che prima soleva portare, volendo mostrare che egli non si fermerebbe, disse: Oh, egli non s'appiccò l'altra volta con la barba; pensa come hora s'appiccherà senz'essa!

Doppio senso di barba anche come radice che attechisce.

16

Cosmo de' Medici soleva dire che Francesco Sacchetti, il quale sempre usava con dotti, e non sapeva niente, era come l'arnione che sempre sta nel grasso, e sempre è magro.
Arnione significa rognone.

17

Lorenzo de' Medici, ragionando d'una cena che gli fu fatta, disse che fra l'altre cose che erano in detta casa, dove detta cena fu fatta, il più freddo luogo che fusse era il camino, e '1 più caldo era il pozzo.

18

Martino dello Scarfa, orinando un tratto, e veduto un fanciullo che lui che grassissimo era guardava, voltosi a lui, disse: Se tu lo vedi, salutalo da mia parte, chè son dieci anni ch'io non l'ho veduto.

19

Strozzo a uno che si lamentava che una colonna gli toglieva la veduta di non so che finestra, disse: Ecci un buon rimedio. E dimandando colui: Quale?, rispose Strozzo: Murate questa finestra.

20

Uno, essendogli detto: La Sapienza ha le gotte, perché così si chiamava una donna, rispose: Ella le cominciò ad havere sino al tempo di Cosmo.

La Spaienza era una prostituta; Cosimo de' Medici soffriva di gotta.

21

Un altro, veduto uno che haveva del matto andare in mascara a cavallo, essendogli da un compagno detto: Io conosco costui alla vesta, rispose: E io lo conosco alla bestia.

22

Venendo a Cosmo un Pistolese chiamato lo Sbardellato per acconciarsi al soldo, si vantava che non fuggiva, mostrando in segno di ciò tutto'l volto frappato. A1 quale Cosmo rispose: E anche colui che ti dava nel viso non devea fuggire.

23

Lorenzo de' Medici, vedendo gli sproni al contrario a un Pistolese che si vantava molto d'intendersi di cavagli, pretendendo essergli fatto torto a un palio che un cavallo di detto Lorenzo haveva havuto a Pistoia, lo domandò, quale havesse più volte fatto, o messosi sproni, o corsi palij; e rispondendo che più volte s'havea messi gli sproni, disse: Hor vedi, che tu gl'hai al contrario e potrebbe anch'essere, che tu havessi fatto correre al contrario cotesto tuo barberesco.

24

Bernardo Gherardi, essendo Gonfaloniere di giustitia, rispose a Papa Pio, il quale voleva per boria esser portato dai Signori Fiorentini, come era stato portato da' Sanesi: Santo Padre, meglio è che vi portino quesi vostri capitani; chè noi habbiamo e panni troppo lunghi.

25

Il medesimo a Papa Pio che voleva fare il nipote arcivescovo di Firenze et allegava, che a Roma era stato vescovo San Piero, il quale era forestieri et ebreo, rispose: E però vi fu egli crucifisso.

26

Giovan Antonio da Siena, giovane di ottimo ingegno e famigliare del Cardinale di Pavia, andando un tratto a visitare il Papa ch'era a mensa col Cardinale di Pavia e col (Cardinale) Sanese, fu domandato da quel di Siena, se havea fatto con lui quistione, che non lo andava a vedere più; e rispondendo egli che non poteva fare con lui quistione, perché era tutto di s. S., il Cardinal di Pavia disse: Dunque non sei tu mio? Et egli: Io ho nome Giovan Antonio: Giovanni è di vostra Signoria, e Antonio di Siena. All' hora Papa Pio: Io adunque non ci ho da fare nulla? Rispose il giovane: E Giovan Antonio tutto insieme è di vostra Santità.

27

Bartolomeo Corsini Zoppo detto il Capinocha haveva offeso Puccio, e temendo che una volta, che egl'era sopra le gravezze (incaricato di mettere le tasse), non si vendicasse, gli s'andava raccomandando, dicendogli che non guardasse; al quale Puccio rispondeva che non dubitasse, ma gli dicesse quello che egli voleva di gravezza. Diceva Bartolomeo: Pomma dieci fiorini; et Puccio a Bartolomeo: Tu te la honesti troppo; chè cotesta è una cosa da disfarti. Credette il babbione, e Puccio gli caricò il basto di circa trenta ducati. Venne poi questa risposta quasi in uso di proverbio.

28

Mona Veronica mazzocchiaia (fabbricante di cappucci), domandata da un giovane innamorato che male haveva una sua dama ch'era inferma, volendo honestamente significare ch'ella si corrompeva, disse: Mentre ch'ella si sta, ella fa.

29

Ser Viviano notaio alle Riformagioni, pregato da uno, che in favore di una sua petitione parlasse a qualcuno de' cittadini primi, gli disse: Va et parlane da te stesso; e se tu trovi nessuno che ti dice di no, e io t'aiuterò, volendo mostrare come è facile a Firenze il ben promettere.

30

Un altro, essendogli detto ch'i Fiorentini sono mercuriali, perché da lui hanno apparato il parlare ornato e il fare mercatantie, rispose: E anche il rubbare.

Mercurio era il dio dei commercianti

31

Dardano Acciaiuoli allo arcivescovo Antonino che con la croce era ito alla loggia de' Buondelmonti a prohibire il gioco, disse: Quest'altra volta la porterete in chiasso.

32

Dardano predetto dimandò una forese (campagnola), qual fusse maggior piacere: o menar le calcole (fottere), o cacare, et rispondendo ella, il menar le calcole, disse: Sì, tu Mona Merda, che hai più menato le calcole che cacato.

33

Dardano, accompagnando una donna a Barberino, si scontrò in un cane accompagnato con la cagna, e domandato dalla donna che cosa quella fusse, disse che questa cagna voleva fare un peto, e il cane non haveva voluto. Hora pel camino appresso a un boschetto ella volta a Dardano disse: Ve, io vorrei fare un peto. E Dardano smonta e quivi un tratto menò le calcole, e'1 medesimo modo tenne la seconda volta. Havendo la terza volta colei voglia di fare questo peto, disse Dardano: Se tu cacassi le corate, me non faresti tu più smontare!

34

Santi che non ride, così detto, perché mai non era stato potuto far ridere, andando a vedere la sposa sua, come lei bruttissima vide, cominciò a ridere, e dicendogli essa: Oh, tu ridi?, rispose: Oh chi diavol non riderebbe a veder cotesto cacasangue di viso?

35

Messer Giorgio Ginori appiccava a Prato con le sue mani uno pe' fatti di stato, e dicendogli egli: Deh, lasciatemi dire una Avemaria!, Messer Giorgio pignendolo disse: Va pur giù, dira' la poi!

36

Il Poltrone Cavalcanti e Arrigo Ruccellai erano insieme gran compagni, e sempre giocavano e pappavano, onde non potevano havere uffitio nessuno nella terra; e stimava Arrigo che più semplice era, che ciò nascesse per non essere nel consiglio degli 81 chi lo conoscesse. Avvenne che, trahendosi una volta detti 81, parve ad Arrigo, che fussero huomini da bene, e subito se n'andò a casa del Poltrone, e picchiato l'uscio, et egli fattosi alla finestra, disse Arrigo: Buone novelle! E' son fatti gli 81, e sono huomini da bene; lodato sia Dio che noi saremo hora conosciuti! Rispose il Poltrone: Eihmè, Arrigo, tu non te n'intendi; per noi si farebbe di havere a fare con persone che non ci conoscessero!

37

Ser Giovanni Tinghi prete in Santa Riparata, sendo vecchissimo e tutto canuto, confessava una donna. Avvenne che, facendo esso vista di dormire, la buona donna disse un peccato di che si vergognava, e questo è, che col dito s'era solleticata. A questo desto ser Giovanni la dimandò se ella harebbe consentito a un huomo, se all'hora vi fusse stato, e dicendo ella che sì, rispose il sere: Stato vi fussi io!

38

Ser Piero Lotti passava per la Vigna, onde un ciompo mostrò gli un votacessi col piombino, e disse: Ser Piero, togliete quell'anguilla, et egli: To' quel intingol tu.
Piombino era la palla di piombo legata ad una corda o catena per pulire i tubi

39

Una vecchiarella si confessava che sforzata una volta hebbe a fare con cinquanta saccomanni (briganti), e dicendole il prete che, se 1'era suta sforzata, non era peccato, disse: Oh lodato sia Dio, che io me ne pur cavai la voglia senza peccato!

40

Mino scultore, lavorando una statua di San Paolo a Papa Paolo, l'assottigliò tanto, che gliela guastò. Hora sendo sdegnato il Papa, e narrando questo a messer Battista Alberti, disse detto messer che Mino non haveva errato; chè questa era la miglior cosa che facesse mai.

41

Giostrando un famiglio a sella bassa in Firenze, e non cadendo mai, stimava la brigata, che e' fusse legato. Avvenne che pure un tratto e' fu gittato in terra. Era presente il Signor Lodovico Visconte, il quale, nel fine della giostra dimandato, qual fusse stato miglior colpo che colui havesse fatto, rispose: Quando cadde.

42

Simile fu il motto di Donatello, il quale, dimandato qual fusse la miglior cosa che facesse mai Lorenzo di Bartoluccio scultore, rispose: A vendere Lepriano; imperò che questa era una sua villa da trarne poco frutto.

43

Mandando più volte il Patriarca per Donatello, e non vi andando egli, al fine pur sollicitato, rispose: Di' al Patriarca che io non vi vo' venire, ch'io son così Patriarca nell'arte mia, come esso sia nella sua.

44

Il predetto faceva una statua di bronzo del Capitano Gattamelata et, essendo troppo sollecitato, prese un martello, e schiacciò il capo a detta statua. Inteso questo la Signoria di Vinegia, fattolo venire a sè, fra più altre minaccie gli disse che si voleva schiacciare il capo a lui, come egli haveva fatto a quella statua. Et Donatello: Io son contento, se vi dà il cuore di rifarmi il capo, come io lo rifarò al vostro Capitano.

45

Facendo dar Cosmo collettione (colazione) a un contadino, gli fe' mettere pere moscatelle dinanzi. Hora essendo colui avvezzo a peruzze salvatiche, disse: Oh, noi le diamo a' porci. All'hora Cosmo, volto a un famiglio, disse: Non già noi; levale via!

46

L'Albigotto chiese a Cosmo cento scudi in prestanza per una casa che havea cominciata a murare. Hora parendo a Cosmo che non fusse huomo da poterla condurre, rispose: Io son contento di prestartene dugento, ma serbami all'intonacare.

47

Spadino di Val di Sieve, andando a Fiesole, e sentendo la brigata ramaricarsi di essere stanca, disse: Che diavol fareste voi, se voi haveste recato adosso un barile et mezzo di vino, come ho fatto io?

48

Il medesimo, bestemmiando Dio in gioco, e essendo ripreso, diceva: Io gli do quel che e' vuole.

49

A1 predetto, essendo fatto a una festa Signore, gli fu data in mano per burla una bacchetta sucida, il quale, presala, disse: Al corpo di Dio, che 1'è merdosa! E rispondendo uno: Per Dio, che gl'è indovino, soggiunse: Al corpo di Dio, che non sono; chè se io fussi stato, non 1'harei presa!

50

II Barghella, quando vedeva fanciulli o gettar sassi, o sentiva fare romore, solea dire: O Herode, dove sei tu hora?

51

Un altro soleva dare un quattrino a ogni fanciullo che corresse sù per il muricciolo d'Arno, e essendogli detto: Perché spendi tu cotesti danari a diletto?, rispose: Se un tratto ne cade uno, è bene speso ogni cosa.

52

Viottolo a un che, non si ricordando di non so che, si metteva il dito in bocca, disse: Se e' fusse stato merdoso, tu haresti rotto il digiuno.

53

Un cittadino, essendo preso (catturato) per debito, e volendo farlo lasciare non so chi artificiuzzo (piccolo artigiano) che all'hora era Capitano di parte, disse: Menatemene, chè io ne voglio innanzi ire preso.

54

Il Regola fu molto piacevole pazzo, e dicendogli uno non so che fuor di proposito, disse: Pazzum est, scimunitum est. Hora rispondendo colui: Oh, ecco quest'altro che dice questo medesimo, disse: Oh, credi tu solo esser pazzo in questa terra?

55

Ser Piero Lotti s'havea recato a noia uno che, quando egli diceva messa, sempre innanzi a lui soleva dire: Per omnia secula seculorum. Hora havendo Ser Piero un tratto a dire: Per omnia secula seculorum, e sentendo colui che, per essere innanzi a lui, lo diceva forte, mutato proposito disse: Dominus vobiscum, e a quel tale: Ve, che non ti apponesti (non hai indovinato).

56

Messer Andrea Priore di Lucardo, dimandato da uno: Ecci nulla di nuovo?, rispose: Non, e massime de' panni.

57

Il medesimo, havendo un padre stranissimo, soleva dire: Io sono da più di Christo; chè egli hebbe padre ab eterno, e io harò ab eterno padre, e madre.

58

Un altro, ragionandosi d'un fanciullo che imparava a cantare, figliuolo d'una donna di non molto buona fama, essendo domandato: Come ha egli buona voce?, rispose: Ha miglior voce che la madre.

59

Messer Matteo Franco, essendo in un letto, disse: Se in questa coltrice son penne, elle son di caponi di tre per il paio (di scarso valore, tre al prezzo di due).

60

Il medesimo al guercio: Tu hai gli occhi spaiati: uno a scoppietti, l'altro a calcagnini.

61

Il predetto a un altro: Guata con occhi da spaventar tordi al zimbello.

62

Il predetto: Cimici che parevan capperi.

E: tovaglini che mudano.

Vino che sapea di sedili, non che di botte, e pane che faceva salnitro per le mura.

E: appiccati un "Volsi appigionare" in testa.

E: denti che parevan tavole d'abaco.

E: tu non ti poi arrostare da' moscioni (difendere dai mosconi).

E: un campanile cieco da un occhio.

63

Il detto, mugghiando la gatta, chè gli toglieva 1'orecchie, la gittò fori delle finestre, dicendo: Oihmè, oh io mi voglio innanzi pigliare e topi io stesso.

64

Il detto, dicendo che uno era impazzato, e sentendo da un sciocco dire che non era vero, disse: Aihmè, che sarà pure vero, poi che costui è dal suo.

65

Bernardo Gherardi raccomandava uno per lo squittino (scrutigno a una carica), e menavalo seco, e come forte 1' havea raccomandato, tornava adietro, et diceva pian piano: Guarda che tu non ne facessi nulla per mio detto. E tornato al cliente diceva, non partendosi dal vero: Questa è quella che vale et tiene.

66

Il detto raccomandava un contadino, dicendo: Egli è tutto mio, e colui che semplice era: Egli è vero che io son tutto suo; ch'ogn'anno gli do un cogno del mio vino.

67

Marabotto Manetti d'uno bugiardo che diceva a Lucca che quivi era un cieco che giocava a scacchi, et moveva bene gli scacchi, esso disse: Oh, io lo credo; chè noi habbiamo a Firenze un cieco che, quando gl'è data una lettera, se la stropiccia alla colottola due o tre volte, e poi la legge, come se egli vedesse lume.

68

Lorenzo de' Medici d'un frate che in una disputa non aperse mai bocca disse: Egli è mattugio; e che era cattivo uccellino da ingabbare.

69

Un altro, udendo dire lo Argiropilo che un frate gli havea detto d'un suo capello: Messer Giovanni, questa è picciola gabbia a sì grande uccello, egli disse: E la sua è troppo grande a sì cattivo frate.

70

Un altro, domandato da un Greco in una disputa: Quot sunt genera insaniae?, rispose: Tria: graeca, latina et barbara insania.

71

Giovanni di Cosmo, tornando da Roma, dove era ito per havere un Cardinale Fiorentino, e non l' havea ottenuto, disse: Io andai a Roma per un capello, e honne recata la mitera.

Mitera era il cappuccio di chi era messo alla gogna.

72

Bernardino Cambini detto il Rosso suol dire che suo padre lo lasciò ricco e ghiotto, e che la ricchezza se n'è ita, e gl'era rimala adosso questa cazzata della ghiottornia.

73

A Giovan Francesco Venturi che diceva: Io voglio perdere due anni in studiare, fu un che disse: Coteste non son tue parole.

74

A Braccio Martelli disse Piero Corsivi: Tu non truovi Piatto.

75

Una donna, essendo alle mani con un giovane che voleva che ella si trahesse la camiscia, gli disse: Tu non ne vuoi dunque vedere camiscia?

76

La medesima al medesimo che gli diceva: Tu sei come il pane che mai non viene a noia, rispose: Dunque me l'appicchi tu, perché tu sai, che non de solo pane vivit homo.

77

Dionigi Pucci soleva dire che Giovan Francesco Venturi, per havere sempre qualche faccenda, non ne faceva mai niuna.

78

Lorenzo de' Medici, trovando qualche volta Giovanni dell'Antella, il quale si dice, poi che tolse moglie, non havere mai se non con lei carnalmente usato, solea dire: Ben sia trovato un altro babbuasso come me!

79

Lorenzo Predetto, domandato da Ugolino Martelli, perché si levasse la mattina tardi, ridomandò lui quel che havesse fatto la mattina a buon'hora, e contando egli alcune cose leggieri, gli disse: E' vai più quello che io sognava a cotest' hora, che ciò che voi facevate.

80

La Nannina sorella di Lorenzo de' Medici, comparendo uno che haveva aria di famiglio, il quale volea giostrare co' roccetti (sopraveste sulla corazza) disse: Io aspettava costui con uno scudo di paglia, questo dicendo, perché in quello medesimo anno si faceva una giostra a selle basse, dove solamente giostravano e famigli.

81

Il Vescovo Mariano disse un tratto che la misericordia era arsa, la giustitia ruinata, e la sapienza era in chiasso, perché così è chiamata una nota meretrice.
Item che in Firenze erano solamente due bordelli, uno di qua e l'altro di là d'Arno.

82

Ragionandosi che quando si bee nella giostra d'entro a l'elmo, ne vanno giù mocci, sudore e sangue e altra mistura con l'acqua insieme, disse Antonio Boscoli che se non fusse quello, che l'acqua schietta farebbe lor male.

83

Giuliano de' Medici, ragionandosi di un mercante che non credeva, disse: Guarda, quanto Dio è misericordioso, che patisce che a uno che non vuol credere pure a lui, da ogn'uno sia creduto.

84

Dante, essendo una volta a desinare con uno, il quale era riscaldato dal vino e dal favellare in modo, che tutto sudava, dicendo egli a certo proposito: Chi dice il vero non s'affatica, rispose: Io mi maravigliava ben del tuo sudare.

85

Vedendo uno dalla parte Ghibellina, secondo che scrive Benvenuto da Imola, l'opera di Dante, disse che non era possibile che esso facesse sì bell'opera, se non si fusse fatto Ghibellino, perché, come il Boccaccio dice, di Guelfo s'era Dante fatto Ghibellino.

86

Un altro, essendogli detto a una sua adulatione: Di' un tratto il vero, rispose: E' si vuol dire a chi lo vuole udire.

87

Il Piovano Arlotto dice, che non volle mai essere compare, per non havere a dire Abrenuntio, acciò non fusse chi interpretasse che egli renuntiasse la pieve.

88

Uno disse a un altro: Tu hai tanta superbia, perché '1 grano vai poco.

89

Un pover huomo et ignudo, come haveva un grosso (moneta), lo spendeva alla taverna, e ripreso da alcuni, disse: Poi che Domenedio vuole che io habbia a mostrare il culo, io lo vo' mostrare grasso.

90

Un altro, havendo rappezzato un mantel bigio con una toppa di panno rosato fino, essendone ripreso e dileggiato, disse: Così fusse egli altrove!

91

Messer Andrea Priore di Lucardo, vedendo ridere uno, disse: E' pare un barile che si voti.

92

Erano due che facevano a dire miracoli, e dicendo l'uno che havea veduto un cavolo in un paese che vi stavan sotto mille cinquecento huomini a cavallo, disse l'altro: Et io vidi in un paese una caldaia che la fabricavano cento mastri, et era sì grande che l'uno non sentiva l'altro, tant'erano discosto. E dicendogli il primo: Che diavol volevan fare di cotesta caldaia?, rispose: Cocer cotesto cavolo.

93

Un contadino, domandato che valeva in piazza il grano, disse: Oh, vale un occhio d'huomo. E veduto un fanciullo che passava, che il detto havea solamente un occhio, disse: O, che ti bisognava recare sì gran sacco?

94

Un fanciullo, tornando da Arno con un frugatoio da pesci, fu da un altro domandato d'onde venisse, e egli: Di chiasso, da frugare tua madre. Rispose il primo: Un'altra volta fruga bene sotto, e troverai anche la tua.

95

A uno che si grattava le reni, e parte diceva: S'Amor non è, che dunque è quel ch'io sento?, gli fu risposto: E un pidocchio Amore, perchè morde il padrone.

96

Giostrandosi a questi dì, et essendo caduto un giostrante, fu uno nella piazza che disse: Un bel cader tutta la vita honora.

97

Il Gaviola legnaiuolo e architetto riprendeva non so che disegno di Messer Francesco buffone in sua presenza, e dicendo egli: Voi non ve n'intendete, e siete solamente buon legnaiuolo, chè havete fatto qua sù in palagio la più bella pappolata (porcheria), che mi raccapricciava ogni volta ch'io vedeva portare sù quelle catene con che si legavano gli architravi, rispose: Oh, non ve ne maravigliate, chè ogni pazzo lo fa, quando vede le catene.

98

Il medesimo, havendosi a fare una festa di Santa Catherina di che egli era il giudice, e volendo fare un cherico di buona vista Santa Catherina, del quale messer Antonio da Cercina era geloso, e non lo voleva concedere, truovò questo modo, che Messer Antonio predetto fusse la madre di Santa Catherina, a che facilmente il piovano s'accordò, avvenga che non vi accadesse nella festa detta madre. Hora indi a più anni, havendo Gaviola parola con detto piovano, gli disse: Voi non mi conoscete bene; io fui a tal botta giudice, che voi fuste una vil feminella.

99

Il medesimo piativa con Recco Caponi, e dicendogli detto Recco: Contadino tristo, tu mi credi sbizzarire?, rispose: No, anzi vi voglio imbizzarire; chè così credo haver meglio le mie ragioni.

100

A Lodovico Acciaiuoli, il quale, quando andò padrone in Levante, tornò per terra, essendone da lui ripreso all'opera di non havere servata certa promessa, rispose: Egli è vero, ma non si può sempre osservare le promesse; anche voi, quando andaste padrone, havevate promesso di tornar per mare, e pure tornaste per terra.

101

Messer Otto esponeva a Roma nel concistorio una ambasciata, et essendo dal Cardinale in Portico, huomo curioso, et strano nella dimanda, più volte adimandato che cosa fusse stata quella per che esso havesse mozzo un braccio, seguitava pure la sua ambasciata, dicendo al Cardinale: Testè vi risponderò; e nel processo del parlare indusse a proposito queste parole: Santo Padre, a chi manca una cosa, a chi un'altra: altri nasce senza un pie', altri senza un dito. lo nacqui senza mano, e altri nasce senza cervello. Et in modo accomodò la risposta, che fu inteso il suo proposito.

102

Braccio Martelli, ragionandosi di una donna attempata che si havea a maritare con buona dote, et alcuni dicendo: Ella ha tanto tempo, et altri: Ella n'ha più, disse: Quanto più tempo ha, tanto è miglior la dote.

103

Ragionandosi fra certi che e fichi secchi fanno pidocchi, disse Messer Andrea priore di Lucardo: Oihmè, o dunque messer Francesco nostro da Castiglione ci sarà un eh tolto da loro et portatone in qualche spedale ad devorandum.

104

Messer Matteo Franco, mangiando a una cena non so che pescie cotto col finocchio in corpo, sentitosene una ciocca intera, disse: Io mi sono tutto raccapricciato, perché, sentitomi in bocca il finocchio, non credetti che noi havessimo havere altro.

105

Il detto a uno che diguazzava all'orecchia una mela appione (appiola, rossa), et diceva: Ella suona, essendo a tavola fra huomini da bene in gravi ragionamenti, disse: Egli è vero; ma il fatto sta, dove è il sonaglio, volendo intendere, che egli l'havea nel capo.

106

Ragionandosi qual fusse miglior predicatore, disse il predetto: È quel di Santo Spirito che ha tre uditori, e tutti gli altri ha convertiti.

107

Un altro, ragionandosi che Maestro Antonio Schiattesi grasso predicatore non mandava mai alcuno in inferno, disse: E' fa bene, perché, havendovi a ire egli, sa che non ve ne capirebbono più. E un altro rispose: Anzi per non v'essere riconosciuto da quelli che ammonisce.

108

Braccio Martelli d'una moglie attempata disse: Questa è una moglie da dirle voi.

109

Giovanni Strozzi della detta: Se ella fusse mia moglie, io ordinerei d'andare ogni sera preso (in prigione) per di notte.

110

Francesco della Casa, ridendo di non so che cose piacevoli, e da un altro essendogli detto: Oh tu ridi?, rispose: Oh tu non ridi?

111

Domandava Dante un contadino che hora fusse, il quale rozzamente rispondendogli che era hora d'andare a bere le bestie, gli disse: E tu che fai?

112

Messer Antonio da Cercina domandava un contadino che veniva da Firenze: Che si fa a Firenze? che si dice? Dicci qualche bugia. E egli: Che voi siete un buon huomo.

113

Un nuovo pesce, dicendogli un suo compagno: Andiamo qua per chiesa, rispose: Non entro mai in chiesa, s'io non rappresso la via.

114

Lorenzo de' Medici, tornando da Pisa, veduto uno scolare guercio, si volse a' suoi compagni, e disse: Costui sarà il più valent'huomo di questo studio. Dimandato il perché, rispose: Perché leggerà a un tratto amendue le faccie del libro.

115

Un altro, volendo rimproverare a uno che suo padre era zappatore, disse: Tuo padre non sputò mai in terra, significando che s'era sempre sputato in mano, per tenere bene la zappa.

116

Un ciompo (lavoratore della lana)disse a un altro: Tuo padre havea sempre rottala gonnella dinanzi. Dimandato perché, rispose: Per ricevere e tozzi.

117

Chiedendo licentia Dionigi Pucci a un de gl'Otto per Tarme per un compagno, Braccio Martelli che era a caso presente gli disse: Cotesta che tu porti è bene per un compagno; chè un bisogno ti sarebbe tolta.

118

Diceva uno, parlando di non so chi, che egli haveva più passione che un venerdì santo.

119

Messer Rinaldo degli Albizi havea quattro figliuoli, de' quali e tre n'erano ammogliati, e come buon fratelli facevano anchora delle mogli buona comunanza. Avvenne che'1 minore tolse e menò moglie, e subito fu tentata dal maggiore. La semplicetta fanciulla turbata se ne dolse con la moglie del maggiore, e quella rispose: Oihmè, sta cheta; chè io non so ancora qual si sia il mio!

120

Giovanni di Brunetto lungo favellatore, essendo un tratto in un cerchio da non so chi tagliatogli il ragionamento, disse Bernardo Ruccellai a quel tale: Tu 1' hai punto tagliato fra le due terre, alludendo alle piante che, così tagliate, fanno più lunghe messe.

121

Cosmino figliuolo di detto Bernardo molto fanciulletto, sentendo in casa ragionare di rifare un Pippo Lungo fratello di Giovanni suo avolo, il qual Pippo fu huomo inetto e mal fatto, intendendo questo rifare di por nome Pippo a uno de' figliuoli di detto Bernardo, semplicemente disse: Non rifatelo sì brutto.

122

Sandro Biliotti, huomo bono, ma semplice, e molto amico dello stato di Cosmo, soleva, essendo Gonfaloniere di giustitia, nel proporre qualche cosa usare alcuni termini, e assegnare certe ragioni insegnate molto materialmente. Montava poi su in ringhiera Puccio, e diceva tutte quelle cose che detto Sandro havea voluto dire, sempre premettendo: Come saviamente ha detto messer lo Gonfaloniere. Onde poi diceva a Puccio Sandro: Che dirai tu che io mi piaccio più quando dici tu, che quando dico io?

123

Un gottoso gridava: O Venerdì Santo, quando verrai tu? Domandato della cagione, perché dicesse così, rispose: Chè Christo havrà pure altre faccende che de' fatti miei.

124

Uno, quando il cavallo inciampava, diceva: Diavolo aiutalo! E ripreso da un altro che lo confortava a dire più tosto: Giesu, disse: Tu non dei sapere forse quel testo: Ut in nomine Iesu omne genu flectatur.
(Inteso genu come ginocchio)

125

Un vecchio abbracciava una fanciulla, e ripiegavasegli, e facendo la fanciulla qualche atto, egli disse: Fott'io male? E ella: Guardate pure di non fare male a voi; chè la punta è rivolta verso di voi.

126

Uno chiamato il Bragiacca era stato nelle Stinche (prigioni di Firenze) trent'anni, e havendone sessanta, fu domandato quanto tempo haveva. Rispose: Trent'anni. Uno gli disse: Oh, che di' tu? oh, tu sei stato trent'anni nelle Stinche. Et egli: Non lo faccia Christo ch'io dicessi esser vissuto questi trent'anni, ch'io sono stato nelle Stinche.

127

Galeotto da Narni grassissimo diceva che la moglie haveva con lui doppio piacere in quel fatto: l'uno, quando le montava adosso, l'altro, quando ne smontava. Ma l'abbracciava di rado, perché gli costava sempre dieci ducati per boti (voti) che ella faceva, che egli non la schiacciasse.

128

Maestro Zambino da Pistoia soleva dire che conosceva meglio gl'amici suoi a guardare loro alle mani, che a guardarli in viso.

129

L'Arcivescovo Orlando, successore di Antonino, dolendosi d'alcune cose con Cosmo, e dicendo: Perché non poss'io fare come l'Arcivescovo Antonino? - Se volete fare come egli, disse Cosmo, vivete come egli.

130

Cosmo predetto disse a uno che si lamentava che gl'era havuta invidia: Anaffiala pure bene cotest'herba.

131

Giuliano de' Medici, essendo a Vinegia ambasciadore nel tempo che Volterra s'era ribellata, e che e Fiorentini v'erano a campo, et essendogli da alcuni giovani Vinitiani usate non so che parole circa il mostrare che Volterra non si riharebbe, rispose: Così volesse Iddio per l'affettione che porto a cotesta terra, che cosi steste voi di Negroponte, come noi stiamo di Volterra.

132

Puccio d'Antonio Pucci, ragionandosi in Palagio di fare non so che legge, per la quale s' havesse a rivedere il conto a qualunque per il passato havesse fraudato le gravezze, e aggravargli di nuovo, il che di diretto era fatto per disfare Cosmo, se ne venne a lui, il quale era alle nozze di Piero suo figliuolo. E non potendo a suo modo da lui havere udienza per la festa, gli disse: Be', a Dio, Cosmo, fatte le nozze, te ne potrai ire in villa. Il che subito inteso Cosmo, rimediò al pericolo.

133

Puccio detto, essendo per caso di stato incorso in escomunicatione papale con alcuni altri cittadini, si communicò. Dimandato poi da gl'altri come haveva fatto a essersi assoluto, rispose: Io non mi confesso mai del ben fare.

134

Fu al tempo di Cosmo un matto, chiamato Uguccione, il quale trovatolo in piazza insieme con uno de' Salviati, huomo prudente, ma alquanto infame di sodomia, gli disse: Cazzo in culo. All'hora voltosi Cosmo disse: Dallo qua a costui che se ne diletta. Et egli rispose: Tu sai pur, Cosmo, pigliar piacere de' savi, e de' matti.

135

Essendo de' Dieci Cosmo, e con esso un Giuliano di Particino artefice (artigiano), huomo audace, advenne che detto Giuliano molto caricava (accusava) Cosmo in dire che queste famiglie fanno poco conto de' popolani. Havea Cosmo in mano un bossolo d'ariento da ricorre e partiti (urna per raccolgiere i voti), il quale mandò su per il desco dinanzi a Messer Agnolo Acciaiuoli. Intese male M. Agnolo il cenno, e prese il bossolo per dare con esso nel capo a detto Giuliano, e harebbelo fatto, se non che Cosmo gli tenne il braccio. Hora dicendo poi a Cosmo: Se tu m'havessi lasciato fare, io gl'harei dato sul capo, rispose Cosmo: Egl'era qui fra noi un pazzo, e sarebbesi poi detto che e' ve ne fussero stati due.

136

Avvenne che un tratto la Signoria s'azzuffo, la qual cosa dicendo Cosmo a Puccio, e dimandando del remedio, rispose Puccio: A me pare di dare a ognuno di loro la polizza d'un Gostanzo, il quale, medicando a Roma di mal di petti, havea nella scarsella di molte polizze (ricettee), le quali dava a chi della infirmità chiedeva consiglio; nelle quali era scritto: Guardalo da carne e vino, e dagli latughe e farferelli, mostrando per questo che e detti Signori facevano questa pazzia per havere troppo buone spese.

137

Essendo Messer Rinaldo de gl'Albizi de gli usciti di Firenze, mandò a dire a Cosmo che la gallina covava. Risposegli Cosmo che mal poteva covare, essendo fuor del nido.

138

Dicesi che Messer Rinaldo predetto impazzò una volta, onde consigliandosi con alcuni una semplice donna che haveva un figliuolo impazzato, che rimedio fusse a guarirlo, fu mandata al detto Messer Rinaldo. La donna, trovatolo, gli disse: Messere Rinaldo, io ho inteso che voi impazzaste una volta, e però vi prego che voi m'insegnate come voi faceste a guarire; perché io ho un mio figliuolo impazzato. Intesa M. Rinaldo la semplicità della donna, rispose: Oihmè, buona donna, non fate; chè io non hebbi mai il più bel tempo, che quando io era pazzo.

139

Saviamente rispose Cosmo al Cardinale di Tiano mandato dal Papa per danari in aiuto dell'impresa che faceva contr'al Turco, contando questa novella: che e' fu una volta un Re d'Ungheria, il quale, facendo impresa contr'al Turco, pose molte gravezze, et venuto alle mani, fu subito rotto. Il quale, maravigliandosi, di nuovo fe' impresa, e radoppiò le gravezze, e di nuovo fieramente fu rotto. Avvenne che, essendo quivi un Cardinale legato del Papa, come siete hora voi, Monsignor, gli fe' celebrare una messa. E come fu 1'hostia sacrata, rizzossi che inginocchioni si stava, fe' restare il sacerdote, e prese in mano l'hostia (perché essendo re, potea toccarla come quello che è sacrato) inginocchiatosi disse: Signor mio, io non mi leverò mai di qui fino a tanto che tu non mi riveli, qual si sia la cagione che, andando io con tanta fede contra a' nimici tuoi, sia due volte stato rotto. All'hora senti una voce che disse: Fa col tuo, et harai vittoria. Inteso il Monsignore quel che la novella importava, rispose: Meritamente, Cosmo, tutto il mondo vi stima savio; e distesosi più oltre, venne con esso in buona compositione.

140

Cosmo predetto ammoniva un contadino, chiamato Betto Gherardini, che non andasse dietro a brighe, il quale diceva che non havea se none un inimico. Rispose Cosmo: Aihmè, cerca in ogni modo rappacificarlo, perché a ogni grande stato uno inimico è troppo, e cento amici son pochi.

141

Messer Bartolomeo medico Pistolese, huomo singolare, essendo per torre moglie, et essendogli messe innanzi due donne: l'una che gli dava poco dote, ma era savia, l'altra che non sendo tanto savia, gli dava 300 ducati di dote più che l'altra, rispose che dalla più pazza alla più savia donna del mondo non era un granello di panico, e che non voleva questo granello comprarlo 300 ducati.

142

Il sopradetto, dimandato perché in vecchiaia haveva tolta moglie, disse che a' vecchi comincia a mancare il senno, e che, mentre fu giovane, e di buon sentimento, se n'era guardato; poi vecchio, come men savio, vi era inciampato.

143

Soleva dire Cosmo che non si vuol mai impacciare con pazzi, perché sempre o fanno altrui villania o ne dicono.

144

Cosmo a un dotto, ma cattivo e pazzo disse: Tu hai troppo buon vino a sì cattiva botte.

145

Havendo tolto un parente di Maestro Bartolomeo da Pistoia una moglie picciola e minuta, detto mastro Bartolomeo lo commendò dicendo che della moglie quanto meno se ne toglie, tanto meglio è.

146

Cosmo, essendo per andarsene in essilio, disse a messer Palla: Hodie mihi, cras tibi.

147

Gino Capponi, mandandogli Messer Giovan Gambacorta a dire che tosto gli darebbe morti e principali cittadini di Pisa, rispose che voleva gli huomini, e non le mura.

148

Essendo Puccio sopra '1 porre le gravezze, venne a lui Giovanni Benci, mostrandogli un libro che diceva essere stato suo, il quale libro haveva più creditori che debitori, il quale conosciuto, Puccio glielo rendè, dicendo: Multa signa fecit Jesus, quae non sunt scripta in libro hoc.

149

Poi che Papa Ianni (Giovanni XXIII) fu deposto, Papa Martino ad instanza dé Fiorentini lo fe' Cardinale; onde nacque un motto d'un Pistolese, il quale, domandato: Che novelle da Firenze?, disse: Che '1 Papa è fatto Cardinale.

150

Diceva Cosmo che si dimenticano prima cento benefici che una ingiuria. E chi ingiuria non perdona mai. E che ogni dipintore dipigne sè.

151

Cosmo a uno che gli diceva, come un gran beneficio, che quando gl'altri misero innanzi che fusse morto, non vi s'era trovato, e che non haveva fatto nulla, rispose: Il bisogno mio era che tu vi ti trovassi.

152

A Mariotto Baldovinetti che in un suo bisogno gli ricordava essere stato cagione, che non gli fu tagliata la testa, perché era de' Signori, disse: Se tu non m'havessi messo in quel pericolo, non ti sarebbe bisognato poi trarmene.

153

A uno che gli chiedeva d'esser de Signori, dicendo che non era mai stato contra lo stato, e che sempre si stava in Santa Reparata, rispose in questo modo: Cosi si vuol che tu faccia, stavviti; perché v'è buona stanza, perché di state v'è freddo, e di verno caldo.

154

Mostrando un Duca di Milano a uno ambasciadore Fiorentino molti ducati, il detto ne prese alcuni in mano, e disse: Questi sono una bella cosa, e son tutti col conio nostro; hor pensate, quanti n' habbiamo noi che gli battiamo.

155

Facendosi Papa Pio portare, e usando molt'altre cose ambitiose, n'era detto per tutto male, ma Cosmo diceva che Papa Pio era prudente, e che, volendo che per tutti si conoscesse che egl'era Sanese, non trovava miglior nè più breve modo, che l'essere borioso.

156

Dicendosi da alcuni Sanesi che in un certo caso occorso i Fiorentini havevano perduto il cervello, disse Cosmo: E' non lo possono perdere già essi.

157

Essendo Messer Agnolo della Stufa ambasciadore a Rimino con un capuccio, a l'usanza di quel tempo, grande e spatioso, parve a' Riminesi cosa strana, perché essi vanno di bel gennaio in zazzerina, e sempre non di meno hanno fasciata la gola. Et uno detto Marcovaldo un di che gl'era sula sala del Signor Gismondo gli disse: Messer Agnolo, voi devete havere il capo molto freddo. A cui Messer Agnolo: Io ti dirò, perché noi ci coprimo così il capo: Voi siete di schiatta d'oche che stanno sempre tra pantani a capo alto, e non curano di nebbiaci, e questo è ché non ci è nel capo loro midollo. Ma noi che havemo cervello, lo volemo conservare, e coprire molto bene. All'hora la brigata, inteso il veleno dello argomento, tutti s'accordarono che non si voleva stuzzicare Fiorentini.

158

Essendo dal Re di Francia e dall'Imperadore richiesto il Duca di Borgogna di fare lega con essi, fe' questa risposta: E' fu una volta richiesta la lepre di fare lega con l'orso e col Lione; e la lepre, pensando alle loro qualità, deliberò non la fare, dicendo: Costoro è vero che son maggiori di me, ma a loro bisogna cercare da mangiare; a me non mancherà mai che pascere. Così 1'Imperadore e'1 Re son l'orso et il leone, perché son gran maestri; io mi son la predetta lepre, ma io mi troverò che pascere in ogni luogo.

159

Piero di Cosmo de' Medici, tornando ambasciadore da Roma, visitò la Signoria di Perugia. Hora accadendo che uno de' Signori molto sciocco molte sciocchezze diceva, un altro per iscusarsi piacevolmente disse: Pacienza, Piero, chè anchor voi ne dovete havere a Firenze. E Piero: Noi ce n'habbiamo, ma non gli operiamo a queste cose.

160

Consigliando Francesco del Benino che era un gran picchiapetto in consiglio, che in un tempo pericoloso alla città s'andasse a campo a Siena, e Piero de' Medici predetto rizzatosi per contradire, incominciò così: Io t'aspettava, Francesco, com'un bambino a processione, e tu ci riesci ad andare a campo a Siena!

161

Essendo Messer Palla Strozzi in caso di morte, gli fu mandata la prolungatione del tempo in che haveva a stare a' confini, onde piangendo egli disse: Insino ad hora ho sempre ubidito alla mia patria, e sempre osservati i confini; ma questo non osservarò io già, questo dicendo, perché conosceva il suo pericolo.

162

Havendo nel 1433 i nimici di Cosmo fatto un parlamento, che gran tempo innanzi non s'era fatto, disse Cosmo: Egli hanno insegnato, come noi habbiamo a fare a loro.

163

Havendo il Re Alfonso comperata da un mercatante la scodella del calcedonio che al presente usa Lorenzo de' Medici, per pregio di ducati mille, disse che non gliele haveva saputa nè donare, nè vendere.

164

Il Conte di Virtù soleva dire che Messer Coluccio Salutati, Cancellieri della Signoria di Firenze, gli faceva più guerra che e Capitani de' Fiorentini; e più trapole gli scoccò adosso per levarselo dinanzi. Infra l'altre ordinò che una lettera, contrafatta la mano di Messer Coluccio, fusse data alla Signoria Fiorentina, nella quale erano scritte molte cose contra lo stato. E Signori, ricevuta la lettera, mal contra lui inanimati, gliela mostrarono, dimandando di cui man quellagli paresse. Et Messer Coluccio, lettala, disse: Questa è bene di mia mano, ma io non la scrissi mai.

165

Fu contrafatto da un scolare a Pisa Lorenzo Lippi con tanta propietà che, sopravenendo a lui che nella catedra era, e leggeva la lettione sua, vedutolo, lo salutò in questo modo: Salve, alter ego!

166

Uno, essendo domandato, se bisognava domandare come qualcuno stesse, vedendolo havere buon viso, disse di sì; perché haveva veduti molte volte de' fiaschi rotti con le veste nuove.

167

Puccio quando haveva consigliato, e'1 partito non si vinceva, soleva dire che non era da dubitare che gl'havevano l'argomento (anche clistere) in corpo.

168

Un matto, dimandato quel che gli paresse d'un muro a Careggi, murato dentro a secco, e di fuor incalcinato, disse: Io vorrei le lasagne in corpo, non nella gonnella.

169

Giovanni di Bicci, padre di Cosmo tenendo amicitia grande con alcuni contadini delle alpi, e havendone una volta uno a cena, fra gli altri honori che gli fece, ordinò chela Nannina sua donna dicesse non so che sonetti; e dimandato poi quel che gnene paresse, la lodò, dicendo però che vorrebbe più tosto che le sue nuore sapessero fare di due cioppe (vesti lunghe) vecchie una nuova, che dire queste favole.

170

Ser Cozzo, notaio Fiorentino, lasciò a' figliuoli per testamento questo ricordo: Fate sempre male, e non lo dite; dite sempre bene, e non lo fate.

171

Il Patriarca de' Vitelleschi, essendo preso in Castel Sant'Agnolo, a uno che gli dava speranza di scampo, disse: E par miei non si pigliano per lasciare.

172

Fra Biagio del Carmine soleva dire che chi deveva essere zanaiolo (portatore di ceste), nasceva col manico in mano.

173

Messer Piero da Nocera, intimo nostro, havendo a trasferire una gran somma di scudi a Firenze, gli commise al banco de' Medici a Roma in mano di Ruberto Martelli, e con lettera di cambio se ne venne a Firenze. Hor per la via cominciò a sospettare assai che gli danari non gli fussero restituiti. Ma come giunse al banco, tutti gli furono subito numerati. Onde andatosene a Cosmo, disse: O Cosmo, magna est fides tua. Et egli: M. Piero, il tesoro de' mercatanti è la fede, e quanto più fede ha il mercatante, tanto più è ricco.

174

Dicendo Neri di Gino a Cosmo: Io vorrei che tu mi dicessi le cose chiare sì, che io t'intendessi, gli rispose: Appara il mio linguaggio! A un altro: Appara hora a fare; chè favellare sai tu.

175

Uno di una femina spenditrice che si sapeva guadagnare le spese senza fatica disse: Ella può spendere; chè ella fa poi il covone in due menate.

176

Diceva il Conte Francesco che quattro cose bisognava a far bene una cosa: pensare, consigliare, diliberare e fare.

177

Galeazzo Maria Sforza Duca di Milano, figliuolo del detto, soleva dire che tre cose bisognava havere a fare una buona torta: sapere, potere e volere.

178

Confessavasi Cosmo da Fra Mariano Vescovo di Cortona, e dimandato se perdonava a ognuno, rispose di sì. II frate: Oh perdoni tu al Filelfo? Disse: Io non mi ricordava che e' fusse al mondo. Intese queste parole Andrea di Boccaccino, amico del detto Filelfo, et prese animo per questo di ragionare a Cosmo che lo facesse ribandire, a cui rispose: Io sono di quella spetie prima de' buoni che perdono a chi m'offende; non sono anchora di quella più perfetta che hanno ad orare pro persequentibus; quando sarò di loro, e noi ragioneremo di questo.

179

Messer Marcello raccontò da un matto haver udito dire in Francia questa sentenza, che sono quattro buone madri che hanno quattro cattivi figliuoli, e dicevale in latino a questo modo: Veritas odium, prosperitas superbiam, securitas periculum, familiaritas contemptum, id est, parit.

180

Il medesimo disse di un vecchio che portava l'orecchie in seno, le gambe in mano, e denti a cintola.

181

Il Pelletto, ripreso di attendere a zacchere (puttane), havendo donna, disse che usava quello per utriaca (medicina), quando gli pareva per altro essere ammorbato.

182

Messer Marsilio dice che e' si vuole usare le donne come gl'orinali che, come 1'huomo vi ha pisciato dentro, si nascondono, e ripongono.

183

Il Franco dice: Anco come il cesso che, come l' huomo ha fatto, tura tosto, e fugge fuor il puzzo.

184

Arrigo Sassolini haveva di nuovo menata moglie una che havea nome Margherita, et essendo con lei nel letto, diceva: O, Margherita, voglianlo noi fare assai, faccianlo di rado. Soleva anchora, quando ella ragionava di volersi andare qualche dì con la madre, affrontarla un tratto; quando tornava a casa, le volgeva le reni, acciochè le venisse spesso voglia d'andarsene a stare con la madre.

185

Un Sanese havea tolto di nuovo moglie, e andandone per la terra con un suo compagno, come si fa, ognuno gli diceva: Buon pro ti faccia! E dicendo quel suo compagno: Che diavol bisogna tanti Buon pro ti faccia? Voi ci havete già stracchi, disse lo sposo: Oimè, lasciali pure dire, chè é non diranno mai tanto che e' vi s'abbattino.

186

E Sanesi dicono, essendo in gran pericolo il loro stato, e mettendovi quel di Firenze, che fanno come la puttana: quando è abbracciata per amore, le ne giova; quando per forza, non le ne giova.

187

Riferendo uno a Lorenzo de' Medici che il Conte usava dire, detto Lorenzo havere fatti due grandi errori, l'uno il ritenere il Cardinale, et l'altro fare morire Giovan Batista da Monte Secco, e ch'egl'haveva in questo fatt'una gran pazzia, rispose: E' ne farà tanti egli, che mi farà tener savio.

188

E peggiori huomini che siano al mondo sono a Roma; e peggiori de gli altri sono e preti; e peggiori de' preti si fanno cardinali; e il peggiore di tutti cardinali si fa papa.

189

Dice Messer Marsilio che e preti son più cattivi che i secolari, i frati de' preti, de' frati e monaci, de' monaci e romiti, de' romiti le donne.

190

Un Sanese soleva dire in consiglio: Cittadini miei, guardatevi da' Fiorentini; chè da gli altri vi guarderanno essi.

191

Dicendo il Franco a uno che certi suoi lavoratori erano chiamati e Savij di Val di Grieve, rispose quel tale: Ben vorrei io vedere, come son fatti i lor pazzi, poi che costoro sono e savi.

192

Cosmo era portato per casa su una seggiola da alcuni famigli, et essendo per percuotere a un uscio, gridò. Dicendo uno famiglio: Oh, che havete voi? voi gridate innanzi che habbiate nulla!, rispose Cosmo: Oh, prima bisogna che io gridi; chè poi non mi varrebbe nulla.

193

Voleva un Papa fare un frate di Santa Maria Novella Generale di detto ordine, il quale rispondendo che non voleva havere a governare pazzi, disse il Papa: Guarda, qual sia meglio: o governar loro, o esser governato da loro.

194

Nella guerra presente che si apparecchia tra Sanesi e Fiorentini, dicendo un garzone Sanese al padre: E' ci è buona speranza che le genti del Re s'accostano in qua, rispose: Oihmè, figliuol mio, ch'io ho maggiore paura dell'utriaca (meidicina), che del veleno.

195

Quante cose voglia havere una donna? Tre nere, tre bianche, tre piccole, tre lunghe, tre grosse, cioè: nere ciglia, occhi, natura: bianche capelli, denti, carne; piccole bocca, naso, orecchie; lunghe: dita, busto, collo; grosse braccio, gambe, coscie.

196

Iacopo Bini mi disse a questi dì che questi di Firenze sempre sono stati di tre ragioni nel governo; perché uno ha prestata la riputatione, l'altro e danari, e'1 terzo ha appiccato un sonaglio. Domandai questo appiccare il sonaglio che voleva dire, contommi all'hora: che certi topi deliberarono una volta insieme d'appiccare un sonaglio alla coda della gatta per sentirla; ma poi che '1 partito fu vinto, non si trovava nessun di que' topi che volesse essere il primo a appiccarlo. Un pari dunque di Antonio Puccio diceva essere di quelli che appiccavano il sonaglio.

197

Sandro di Botticello fu stretto da Messer Thomaso Soderini a torre moglie; risposegli così: Messere, io vi voglio dire quello che m'intervenne una notte. Sognava havere tolto moglie, e fu tanto il dolore che io n'hebbi nel sogno, ch'io mi destai, e hebbi tanta paura di non lo risognare, che io andai tutta notte a spasso per Firenze come un pazzo, per non havere cagione di raddormentarmi. Intese MesserThomaso che non era terreno da porvi vigna.

198

Un vecchio mi disse a questi dì che le cose ingiuste non possono durare, e che la giustitia è fatta come 1'acqua che, quando è impedita dal suo corso, o ella rompe quel riparo e impedimento, o ella cresce tanto e ingrossa, ch'ella sbocca poi di sopra.

199

Quando e Ciompi tolsero lo stato a' grandi, un cavalbere de gli Albizi ragionava con suo clientulo che era de' Ciompi, dicendo: Come credete voi potere mantenere lo stato, i quali non siete usi, conciosia cosa che noi, usi sempre al governo, non 1' habbiamo potuto mantenere. Rispose il clientulo: Noi faremo a punto il contrario di quello che havete fatto voi, e così lo verremo a mantenere. Caricatura di L. da Vinci

200

Cosmo diceva che, quando uno era tornato d'uffitio, e era domandato, dove fusse stato, era buon segno; perchè non s'era di lui sentito nulla.

201

Essendo venuto uno ambasciadore del Re di Aragona a' tempi di Cosmo, il quale chiedeva tributo d'un falcone ogn'anno, offerendosi per quello conservare lo stato a' Fiorentini, fu commessa la risposta a Puccio d'Antonio Pucci, huomo prudentissimo e di grand'animo. Il quale rispose in questa sentenza che, con ciò fusse che '1 Conte Giovan Galeazzo, detto Conte di Virtù, havesse chiesto uno sparviere per tributo a'Fiorentini con simile offerta di conservare lo stato, e che i Fiorentini non glie 1'havevan voluto concedere, che a lui non solamente non darebbono un falcone, ma non gli pure mostrarebbero un gheppio. Ma sì che, quando volesse acconciarsi per loro capitano, che gli darebbono XL o cinquanta mila scudi d'oro, di che egli non si dovrebbe vergognare, perchè havevan de gl'altri molto di più di lui; e quali venne tutti per ordine annoverando.

202

Essendo Puccio predetto a Milano ambasciadore al Duca Filippo, soprastette assai ad havere udienza, perchè detto signore si governava assai per punto d'astrologia. Hora havendo inteso dallo astrologo un'hora accomodata, mandò per detto Puccio, dicendo essere presto a dargli udienza. A cui Puccio indietro fe' rispondere che non voleva andarvi all'hora; perchè, s'in quell'hora vi era il punto di detto Duca, non v'era il suo.

203

Neri di Gino, sendo ambasciadore a Vinegia per la guerra che havevano i Fiorentini col Duca di Milano, et essendo trastullato, prese licenza con queste parole: Voi volete, Signori Vinitiani, far il Duca di Milano Re, e noi lo faremo Imperadore; con le quali parole volti gl'animi di tutti, ottenne quello, per che era ito.

204

Messer Giovanni Emo, Cavalliere et ambasciadore Vinitiano, quando si licentiò il Cardinale di San Giorgio ad velum aureum da Firenze, gli usò queste parole: Messere, non v'habbiamo lasciato, perchè non vi ritenemmo mai. Habbiamo caro di havere ogni giustificatione dal canto nostro. Dite al Papa che cominci a sua posta la guerra, che noi la finiremo a casa sua, e le sue escomunicationi ci sono comunioni.

205

Messer Galeotto Capitano di Milano si riscontrò disavedutamente con Messer Ramondo da Cardona Capitano della Chiesa, e constretto a venire alle mani, in conforto de' suoi usò queste parole: Valenti huomini, il vostro conforto sia questo, che voi havete per Capitano Galeotto Spinola che mai non perdè per mare et per terra.

206

Sforza fu tratto di prigione dalla Reina Giovanna, acciochè egli difendesse il suo stato, e lo fe' Capitano grande. Erano i suoi soldati grandemente forniti di sopraveste e di spennacchi. Sentendo questo Sforza, et essendo in camino, smontò da cavallo, e trattosi l'elmo, e posto in su un palo, cominciò con la spada a dare in quello spennacchio, tutta via dicendo: Difenditi, poltrone, e così dicendo, tutto lo cincischiò. Non intendevano la ragione e soldati, a' quali rivolto Sforza dimostrò che non era la virtù de' soldati ne' spennacchi; e che sia vero quello, lo dimostrava, che quello spennacchio non se ne sapeva difendere.

207

Messer Andrea Priore di Lucardo, dicendoli uno che haveva imparato da lui ad essere hippocrito, rispose: Cotesto non t'insegnai io, come disse quel diavolo. E contando la novella, disse che un monaco, stretto a digiunare, e non potendo soffrire, si rinchiudeva in camera, e coceva uova a lume di candela, tanto volgendole, che fussero cotte. Il che per un foro dell'uscio vedendo, l'abbate entrò dentro, facendoli grande sopravento; et iscusandosi il monaco con dire che la sottigliezza del demonio gl'havevainsegnato a fare questo male, il diavolo che sotto il desco si stava nascosto, uscito fuori, disse: Tu ne menti ben per la gola, chè questa ladroncelleria hai tu insegnato a me!

208

L'Altrito, scolare a Pisa, per purgare sua fama andava spesso nel luogo publico, et egli stesso si bociava.

209

Il Pecorella de gli Spini, havendo di nuovo menato moglie, e cenando con essa tordi, traheva de' quarti di dietro tutte quelle budelluzze. Hora credendo la donna che egli le volesse gettare via, disse: Non le gettare, chè io le mangerò io. Il Pecorella disse: Umbè!, e, presele tutte con una fetta di pane, fe' vista di volerle mettere in bocca alla sposa, la quale come aperse la bocca, il Pecorella se le mangiò per sè, e volto alla moglie, disse: lo non son Pecorella che perde il boccone per dire Umbè!

210

A Simone Carnesecchi matto davano e parenti per consiglio che e' non favellasse mai, e se pure sentisse dire qualche cosa grande, che e' dicesse: E' ci sono di ma' fanciulli.

211

Un Signore haveva nella sua corte un savio huomo, e molto intendente di veleni, il quale lungo tempo haveva usato a suo proposito. Advenne che, entratoli di lui qualche sospetto, lo fe' accecare, e mettere in prigione. Hora doppo alcuni anni, trovandosi detto Signore in una guerra lunga, e pericolosa in modo, che era in bilico il suo stato, fe' venire a sè il detto savio, e richieselo che con qualche veleno de' suoi s'ingegnasse avvelenare il campo de gl'adversarij. Dicendo colui che con questo non lo poteva aiutare, perchè la maestra de' veleni era la vista, lo richiese di consiglio in questo caso, e esso lo consigliò a torre tutti e vasellamenti d'oro et d'argento della chiesa, e farne denari. Dicendo il Signore che questo era gran male, rispose: Pigliate queste cose a peso, e poi le rendete. Hora ritornato in prigione, fu da gl'altri ripreso, e detto che gl'era un matto a consigliare un suo tale amico; e quello all'hora: Io l'ho appiccato con Signore che farà ben le mie vendette.

212

Il Piovano Arlotto si trovò a cena con Messer lacopo Cardinale di Pavia a Roma insieme con messer Falcone. Dimandando più volte Pavia in questo modo: Piovano, conoscestemi voi mai a Firenze?, negava, anchor che 1'havesse conosciuto perchè a quel tempo detto Messer lacopo era molto povero, e haveva per male che gli fusse ricordato. Hora, inter cenandum, gittò gli occhi a una vesta di detto Piovano volta ritto rovescio, e dicendo a caso il Piovano che non credeva havere niuno nimico al mondo, disse Pavia: Non è maraviglia, perchè vi havete recata la ragione del canto vostro, volendo intendere che egl'haveva di dietro il ritto della cioppa. All'hora il Piovano: Io scoppierei, Monsignor mio, se io non vi dicessi una novella a cotesto proposito. In Fiandra è quest'usanza che, quando si fa un paio di nozze, sogliono e giovani che hanno a ballare mettersi stivaletti di colore di carne prestissimi et politissimi. Facendosi un tratto un paio di nozze, un giovane, mentre che si metteva gli stivali, ne schiantò uno. Hora perturbato, si crucciava col calzolaio, e egli disse: Non pigliate perturbatione; che io lo racconcierò in modo, che nessuno si avedrà che sia raciabattato, se non fusse un calzolaio proprio. Advenne che a questo ballo si trovò un giovane ricco, già stato al calzolaio, il quale, posto subito l'occhio su lo stivale, disse: Per lo diavolo, voi havete riciabattato lo stivale! Rispose l'altro: Ben melo disse il maestro che nessun altro se ne poteva avvedere che '1 calzolaio proprio. Intese Pavia, e tacque.

213

Detto Piovano, sendo a questi dì solicitato da alcuni cittadini di rinuntiare la sua chiesa, disse questa novella: Fu una volta un romito viandante, il quale, sendo a un'hosteria in una medesima camera egli e un altro, sentì così sul primo sonno venire quel tale pian piano al suo letto, per torgli di sotto il capo certi pochi denari che haveva in una certa sua saccoccia. E' tossì et sputò, per mostrare d'esser desto, onde il brigante tornò a dietro. Quindi a non molto fece il medesimo, e così tutta la notte convenne al romito per sicurtà de' suoi denari star desto. Onde l'altra sera non pose la saccoccia sotto '1 capezzale, ma sul mezzo della camera, dicendo fra sè: Meglio mi è assai perdere la saccoccia e denari, che havere la mala notte. Dormì molto bene, et la detta saccoccia gli fu carpita. Così, disse il Piovano, che farebbe al suo beneficio, cioè lo renderebbe al Papa, pregandolo che gli desse le spese,Ma dice che non lo fa, perchè questi tempi non son da ciò; e questo Papa è pur frate.

214

Venne qua Messer Alessandro da Forlì a porre imposte a' preti con commissione di Messer Falcone di trattare il Piovano Arlotto come la sua persona propia. Onde come fu qui, tantosto l'hebbe a desinare, e messolo in capo di tavola, fegli honore, come se fusse Messer Falcone. Quando si partiva, gli disse: Messer Alessandro mio, non vorrei che e' mi intervenisse come a Christo, al quale i Giudei andarono incontra con olio e palme, mettendogli le vesti sotto i piedi, e poi lo crucifissero; accennando haver paura di non beccare maggiore gravezza dopo tanti cibarij.

215

Tre giovani corsari fecero pensiero di habitare in Siena, e posero su un banco 40 mila ducati, dicendo non ne volere discrettione nessuna, ma solo che gli promettesse non dare danaio nessuno, se non in presenza di tutti tre. Uno di loro, più cattivo, pensò giuntargli, e mostrò d'havere alle mani di comperare poderi, case e beni in comune. Fe' dare un tocco da gli altri giovani al banchieri che stesse in punto, perchè di corto gli leverebbero il denaio intero. Poi osservò un dì, che quelli due cavalcavano in caccia con altri giovani, e mentre erano a cavallo, disse loro che bisognava 50 ducati per finire la cosa. Quelli due giovani passarono al banco, e dissero: Darai a costui quello ti chiede, non si avisando dell'inganno, e rimaso, levò tutti e danari, e con essi via cavalcò. Tornano i giovani, intendono la cosa, muovono lite; da ognuno è dato il torto al banchiere, dicendo che non doveva tanto somma sì tosto pagare se non in presenza di tutti. Il banchieri, intesa la fama di Messer Gelio d'Arezzo, huomo non molto dotto, ma naturale, se n'andò per consiglio a lui, e trovollo in villa, e il detto Messere, ordinato che il detto banchiere l'aspettasse ad Arezzo, si consigliò del caso con alcuni de' suoi naturalozzi contadini, et la mattina con una conchiusione ne andò ad Arezzo, che il detto banchiere confessasse esser mal pagati detti danari, ma che voleva pagare di nuovo, osservando la scritta, la quale diceva che non si doveva pagare un quattrino se none in presenza di tutti tre: Siate adunque tutti tre qui, e io vi pagarò e vostri danari.

216

San Martino, per punire un suo prete che s'impacciava con una sua popolana, diventò un fanticello, e acconciossi col marito a recare legne, per fin che la moglie mutasse favella. Scaricò le legne prima sotto la scala, passò al forno dove '1 prete si nascondeva, poi fel mettere per il buco dell'uscio la masserizia, al prete tagliossela, e mettella in una paniera di berlingozzi che la donna gli portava. Il prete, sotto spetie di baciarla, gli tagliò la lingua, et così mutò favella.

217

La moglie del Nero monta sul pero, e si trastulla con lo amante; il Nero geloso tiene abbracciato il pedale. Passa Christo a cavallo col diavolo in groppa, che andavano a una anima che era in quistione. Alluminano il cieco, il quale gli domanda quello che la sù faccia. Rispose la moglie: Facciamo acqua da occhi.

218

Di quel bacello che, dicendosi E, entrava e, dicendosi O, usciva, e che la padronessa mandò per esso a casa un suo fidato, al quale venne detto E, e nacquene scandalo.

219

Quello che ogni cosa tolse a salario, quello che insaccava nebbia, quello che udiva schiantare la gramignia di là dal mare.

220

Uno che balestrava moscioni, uno che havea ceppi legati a i piedi, e correndo vinceva la lepre, uno che mangiava massi.

221

Satanasso gastigò un diavolino che havea perduto tempo dietro a uno che haveva rubbato, acciò non rendesse e denari, dicendo che bastava haverlo condotto a rubbare; chè rubbato che altri ha, non è huomo che per sè medesimo non si guardi dal rendere.

222

Una moglie, mal trattata dal marito, perchè non havea la dote dal suocero intera (era impotente), havendo detto che havea venduto quel fatto, gliela fe' rihavere, e aggiunse vi non so che ducati, acciò che ne ricomperasse un altro; e domandando il marito; Come lo vuo' tu?, disse: Tolo più grosso che quel altro. E come grosso? Sai tu, come quello dell'asino.

223

Il gallo di Ser Piero Lotti che era nel cesso, et cantava.

224

Il diavol è, disse Don Santi. Don Santi, confessando una fanciulla, cominciolle a toccare i capelli, dicendo: E' paiono proprio della Maddalena, poi il viso, poi le poppe, e in fine la rovesciò. Diceva la fanciulla: Oimè, voi mi abbracciate, pare a me; disse Don Santi: il diavolo è ch'io ti fornisco!

225

Fra Sinibaldo confessava una volta una donna, e domandava se il marito usava con lei a mal modo; disse la donna: Oh fass'egli di costì? Rispose il frate: Non vi si fa altro.

226

Un confessore si soleva addormentare. Una donna si confessava e diceva d'haver rubbato un paiuolo; dipoi, vedendolo dormire, si levò su. Posevisi un'altra e confessavasi. Intanto egli si destò et, credendo che fusse la medesima, disse: Umbè quel paiuolo che voi rubbaste?

227

Un prete fece a un suo cane la sepoltura e dissegli 1'uffitio, perchè 1'haveva caro. Fu accusato al vescovo, e citato comparì. Ripreso confessò, et haveva in un sacchetto dieci ducati, e disse: Monsignor, io gli feci honore, perchè egli haveva un gran sentimento, e fra l'altre cose fe' testamento, e lasciovvi questi danari. Diedegli e fu assoluto.

228

Fu in Firenze un cittadino, chiamato Messer Valore, al tempo del Duca d'Atene, il quale, per sospetto di detto Duca, finse d'esser pazzo. Costui un dì, empitasi la veste di ciriegie, se n' andò in piazza, et chiamati a sè i fanciulli della terra, diceva: Piluccatemi, che io sono il comune.

229

Una volta il predetto comperò un campo di porri e, chiamati poi molti fanciulli, disse chi trovasse il più grosso porro che quivi fusse, gli darebbe un grosso. Essendosi trovato, se n' andava con esso per la terra e, domandato che andasse a fare con quello, disse: Vo a ficcarlo dietro al Popol grasso.

230

Per un po' meno ferma per me. Questo detto è diventato già proverbio, la cui origine è questa che, dilettandosi Donatello scultore di tenere in bottega belli discepoli, gnene fu messo un per le mani il quale molto gl' era lodato come bel giovane. E mostrandogli, chi glielo metteva innanzi, un fratello di detto giovane, e affermando che assai era più bello quell'altro che con esso cercava di acconciare, disse le sopradette parole: Per un po' meno ferma per me.

231

E' rise a me, e io risi a lui. E questo anchora nacque dal sopradetto Donatello, dal quale essendosi partito un giovane discepolo, con chi havea fatto quistione, se n' andò a Cosmo per trar lettere dal Marchese di Ferrara, dove era il giovane fuggito, affermando a detto Cosmo che in ogni modo voleva andargli dietro et ammazzarlo. Hora, conoscendo Cosmo la sua natura, gli fe' lettere, come a lui parve, e per altra via informò il Marchese della qualità di detto Donatello. II Signore gli diede licenza di poterlo uccidere, dove lo trovasse. Ma riscontrandosi il garzone in esso, cominciò di lungi a ridere, e Donatello, a un tratto rappacificato, ridendo inverso lui corse. Dimandavalo poi il Marchese se egli 1'havesse morto; a cui Donatello: Non, in nome del diavolo! chè egli rise a me, e io risi a lui.

232

Tu fai il can di Buttigrone. Questo cane dicono che andava sempre dietro a chi meglio era vestito.

233

Vangeli et altre zacchere (stronzate). Queste parole disse un nostro vescovo dimandato che libro fusse uno che nella tavola serrato haveva.

234

Volge, volge, e qui non è se non parole. Questo disse il lupo, imbattutosi in un breviale rosso che era caduto a un frate, et egli haveva creduto che e' fusse un pezzo di carne.

235

Messer Franceso Malacarne, havendo una macchia d'olio in sul petto, essendogli venuto a noia d' esser da ogniuno domandato che cosa quella fusse, soleva, come uno veniva a parlargli, dirgli: Sta saldo, questa è una macchia d'olio; di' hora ciò che tu vuoi. Questo motto anchora è hoggi in uso di proverbio.

236

Hor son io chiaro. Questo disse Martino dello Scarfa, havendosi sputato (per cacato) nelle brache, e stando in dubbio se fusse vero, imperò che, passando per la via dove egli era, un fanciullo disse: O, e' ci pute. All'hora Martino: Hor son io chiaro.

237

Dolendosi uno di una gravezza (tassa) con Puccio, gli rispose: Tu biasimerai tanto cotesta gravezza, che tu non troverai poi huomo che la voglia.

238

Un pazzo soleva dare consigli, e facevasi dare due o tre braccia dì refe, e diceva: Non ti accostare a' pazzi, quanto è lungo questo refe.

239

Il Piovano Arlotto era in galea con alcuni giovani a dormire, e manomettendo a un di loro il canestro, colui disse: Ohimè, Piovano, che fate voi? E egli rispose: Perdonami; chè io credetti che fusse il mio.

240

Dando una fanciulla con una palla di nieve a Dardano Acciaiuoli, e havendo l'altra in mano per gettare, disse Dardano: Che fai, porca? Se tu 1'havessi tra'l Buccine e Monte Varchi, frigerebbe più che non fa una cheppia nell'olio.

241

Andando il Papa Ianni (Giovanni XXIII) a concilio, domandò un suo buffone: Che si dice di me? E rispondendo egli: Santo Padre, e' si dice che voi siete un gagliardo huomo, rispose: Tu di' il vero, perchè non è mai gagliardia che non habbia in sè qualche ramo di pazzia.

242

Il predetto, sentendosi leggere in concilio il processo contra, confessava tutto, dicendo: Haio fatto anchora peio. E infine domandato che fusse questo peio, rispose: A lasciarmi condur qui.

243

Il Gondino litigava con la casa de' Martelli, et essendogli detto da un di loro: Noi siamo in casa trentadue paia di coglioni, rispose: Egli è vero, ma voi non fornireste un zugo (cazzo) fra tutti quanti!

244

Sendo in casa Messer Agnolo della Stufa il Signor Gismondo e il Conte di Urbino medesimamente nella terra, dimandò un di detto Conte Gismondo, figliuolo di Messer Agnolo predetto molto fanciullino, che gli pareva del detto Signor Gismondo; rispose semplicemente: È un moccicone, che si fa vestire da' famigli!

245

Dicendo non so chi a Lorenzo che il Conte Gieronimo voleva dare Imola al Re, e detto Re darebbe a lui un ducato nel reame, rispose: Guardi pure che non glie lo dia falso cotesto ducato.

246

Uno disse di un picciolo che farebbe lo schiavonesco (stuzzicadenti) in un buco di grattugia.

247

Un contadino, chiamato il Fella, essendo per morire, chiamati a sè e figliuoli, disse: Figliuoli, io vi lascio e tai danari: danari del tale e del tale. Hora, dimandando l'uno a l'altro che danari fussero questi, disse il maggiore: Questi sono danari che egli ha debito. Il Fella all'hora disse: Che non ti paiono danari questi? tu te ne avvederai bene.

248

Nicolò Amici abbracciava la Maria Bella da Roma, e per paura di non la ingravidare, sempre entrava per l'uscio dell'orto. Un tratto parendogli d'havere errato dett'uscio, se ne chiariva con le mani: hora detta Maria gli diceva: Se' tu chiaro? E egli: Sì, che tu hai un gran forarne.

249

Essendo Guido del Palagio Fiorentino ito ambasciadore a Siena per non so che delega che detti Sanesi havevan fatto col Duca di Milano, essendogli da un Sanese detto: Messer 1'ambasciadore, noi habbiamo maritata Siena e datole per dote Firenze, rispose: La prima abbracciata sarà ella, e poi a bell'agio si piatirà (reclamerà) la dote.

250

Mostrando un Cardinale a Messer Agnolo della Stufa ambasciadore a Roma la sua argenteria, e dicendo: Io non posso dire come San Pietro: Aurum et argentun non est mihi, respose: Voi non potete anco dire: Surge et ambula! Nota che alcuni dicono che questa risposta fece San Thomaso d'Aquino in simil proposta al Papa.

251

Bartolo del Vigna a uno che diceva, essendo egli Gonfaloniere: Se voi non farete la tal cosa, io farò qualche pazzia, rispose: Se farai qualche pazzia, la correggeremo col senno.

252

Una donna, dimandata qual fussero migliori bordoni per le donne, e grossi o piccoli o mezzani, rispose: E mezzani sono migliori. Dimandata perchè, rispose: Perchè de' grossi non se ne trovano.

253

Il Piovano Arlotto confessava un contadino suo lavoratore. Avvenne che all'ultimo della confessione detto contadino faceva resistenza di dire non so che peccato, onde il Piovano cominciò a persuaderlo al dire, e finalmente confessò il detto che s' haveva menato il zugo a mano. Fe' di poi simil resistenza a un altro peccato e, pure persuaso a dire, confessò d'havere imbolato un sacco di grano al detto Piovano. Il quale, assolvendolo, disse: Menati il zugo a tuo modo, e fa ch'io rihabbia il mio grano.

254

Ragionando uno a tavola lungamente del fatto del Turco, e dicendo che mai non si poteva intendere nulla de' fatti suoi, e che ciò che si parlava era bugia, fu uno che disse: E però sta cheto tu!

255

II medesimo dicendo che il Turco teneva gli elefanti in Costantinopoli là, dove innanzi solevano stare ambasciadori Vinitiani, disse quel altro: Dunque vi stanno anchora molto gran bestie.

256

Diceva Messer Matteo Franco, passando una bella fanciulla: Non mi credete a vostro modo: questa è una bella fanciulla. Fugli risposto: Se e' non vi s'ha a credere, io ve'1 credo.

257

Piero di Boccaccino, essendo alle prese con una donna, smarrì per troppa fretta l'uscio, e dicendo colei: Ohimè, voi 1'havete in mal luogo, rispose: In mal luogo l'hai pure tu!

258

Un altro sendo con una parato a giostra, advenne che colei disavvedutamente fu per farli male a' testicoli con un ginocchio, onde dicendo quel tale: Ohimè, guardate che voi non mi facciate male, rispose la donna: Male farei io a me.

259

Levandosi in una chiesa il Signore, fu uno che disse al Franco: Andiamo a vedere qua il Signore, et egli: Io l'ho veduto tante volte, che io lo riconoscerei fra mille.

260

Passava una fanciulla per via et, dicendo il Piovano Arlotto: Oh ve' bella fanciulla!, rispose ella: E' non si può già dire così di voi. E il Piovano: Si potrebbe bene chi volesse mentire per la gola, come ho fatt'io.

261

Il Priore di Lucardo di uno che havea solo un occhio: Costui durerà pure men fatica a morire di noi, che non harà a chiudere se non un occhio. Item d'uno sdentato suol dire: Costui non tien mica l'anima con denti.

262

Uno, domandato qual fussero e più pazzi huomini di tutti gl' altri, rispose: Quegli che s'impacciano con pazzi.

263

Un nuovo pesce soleva dire: La robba a compagnoni, l'anima al diavolo, e la carne a i coltelli.

264

Fu a Cosmo un literato mal vestito, il quale dimandato che voleva dire che era sì povero, disse essere stato rubbato tra via. E dicendo Cosmo: Guardati più tosto di non 1'havere giocato, rispose: Voi dite il vero che io ho giocato et perduto, e voi m'havete vinta la mia parte, come anche a de gl' altri la loro, mostrando per questo le ricchezze essere un gioco di fortuna. Maravigliatosi di questo, Cosmo il rivestì, e diedegli danari.

265

Diceva un contadino al Malherba: Mi basta che tu mi dia un poco di fede. E il Franco: Non te ne può dare sì poca ch e' non te ne dia quanta e' n' ha.

266

Dicendo uno a Cino che haveva una coltella: Cotesta arme ti sarà tolta, e rispondendo esso: Io sono uso a torle ad altri, disse Andrea de' Medici, cioè il Butta: Sì, dal capellinaio (gancio per appendere i coltelli).

267

Un barbiere intagliò una gota radendolo, e dimandollo se prima v'era schianza (cicatrice), rispose: Non, ma la vi verrà bene.

268

Cosmo di qualche huomo pronto et accorto soleva dire che egli haveva il cervello in danari contanti. E motto di Augusto: Ingenium habet ut Seneca.

269

Filippo da Gagliano a uno che diceva non havere pratica nel fatto delle dame disse: lo non me ne maraviglio, perchè tu stai sempre sulle conchiusioni.

270

Chiedeva il Franco qualche gatta a uno, e dicendo colui: Io ve ne darò una, diceva il Franco: Io dissi ne vorrei tre o quattro per lo meno. E colui: Che diavol volete voi fare di tante? Perchè una, disse il Franco, se la mangeranno e topi.

271

Messer Christofano Landino era in mezzo di duo preti. Venne un povero a chiedergli limosina, e egli: Va in pace: che io non ho danari a lato, e costoro son preti.

272

Per la guerra del Signor Gismondo un Antonello da Forlì buon condottieri si fuggì con le paghe da detto Signore. Onde essendo in casa Cosmo il Signor Ottaviano con altri Signori, intra quali era il Signor Astorre, entraro in ragionamento di detto Antonello. Il Signore Astorre molto lo lodava, dicendo spesso che era huomo così sollecito, e ripetendo pure questa sua sollecitudine, disse Cosmo: Non dite più, Signore, circa testo (codesto); che egli ha dimostrato hora per isperienza esser sollecito, essendosi fuggito innanzi al tempo.

273

Essendo nato un fanciullo, poi che la madre si rimaritò circa un mese, disse Martino al padre della donna: Fallo fare corriere cotesto tuo nipote, che sarà sempre due miglia innanzi a gl' altri.

274

Ragionandosi delle genti del Duca di Calabria nel 1478, e dicendo alcuni che ell' erano 80 squadre, disse Braccio Martelli che le dovevano essere quartabuone, perchè così si chiamano certe squadrette picciole da legnaiuoli.

275

Un altro di cavallaccio lungo che andava a pezzi, e movevasi in due volte disse che era un cavallo a duo tuorli.

276

Antonio di Marabottino Rustichi, havendo a cenare con uno, e dicendo: Io arrecherò un mazzo di tordi, e tu compererai dell'uve per l'agresto, colui disse: Oh, costeranno più l'uve che e tordi; disse Antonio: Sì, a te e tordi non costeranno nulla.

277

Geraldino da Rimini cortegiano del Signore, piacevole huomo e picciolo, havendo in presenza di molti gentilhuomini dette alcune novelle, un M. Andrea da Vigniano, famoso cavalliere, ma molto misero, disse: Tu sei, Geraldino, sì piacevole che io credo che non per altro la natura ti facesse sì piccolo, se non perchè 1'huomo ti si potesse mettere in borsa, per non ti perdere; io dilibero di mettermiti un dì nella scarsella, per haverti a mia posta. Rispose Geraldino: Ohimè non, chè voi me ne cavereste mai più.

278

Andando M. Panza Frescobaldi a uccellare a gli sparvieri in su la forza del sole, riscontrò un suo amico, il quale due cose gli appose: l'una, che troppo si dimesticava con ognuno, l'altra, che gl'era fuora, quando ogni bestia grossa o minuta era ridotta all'uggia. Rispose, che della prima si rimarrebbe, se sì tosto non dimenticasse l'accorgersene; l'altra non esser vera, essendo fuori quel tale.

279

Entrarono in un orto di Messer Pastore, huomo savio e vecchio, molti sgherri e, cogliendo e rastrellando senza riguardo ogni cosa, riscontrarono detto M. Pastore, e un di loro disse: M. Pastore, questo è un bell'orto, e dovreste farlo guardare eh e notte; et egli, senza crollare testa, rispose: Tardi me l'hai detto.

280

Messer Brunoro Malatesti, huomo dotto e savio, essendo a un desinare che faceva M. Vanni di Mugello, fratello del Vescovo Andrea, huomo di poca valuta, fu da lui dopo desinare dimandato, qual huomo di Firenze volesse esser più tosto. Rispondendo egli che, qualunche si fusse, non potrebbe se non migliorare, pure stretto, disse che vorrebbe essere Brunetto Latini. E M. Vanni: Oh, cotestui è un cervellino, e rivendemmi a questi dì per x lire. Tanto più, disse M. Brunoro, vorrei esser lui, da poi che sa rivendere dieci lire quel che non vale dieci danari. Dolendosi di questo M. Vanni, disse Messer Brunoro: Non vi dolete voi; lasciate dolersi al comperatore.

281

Il Conte Taddeo da Monte Feltro, essendo podestà di Firenze in tempo che la podesteria era molto libera e di grande utile, concorse dopo lui M. Palmieri da Fano, e quando entrò, si scontrarono come è usanza. Disse il Conte Taddeo: M. Palmieri il ben venuto, e buon pro vi faccia! Voi siete pure venuto in luogo di potervi mettere de' panni sotto. Rispose: Conte, e' non è nostra usanza d'avanzare dovunque andiamo, e poi siamo certi che, d'onde voi passate, non è bisogno che altri vi s'inchini.

282

Messer Arrigo Mainardi podestà di Lucca havea per lettere contratta amicitia con Madonna Bianca che risedeva a Pisa. Finito 1'uffitio, andando a vederla, e entrando in camera, perchè era huomo grande, percosse col capo nel cardinale dell'uscio, e entrò, dicendo: La ben trovata! gl'altri ci sogliono percuotere la coda, e io ci ho percosso il capo; che vuol dire, Madonna Bianca? Rispose: Perchè chi ha le corna, più facilmente percuote con esse che con la coda.

283

Piraffo, huomo oltra modo satiro e rampognoso, veduto un sere che era infame di carte false, il quale si teneva le mani sotto'1 mantello, lo dimandò: Che havete voi sotto'1 mantello, sere? Rispondendo egli non havervi altro che le mani, in atto di maravigliarsi Piraffo disse: Oh, havete voi le mani?

284

Messer Giovan Barile da Napoli, essendo a Firenze con molti cavalieri e donne, fu dimandato da Madonna Oretta di Messer Gieri Spini, havendo a dimandare, che gratia dimanderebbe, e egli: Che voi fosse indovina, perchè voi stessa indovinaste quello, che io non ho ardire di dire; e ella: Cavalliere, chi teme di dire, mai non ha ardire di fare.

285

La Contessa Gherardesca di casa di Conte Ugolino che morì nella torre della fame di Pisa, era a Poppi e, sentendo che la Contessa figliuola del Conte Guido, il cui marito era morto alla sconfitta di Campaldino, era a Bibbiena, l'invitò alla festa che si faceva per Pasqua di Resurressione. La quale venuta, e menata dalla Contessa Gherardesca in un terrazzo, d'onde si vedeva il luogo di detta sconfitta, perchè vi era maggiore grano che altrove, disse: Vedete che questi nostri Ghibellini hanno fatto in modo che non ci dovera essere quest'anno caristia di grano; e ella: Tardi viene a chi è morto di fame.

286

Messer Gian Polo Sanese, huomo prodighissimo, mandò fagiani e starne una sera al Podestà di Siena, perchè sapeva che con lui cenava Messer Guido Ricio Capitano di guerra, nuovamente venuto in Siena, e suo gran famigliarissimo, e all'hora della cena lo andò a visitare, e stando egli per cenare, disse il Podestà: Sapete la forte legge che è in questa terra, che chi cena col Rettore, gne ne va dugento lire, e a me mille, se io non lo notifico? Disse Messer Gian Polo: Andiamo a tavola, che io stimo questa consolatione più di duemila lire; e cenò, e pagò. Costui, mancandogli la robba, per usare una magnificenza, vendè se stesso. Morendo, a tutti e frati che lo richiedevano che si facesse seppellire alla chiesa loro, promise, per non negare nulla: e rimproverandogli e parenti la sua prodigalità, mentre che moriva, sempre disse queste parole: Quod donavi habeo, quod retinui perdidi, quod negavi doleo.

287

Guglielmo Borsiere, piacevole huomo, standosi a Bologna, veduto un dì passare un malandrino suo amico e molto infame, lasciato un cerchio di cittadini, corse là a inginocchiarsigli a piedi, e fegli un gran motto. Di che ripreso poi da' cittadini, disse: lo vi fo honore delle robbe vostre, portandole in dosso; al malandrino fo honore, perchè non mele tolga. Costui appiccava le candele a' Santi e diavoli: a quegli, perchè gli facessero bene, a questi, perchè non gli facesser male.

288

Federico Conte da Monte Feltro, picciolo di anni dieci, quando il Conte Guido fu tratto di prigione, e' rimase in prigione di M. Malatesta. Passato che fu il tempo della tregua, il Conte cavalcò sopra i terreni di M. Malatesta, il quale, chiamato a sè Federigo, disse: Vedi, figliuolo, tuo padre è cavalcato sopra Arimino armata manu una volta; se e' cavalca la seconda, io ti farò tagliare la testa. Rispose: Se vi cavalca anco la terza, a chi farete voi poi tagliare la testa? Di che campò.

289

Uno, per parere filosofo, molte cose haveva sopportate e, havendone sopportata una grande, disse a chi la riferiva: Se' tu chiaro? Credi tu hora ch'io sia filosofo? Rispose quel tale: Harelo creuto, se tu non havessi parlato.

290

Il Re Adoardo d'Inghilterra teneva in corte un Messer Merlino con buona provisione, acciò attendesse a scrivere le semplicità che si facevano nella sua corte. Havendo a mandare a Roma lettere in furia, non trovando nessuno che si vantasse d'andarvi in fra il tempo, solo un Bichino cavallaro se ne vantò. A cui il Re fe' dare mille ducati, e mandollo. Scrisse Merlino questa. II Re, saputolo, dimandò, perchè 1'havesse scritta. E' rispose, perchè colui non poteva attenere la promessa, che era impossibile, e perchè quello che farà 1'harebbe fatto con cento ducati. E il Re: Se non osserverà, m'ha promesso di rendermi e mille ducati, sì che cassatemi. Non, disse Merlino, io pure scriverò per hora la vostra; quando Bichino ve gli renderà, cancellerò la vostra, et scriverò la sua.

291

Messer Canti Gabrieli fu molto richiesto da' Lucchesi per loro podestà, e perchè non si voleva obligare a' loro statuti e sindicati, mai non accettò. Venendo in Italia lo Imperatore Arrigo, desiderosi pure e Lucchesi di podestà famoso, lo elessero con maggior salario e con più libertà. Venendo, tra gli altri gli venne incontra un Betto Giallonello suo noto, rallegrandosi e dicendo, il popolo esserne sì contento, e che tante volte 1' haveva voluto, rispose: Io non n'accorsi che mi volessero se non hora.

292

Tornato un mercante di Schiavonia, arrivò al porto di Fermo con astori, e tutti fuor che uno gli haveva venduti; quello volle in compera il podestà. Hor andando il mercante per danari, era dal podestà mandato alla podestessa, e da lei a lui, e così dileggiato. li quale accortosi, uscì fuora per la terra, gridando: Guai a questa terra, che il sale ci pute! Fu inteso il grido, condannato il podestà, et egli a doppio soddisfatto.

293

Un giovane s'abbracciava la matrigna. Avvedendosene il padre, terribilmente se n' adirò, dicendo: O maledetto figliuolo. Li domandando il giovane: Oh, che ho io però fatto? Come, disse il padre, o tu abbracci la mia moglie e tua matrigna? Oihmè, disse il figliuolo, o voi abbracciaste tante volte mia madre!

294

Udendo Lorenzo de' Medici messa da M. Manente Buondelmonti, il quale è tenuto bugiardo huomo, disse: Io non dubitai mai della fede, se non stamani, havendo udito il Vangelo di San Giovanni Evangelista da M. Manente.

295

A1 medesimo disse volersi confessare da lui, perchè se per avventura ridirebbe e suoi peccati, e' non sarebbero creduti.

296

In casa de gl' Albizi era una vedova bella, la quale accozzò il pettignone con un bel giovane de' Peruzzi, e pubblicossi in modo la cosa, che molti de' principali de' Peruzzi, per loro scusa e per rimediare alla vergogna delle due case, se ne vennero a M. Maso de gli Albizi, dolendosi per l'honore della casa sua. A' quali egli rispose che questo honore sarebbe vil cosa, stando in un poco di imbratto (cosa sporca) ch' elle hanno a lato al culo un dito.

297

Nofri Parenti, savio huomo, soleva lodare se stesso molto e, quando era ripreso, diceva: Voi non dovete sapere che io non ho consorti, e però bisogna ch'io stesso m'aiuti, mostrando l'usanza a Firenze de' parenti che lodavano l'un l'altro.

298

Nofri, sendo preso per sessantasei (accoppiamento tra uomini), si scusava con dire: lo non sapeva nulla di questo; che io attendeva a sodomitare e fare e fatti miei.

299

Giovan Simone dice che l'arte del toccato (musica) è cattiva arte, perchè ne guadagna più il discepolo che il maestro. Caricatura di Leonardo da Vinci

300

A1 tempo che gl' animali favellavano, si solevano anchora confessare. Hora confessandosi l'asino dell'arte sua, cioè del toppa la chiave, era molto ripreso dal confessore, il quale gli mostrava quanto fussero aspre le pene dell'inferno; e mostrava la gloria del paradiso quanto fusse grande, annoverando molte parti. Dimandò l'asino se in paradiso si chiavasse. Inteso che non, disse: Et io ne voglio innanzi ire all'inferno.

301

Vantavasi un vecchio, già stato soldato, di essere prode huomo al servigio delle donne, e dicendo uno che era presente: E' non è meraviglia, che siate martiale, rispose un altro: A questo fatto bisogna esser giovinale.

302

Un frate soleva venire in Orto San Michele a trovare un certo cherico. Fugli detto da uno di que' preti: Non vi vergognate voi, frate, a ire dietro a cotestui che è maggiore di voi? Il Priore di Lucardo che era quivi presente, disse che all'hora sta bene la vite, quando il palo la sopra giudica.

303

Havea Lorenzo de' Medici la bocca incotta (scottata) per il freddo. Hora essendo una mattina a tavola, disse il Butta: Lorenzo, voi siete guarito della bocca. Et Lorenzo: Et anche tu, perchè tu l'adoperi meglio che mai.

304

Essendo Andrea del Fede invitato da un famiglio a fare a punzoni (pugni), frappava molto a tavola, dicendo: Se non fusse, Lorenzo, che io ho paura di voi, io farei e direi. Disse il Butta: Oh, Lorenzo ha sopportato che l'inganni ogni dì de' cavai che tu gli comperi; credi tu che non sopporti che tu tocchi dieci punzoni?

305

Un savio Cavaliero Fiorentino suol tal volta, per il bere troppa acqua, a pena potere isciorre la lingua per dire una parola. Un tratto dicendo alcune parole savie, ma a pena potendo darle intendere, disse Lorenzo de' Medici: Vox quidem Iacob, manus autem Esau.

306

Giovan Francesco Venturi e Nicolò di Ugolino Martelli giocavano in casa di Strozzo a scacchi, e vennero a quistione e a parole villane in modo, che Nicolò disse: Se nun fusse che io riguardo che noi siamo in casa Strozzo, io farei e direi. Disse Strozzo: Fate pure ciò che voi volete: chè della casa mia potete fare a sicurtà.

307

Confortando Cosmo un povero contadino che si accostasse al fuoco, essendo gran freddo, gli rispose: Cosmo, e' non mi fa freddo. E Cosmo: Io vorrei che tu m'insegnassi come tu fai. Rispose: Se voi vi metteste tutti i panni vostri a dosso, come fo io e miei, e' non vi farebbe freddo.

308

Dolevasi con Cosmo uno che gl' haveva poste troppe gran gravezze (tasse), e domandavagli, in su che gliel'havesse poste con molte parole; e aspettando la risposta quel tale, solamente disse: Be', fatevi con Dio, e andossene.

309

Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici voleva acconciare un soldato con un Signore, e dicendo esso Signore: Io lo torrei, ma e' si vanno poi con Dio, rispose Lorenzo: Imbè, ecci un buon rimedio a cotesto. Dimandò il S.: E quale? - Che voi lo cacciate via, innanzi che se ne vada.

310

La predica del Piovano Arlotto, essendo a Palermo capellano di galee, fu divisa in tre parti con questa propositione: La prima parte intenderò io, e non voi; la seconda voi, e non io; la terza nè l'un nè l'altro. E fu la prima che egli havea bisogno d'un mantello, la seconda di cambi et marchi, dicendo che non sapeva come se l'acconciassero, ma che l'intendevano fra loro, la terza la Trinità.

311

Un padre soleva mostrare al figliuolo la Giustitia e dirgli: Vedi tu quelle bandiere? quella è la Giustitia, e quello che tu vedi dietro, è il ladro. Advenne un dì che si faceva l'offerta a S. Giovanni, e dietro a loro pennoni seguitavano molti cittadini. Ricordossi il fanciullo di quello che gli havea mostrato il padre, e gridò a un tratto: O, babbo, tanti ladri!

312

Un predicatore, trattando della Anuntiatione, disse tra l'altre sue sciocchezze: Che credete voi, donne, che facesse all'hora la vergine Maria? ch'ella s'imbiondisse? Madonna non; anzi si stava dinanzi a un Crocifisso, e leggeva il libriccino della Donna!

313

Un fanciullo cavalcava in groppa, e'1 padre suo in sella, e disse semplicemente: O babbo, quando voi sarete morto, non cavalcherò io in sella?

314

Luigi Pulci, lodando un medico, suol dire: E' si porta come un Paladino. E Messer Pandolfo da Pesaro dice: Egli attende a trionfare; perchè non si poteva trionfare a Roma, se non quando erano stati morti parecchi migliaia.

315

Luigi detto non siede mai a tavola di dentro, e dice che ha paura rimanere appiccato al muro come cessante (debitore).

316

II medesimo dice che sarà pure meglio che'1 Duca di Ferrara si tolga quella bestia da' Vinitiani, e che, se pure non la vuole, riscriva in dietro, che gnene manderebbero un'altra.

317

Luigi Pulci dice che non si dovrebbe mai dare limosina a un cieco; perchè, data che tu gli l'hai, ti vorrebbe all'hora all'hora vedere appiccato.

318

Un altro matto, sendo in chiesa, e sentendo imporre 1'uffitio da un prete e di poi dopo lui tutti gli altri gridare, ut fit, diede a quel primo una ceffata, dicendo: Se tu non havessi cominciato, quest'altri si sarebbono stati cheti.

319

La Ginevra de' Benci, idest la Bencina, giocando noi a un gioco che si danno palmate, et essendo accaduto che Piero di Lorenzo de' Medici, mio discepolo, m'hebbe a dare una palmata, e poi a caso si ripartiva, e andava in camera a scrivere; dimandandolo io dove andasse, rispose ella prontamente: Dove credete voi che vali? Va a cancellarvene una di quelle che havete date a lui.

320

Un matto dimandato, per che cagione andava sempre su per e muriccioli e non per la via, rispose: Perchè per la via vanno le bestie.

321

Un Tedesco, bevendo co bicchieri piccioli, come havea bevuto, gli lasciava cadere; dimandato perchè, disse che lasciava loro, quando essi lui.

322

Donatello tigneva e suoi fattori (garzoni), perchè e' non piacessero a gli altri.

323

Lagata, mio compare, quando uno dice: E' m'incresce a stare nel letto, dice che, se egli stesse a lui, gli farebbe stare in su la colla.

324

Un bisticcio piacevole mi disse a questi dì Sandro di Botticello: Questo vetro, chi il votrà? Vo'tre; e io v'atrò (voi tre e io vi aiuterò).

325

Carlo del Grasso, andandosi a spasso con uno, il quale gli volea mostrare una sua dama che si stava alla fenestra, haveali detto che guardasse di non fare cenno nessuno, acciò che ella non se ne avvedesse. Come la vide, accennò con tutto il braccio, et disse: Qual di' tu? È ella quella? Fuggì la fanciulla, e lo sciocco si voleva dare al Diavolo.

326

Un dottore promise a un contadino, che gli voleva insegnare a piatire (vincere le cause), se gli donasse un ducato, per modo, che sempre vincerebbe. Colui promise, e il dottore gli disse: Niega sempre mai, e vincerai. Poi chiese il ducato promesso, e '1 contadino subito negò havendoglielo promesso.

327

Cosmo diceva che e danari de' notai facevano infiare le gambe, perchè si vuol fare le cose chiare et adhibitis notarijs; alioqui nuoce.

328

Nicolò Giugni diceva: Io sono il più valent'huomo del mondo, ma non ti sarà detto però così da gli altri.

329

Un Ser Bernardino Aretino ha una donna piacevole, la quale un dì di festa si stava in sul uscio così a gambe aperte, e il marito le mandò a dire che serrasse la bottega, perchè era festa, e non si teneva aperto. Rispose la donna: Il condannato sarà egli, che ha la chiave e non la serra.

330

Uno di Hibernia, sendo ito a Roma, e havendo bisogno di un Cardinale, gli disse: Monsignore, io vi haveva menata una chinea bellissima, ma a Bologna mi fu inchiodata (ferita da un chiodo ferrandola); come sarà guarita, sarà di V.S. Disse il Cardinale: Non ti curare che la sia inchiodata, perchè se ella non fusse, l'haresti donata a me solo; a questo modo la puoi donare a tutti questi Cardinali.

331

E Vinitiani mandarono due giovani Ambasciadori all'Imperadore, il quale non dava loro udienza. Vollero intendere perchè; intesero che era usanza mandare huomini savi e non così giovani. Essi pregarono lo Imperadore che fusse contento udire alcuna parola, promettendo non dire nulla circa la commissione. Ricevuti dissero così: Sacra Maiestà, se la Signoria di Vinegia havesse creduto che la sapienza stesse nelle barbe, harebbe mandati qua per Ambasciadori due becchi.

332

Uno a un altro che haveva una macchia sul mantello disse: Tu puoi uccellare sul tuo, che tu hai una macchia.

333

Si contendeva tra Fiorentini e Spagnoli a Roma, qual fussero e migliori Christiani. Dicevano gli Spagnuoli: Noi facciamo al corpo di Christo un honore maraviglioso; e racchetavano. Come, dissero e Fiorentini, e' non è maraviglia che voi gli facciate honore; perchè noi a Firenze facciamo honore a' forestieri.

334

Braccio Martelli, leggendo un libro di Cosmografia molto strano a intendere, disse che si voleva più tosto un ronzino e andarlo cercando.

335

Cosmo, intendendo che '1 Duca Francesco già Duca era a campo (in guerra) a una terra e non 1'havea, sendo domandato, perchè non 1'havesse, rispose: Perchè egli è Duca di Milano.

336

Fu detto a uno che egl'era bastardo, il quale rispose: Io sono meglio legittimo di te; perchè mio padre mi fe' legittimare, e honne la carta, ma tu che ne mostri?

337

II Piovano Arlotto, dicendogli l'Arcivescovo che suo padre haveva fatto male a porgli nome Arlotto, perchè se bene costassero assai e nomi belli, gli voleva più tosto comperare quegli cari, che e brutti a buon mercato, rispose: Oh, e' fe anco peggio mio padre; chè e'doveva prestare a usura e egli accattò.

338

Il Piovano a Londra, bagnando gli occhi di quelli Inglesi rossi e scerpellini, diceva scambio di oratione: Beete meno, che mal pro vi faccia.

339

Mise il detto al libro de gli errori il Re Alfonso che havea fidati a un Tedesco danari e mandatolo in Alemagna per cavalli, dicendo che se tornasse, metterebbe per debitore lui, e cancellerebbe il Re (vedi la nr. 290).

340

Dolevasi un Ser Ventura prete, amico suo, di non havere modo a sonare la messa, per non essere battaglio alla campana, e'1 Piovano gli disse: Zufolate, il che Ser Ventura fece.

341

Predicò il dì di San Lorenzo in questa sentenza: Popolani miei, l'anno passato vi dissi della vita e miracoli di San Lorenzo; da anno in qua non truovo, che egli habbia fatto altro: sì che Pax et benedictio.

342

Dolevansi certi, che era stato loro prestato un cavallo molto tristo che non andava, e chi gnene prestò, diceva che egli andava come una nave. Il Piovano prese una stanga e diede al cavallo per modo che lo fe' trottare, dicendo che gl'era vero che andava come una nave; perchè la nave non va senza stanghe e massime dove è poca acqua.

343

Rubbò a un Sanese quattro tinche che egli non se ne avide e, dolendosi egli, disse: Se tu havessi fatto, come ho fatto io delle mie, non 1'haresti tu perdute; chè io mi ho messe le mie nelle maniche.

344

A uno che si faceva maraviglia che due suoi compagni havevan voto un fiasco, disse il Piovano: Ogni dì due votano un pozzo!

345

Certi suoi amici botarono a S. Cresci un pesce d'uovo (frittata), se veniva ben fatto; venne peggio che tutti gli altri. Disse il Piovano: Parvi il mio S. Cresci Santo da pesce d'uova? rompetevi una spalla o una coscia, e vedrete all'hora quel che vi farà

346

A Cercina, facendosi alle buschette (tirare a sorte con fuscelli), gli toccò a lavare le scodelle; egli le calò giù nel pozzo con un corbello.

347

Era uno che haveva accattato per ire a Santo Antonio (santuario); poi non vi andò. Vergognandosi di tornare a Firenze, il Piovano lo consigliò, che se gli fusse detto: Tu 1' appiccasti a Santo Antonio, dimandasse quel tale: E destimi tu cosa alcuna? e, se dicesse non, rispondesse: Che impaccio te n'hai tu a dare? E se dicesse: Io ti diedi un quattrino o un soldino, rispondesse: Ecco te ne due, et vavvi per me!

348

Lodavano certi un cortigiano per huomo da bene, e il Piovano disse: Volete voi vedere, se egli è in vero? In tanto tempo che egli è stato in corte, non ha havuto mai nulla.

349

L'Arcivescovo, visitando la sua chiesa, trovò, dove suole stare il Sacramento, una civetta. Si scusò di questo il Piovano, dicendo che in quel popolo non vi si adoperava sacramento, perchè tutti e suoi popolani erano appiccati.

350

A uno che ogni mattina diceva sue orationi a S. Giovan Battista, e dimandava di gratia d'intendere se la donna sua era buona, e che sarebbe del suo figliuolo, rispose uno che era dietro a quel santo: Moglieta è puttana, e il tuo figliuolo sarà appiccato. Colui turbato stette sopra di sè, poi, voltosi al Santo, disse: S. Giovanni, S. Giovanni, tu non dicesti mai altro che male, e per tua mala lingua ti fu mozzo il capo.

351

Invitando uno a desinare, il Piovano Adotto disse: Io ho certi galettini che si saltano adosso tutto dì l'un l'altro in modo che io ho tutti condannati al fuoco.

352

Un certo cicalone si accompagnò col Piovano Adotto che veniva a Firenze, e dimandatolo: Che date voi mangiare a cotesta mula?, e innanzi che'1 Piovano rispondesse, seguitò colui, e innestò altri ragionamenti tanto, che giunsero a Firenze. Qui partendosi l'uno da l'altro, disse il Piovano: Paglia; che prima non havea potuto.

353

Un povero huomo s'inginocchiava ogni mattina a un Crocifisso, pregandolo che gli facesse trovare cento ducati, e dicendo: Se io trovassi un meno, non gli torrei. Uno che lo sentì ne volle fare la prova, e gettogli quivi di nascoso una borsa con novantanove ducati; colui, presala, gli annoverò, e disse: A Dio, Christo; hamene a dare uno.

354

Un ricco trovò un ducato; videlo un poveretto, e disse: Guarda, la ventura vien più tosto a lui che a me. Disse il ricco: Tu hai il torto; perchè se tu trovavi questo ducato, l'haresti speso subito e cacciatolo da te; ma io lo conserverò e terollo in compagnia de gli altri suoi pari.

355

A un paio di nozze, menando un cittadino moglie, certi giovani sgherri diedero delle busse a non so che altri giovani e sonatori che si trovavano a quelle nozze, e intra altre cose rubarono un anello alla sposa. Contavasi questa novella in presenza di Lorenzo de' Medici, e un certo, così motteggiando, disse: Egli è usanza che si dà delle busse, quando si fanno le nozze. Rispose Lorenzo: Cotesta usanza è, quando si dà l'anello, e non, quando e' si toglie.

356

Giulian Gondi, dicendo il Duca di Calabria nella guerra contra Fiorentini che tosto sarebbe alle mura di Firenze, diss'egli: Signore, quando voi siate presso alle mura, ponete mente che voi vedrete, intra due merli, un culo che harà mandate giù le brache; ma non vi venisse tratto, Signore, chè sarà il mio.

357

Il medesimo, dicendo il Duca che non si voleva mai cavare sproni, insino che non pigliasse Firenze, disse: Signore, voi logorerete troppe lenzuola.

358

A Napoli, sopra la cancelleria, è dipinto una figura di Mercurio; ma perchè quelli cancellieri son molto bugiardi, disse loro un di Giuliano Gondi che sarebbe meglio dipignerle Crisi che fu Dio delle bugie.

359

Ragionando una volta certi frati di edificij a acqua per lor convento, volendo mostrare Giuliano Gondi, quanto e' fuggono e disagi (sfaticati), disse che a Bologna era un convento, dove e frati mangiano a acqua.

360

Sandro di Botticello a uno che diceva: lo vorrei cento lingue, disse: Tu chiedi più lingue, e hane la metà più che'1 bisogno; chiedi cervello, poverello, che non hai cica.

361

Un contadino haveva botato di fare un'imagine a' Servi di uno suo asino malato. Dimandò il ceraiuolo: Come l'ho io a fare?, volendo dire, se 1'haveva a fare col basto o ignudo. Il contadino, inteso altrimenti, disse: Fallo pensativo; perchè quando io lo carico, egli ha del pensativo molto.

362

Benedetto Dei dice che sarebbe buona spesa a lastricare le vigne, perchè una vite nella vigna fa due racemoli, e si zappa; e in una corte una vite fa parecchi parrili (barili).

363

Un Maestro Agnolo Barbini a una donna che lattava il bambino disse quasi per dispetto: Per certo, voi donne havete da Dio più bella gratia che voi non meritate, e, dimandato perchè, disse: Perchè se vi havesse fatte le poppe tra gambe come a l'altre bestie, per certo voi eravate una schifa cosa a vedervi lattare.

364

Iacopo Morelli vecchio haveva la moglie giovane, e non facendo il suo bisogno, ella lo trascinava, ma tutto in vano: fesselo montare a dosso, non veniva a dire nulla; montò ella di sopra, il medesimo. Disse all'hora Iacopo: Giovane sciocca, e' non può ire alla china, e tu vuoi che e' vada all'erta.

365

M. Toccante da Lucca a uno che si doleva d'un fante che gli havea fatto cattivo servigio, perchè haveva penato otto dì o più a ire da Roma a Lucca, disse: Ohimè, lascia dire a me che un fante m'ha promesso già un mese di venire a Campo di Fiore, e non è venuto.

366

M. Toccante, sentendo uno che si vantava d'haverlo fatto a una femmina molte volte, disse: Per Dio, ch'io l'ho più caro, che se io proprio 1'havessi fatto!

367

Non per l'amor di Dio, ma perchè tu n'hai bisogno. Questo disse Donatello a un povero che gli chiedeva limosina per amor di Dio.

368

Io non voglio stare con M. che fa fuoco in finestra. Questo disse un famiglio Tedesco, vedendo fare fuoco ne' camini, conciò sia che in Lamagna usino stufe.

369

Secondo che la si butterà. Questo diceva un M. Galeazzo, il quale, mentre disegnava, domandato che cosa volesse fare, diceva: Oh che so mi? secondo che la butterà, come quello che non sapeva quello che a disegnare s'havesse.

370

Un Giudeo, dimandato se, trovando in sabbato diecimila ducati, gli toccherebbe, rispose: Sabbato non è, e danari non ci sono.

371

Un matto era in Firenze che soleva dar (bastonate) a quanti cani e' trovava, onde un tratto, havendo dato a un bracco, toccò dal padrone d'esso non so che mazzata. Di che, dicendogli poi e fanciulli: O tale, dà a quel cane, rispondeva: Non, ch'egli è un bracco, chiamando bracco tal'hora tale che non era mastino.

372

Tu fai come il pecorino (agnello) da Dicomano. Ciò vuol dire: Favelli poco e male, tratto da un pecorino che un contadino da Dicomano, per frodarlo, havea nascoso in una soma, il quale, non havendo mai fatto un zitto per tutta la via, a punto cominciò a la porta a belare.

373

E' ci saranno de gli arreticati (eretici). Disse quello che s'andava a mozzare gli orecchij, e avevagli mozzi.

Egli ha diciotto a coderone. Quando un gioca nel sicuro.

Chi è asino, e cervo essere si crede, al saltare della fossa se n'avvede.

Bocca baciata non perde ventura; anzi rinuova, come fa la Luna. Proverbio del Boccaccio, nella novella della figliuola del Soldano.

Chi s'impaccia con tosco, non vuol esser losco.

Tanto seppe altri, quanti altri.

Qual asino dà in parete (dà calci al muro), tal riceve.

Cagna frettolosa fa catellini ciechi.

Medico pietoso fa la piaga puzzolente.

Co santi in chiesa, co ghiotti in taverna.

Il lupo è fatto frate.

Chi pecora si fa, il lupo se'1 mangia.

È gia di là dal rio passato il merlo.

Zara a chi tocca!

Chi ben siede, mal pensa.

E pesci grossi escon d'ogni rete.

La piena ne mena così una trave, come una paglia.

Le gran case sempre sono dishabitate da alto. Di Giovanni Bartoli.

374

Il Cortona fu uno che sonava la cornamusa, sempre facendo un verso medesimo, e quando e fanciulli dicevano: Cortona, muta verso, diceva: Muta quel muro tu. E da lui è tratto il proverbio La cornanusa del Cortona.

375

Il gran connestabile, huomo eccellente, e senza alcuna lettera, anzi senza sapere pure leggere, dimandò una volta e suoi cancellieri che cosa volesse dire nella lettera "etc". E rispondendo eglino, per levarselo da dosso, che le venivano in grande honore dalla S.S., soleva poi, quando scrivevano, sempre accostarsi loro e dire: Mettegli bene di quelle zetere.

376

Ainolfo Popoleschi, sendo Capitano di Pistoia, impazzò, onde il cancellieri, per conservargli 1'honore, lo serrò in una camera, e egli, fattosi alla finestra, cominciò a gridare, e a chiamare Cardinale Rucellai che era vicino, che l'aiutasse, dolendosi del cancellieri, dicendo che gl'haveva dato. Il cancellieri informò Cardinale del caso, ma, vedendo egli che pure Ainolfo si doleva, si volse al cancellieri, dicendogli una carta di villania, e il cancellieri non disse altro se none: E due, e andossi con Dio. Questo motto soleva essere molto famigliare di Cosmo.

377

Essendo Giuliano de' Medici picciol fanciullo, gli fu detto, mentre era alla guardispensa (gabinetto), che Papa Pio passava, et egli rispose: E' si passi; io vuo' cacare. E questo anchora è già in proverbio.

378

Il Barghella fu piacevole nuovo pesce, e soleva di Lionardo e Carlo Aretino dire: Che Carluzzo e Lionarduzzo? Se io ho parecchi lettere greche, gli cacciarò tutti nel merduzzo! E, per apparare lettere greche, fe' pensiero d' andare in Costantinopoli; ma, inciampato a Napoli, si innamorò di non so chi ch'io non me ne ricordo, e quivi spese tutti e suoi danari. Tornato poi scusso a Firenze, contava questo suo caso, e sempre soggiungeva: E queste furono le lettere greche che apparò il Barghella.

379

Gigi pazzo, essendogli tolta la berretta da un fanciullo, chiamava suo padre che havea nome Nanni, huomo piccioletto, poco più savio che '1 figliuolo. Hora correndo Nanni dietro a quel fanciullo, Gigi cominciò a gridare: Fuggi, fanciullo, che ecco Nanni!

380

Uno che era stato miterato (messo alal gogna) soleva dire: Oihmè, io non vorrei che si sapesse a casa mia.
E non ci è sì fresco uovo, che non guazzi.
La grana e '1 bruco è '1 bullettino de'pazzi
E tal porge bottoni che è tutto occhielli.

E sguinzagliare alla fantasia, e razzolare con la fantasia. Et artuzza pelle pelle.
È uscito di sè, se mai v'era suto.
E' lo confessava per B. molle, cioè forte, e tagliandoli la honorata zazzera, allo assegnamento della quale e' fu dottorato.

Impazzare a conumelle

E gl'occhi aperti a sportello.
Così mille volte come una. Del Boccaccio.

Il Regola diceva: Sai tu herba verde?, e soggiugneva: Mena a pascere questo capro.

381

Piero di Cardinale fu huomo molto pigro, il quale, domandato come facesse dello scrivere le lettere, rispose: Come? che non scrivo mai. E dicendo colui: O, come fai tu delle lettere che ti sono scritte?, et egli: Non le leggo mai. Onde Lorenzo de' Medici, quando non vuol leggere lettera, suol dire: Io farò Piero di Cardinale.

382

Un sensale Bolognese, quando assaggiava e vini, faceva un scoppietto con la bocca, inchinando gl' occhi, e accennando col capo; quando poi gli era detto: O, questo vino mi pare forte, rispondeva: Oh, te 1'azzennai ben mi (te lo dicevo ben anch'io).

383

Il Boccaccio scrive, nel Comento di Dante, un proverbio che la scrittura santa ha'1 naso di cera, volendo significare che si può ad ogni luogo torcere.

384

Un proverbio è che le paure son divise per lo mezzo.
La violenza, ovvero l'armi sono il giudice dell'appellagioni de' potenti.
Le leggi son fatte come la pelle del cerviatto; chè una medesima mano la stende per il dritto, e per il traverso.
Guai a quella città che si consiglia più alle cene e negli scrittoi, che in palagio!
È somma prudenza, quel che non si può vendere saperlo donare.
La fortuna è uno de' senni di Dio.
Mal vendica sua onta chi la piggiora.
Stolto chi fa a gioco, dove può perdere, e non vincere.
Il casettino di Barlaam che di fuori era oro, e dentro fetido.
Chi teme di morire, desidera di non vivere.
Assai gran pericoli si vincono per disperatione.
Il paragone de gli huomini sono le avversità
Tu fai come colui che si tagliò e coglioni per dispetto della moglie.
La guerra de' lupi è pace de gl'agnelli.
Il gentile ama; il villan teme.
Nuovi ragionamenti fanno nuovi casi; e nuovi casi vogliono nuovi modi.
A porco peritoso non cade in bocca pera mezza.
II negligente è servo del arrischiato.
La moglie di Zaffo haveva prima pisciato, che fusse alzata.
Tal vende il senno a ritaglio, che harebbe bisogno di comperarlo in grosso.
Chi la giustitia impedisce, di giustitia perisce.
Chi fa tosto, si pente a bell'agio.
Chi ben guerreggia, ben patteggia.

385

Quando Lorenzo de' Medici vuol significare che qualcuno si sa ben dichiarare, dice: E' distende ben le cetere. Ancora, volendo significare una cosa haver del peregrino e leggiadro, suol dire che quella tal cosa trebbianeggia; altri dicono: Ell'ha del cotognino.

386

Tu sei più tondo che 1' o di Giotto.

387

Una donna, in assentia del marito trovandosi con un suo brigante, venne a patto di non manomettere se non monte ritondo, e, provatasi, disse: Hora faremo così, fin che torni.


388

Gigi pazzo, sentendo il padre nel letto manomettere sua madre, lo dimandò: Che fate voi? E rispondendo Nanni: Oh, che so? io fo, disse Gigi: Umbè, fate tosto, ch'io vuo' fare anch'io.

389

Zanobi Girolami era compagno al banco di Nicolao Frescobaldi, del quale poco si fidava. Avvenne che, essendo una sera a noverare danari, venne un ladro, e tolse la tasca ch'era là vicina. Hora Zanobi s'avviò dietro a esso, gridando: A1 ladro, al ladro! e, vedendo gli altri garzoni del banco che lo seguivano, diceva: Habbiate gli occhi a Nicolao!

390

Chi ci bacia, ci vuol bene. Messer Agnolo della Stufa al Duca di Milano.

391

II can piscia, e la lepre ci fugge.

392

Nicolò Barbadoro, potente cittadin Fiorentino, havendo havuti da un forestiere danari in deposito, e fatto fede di sua mano, venendo il tempo che il detto gli richiedeva, gli negò, e accusollo per falsario in modo che fu morto. Era consapevole di questo un Piero di Ugolino sensale, il quale, veduto questo gran tradimento, disse fra sè: Io non voglio più credere che Iddio ci sia, se io non veggo vendetta; e cominciò a stare molti anni che mai non entrò in chiesa. In fine, essendo poi confinato nel 1434 detto Nicolò, e pubblicati e suoi beni, e fatto mal capitare, disse detto Piero: Iddio, tu c'eri pure; et da indi in là cominciò a credere.

393

Uno haveva venduti poderi e vigne e case, e essendo povero, fu dimandato: O, che è di quei tuoi poderi? E egli sorrise. E di quella bella vigna che n'è, Holla venduta, chè ell'era torta, e bistorta, e in ogni modo si sarebbe infradiciata, che vi pioveva come fuori.

394

A uno inefficace usa M. Marsilio questo motto: Tu fai come il porco che tutto dì mena la coda, e mai non l'annoda.
Chi s'impaccia co' cani, si trova con le pulci.
Chi si vendica, s'assicura. Se tu havessi il mondo in uno scacchieri, non lo sapresti in tutto di acconciare a tuo modo.
Il marinaio non si conosce mai bene alle bonaccie.
La freccia di San Bastiano. Tu vai chiamando la gatta mucia.
Il lupo da morto e da vivo pute.
Le parole son femine, e fatti son maschi.
La donna di buona razza fa sempre la prima figliata femina.
Biasimare un principe è pericolo, lodarlo è bugia.
Nè tu, nè lui. Questo motto diceva il Salvato, quando sentiva dire che qualcuno fusse buono.
Chi vuol trovare la gallina, scompigli la vicinanza.

395

In uso di proverbio è il detto del Duca di Milano Galeazzo Maria di un ragazzo nero e brutto, il quale disse maravigliarsi, perchè il padrone lo tenesse, se non havesse già qualche virtù segreta.

Adagio, disse il Fibbia (andando al patibolo).
Rodersi il basto, come gli'asini da Montereggio.
Dice egli, disse Papitani.

Egli ha paglia in becco (mani in pasta).
Tu non sapresti accozzare tre palle in un bacino.
Tu vuoi dare l'ambio a' topi.
Tu vuoi tor la ranocchia del pantano.

396

Di uno che, essendo Ambasciadore a Roma, prima che quindi partisse fu eletto altrove, disse il Franco che egl'era un ambasciadore a duo torli.

397

Un'altra volta disse: Io ho fatto tre hore il Cicutrenna intorno a un bicchiere, alludendo a un messo cosí chiamato.

398

Lasciare a disvantaggio, cioè impazzare, quasi alludendo a chi lascia il cane dietro a un fiera a disvantaggio che non la può giugnere, e smarriscesi.
Sguizzagliare alla fantasia è traslatione del medesimo.
Tagliare (raccontar balle), e scagliare: quello de' milantatori, questo de' bugiardi.
Gettarsi di barca: quando uno è disperato.
Sforzeschi in campagna, Bracceschi in battaglia
Di lunge da occhio, di lunge da cuore.
A chi ha voglia di bere non giova lo sputare.
Le tue bestemmie faranno come la processione che ritorna per l'uscio che l'esce.
Ogni cane vuol pisciare al muro.
Saran quest'anno di molte pere, diceva l'orso, perché n'harebbe volute.
Tu farai la via della rondine, cioè per la finestra.
Ti manca un O, e sarai Giudeo (nel 1446 gli ebrei dovevano portre un cerhio giallo sulla spalla)).
La Berta fila: quando uno fa quello che mai non fe' (la vecchia puttana, fila).
Quel che egli ha, non è suo.
Costui è un huomo da capire in ogni lato.
Tu sei una perla, idest, tondo.
Egli è un huomo che s'arragazza, cioè sodomito.
Egli è di buona coscientia, idest: ha buone coscie.
È rassetta (ripulisce) ogni minima cosa, idest: egli è ladro.
Egl'è huomo di discretione, idest, usuraio.
La notte è madre de' pensieri.
Chi altrui tribula, se non posa.
Tu sei figliuolo della discretione, idest, asino.
Fare a taglia coda, alias mozza coda. Proverbio, tratto da' cacciatori che fanno correre due cani insieme, e al più lento taglian la coda.

399

Dionigi Pucci di un certo che in un caso importante compariva bello in piazza disse che non havevan bisogno all'hora di questo maggio (ramo di Calendimaggio). Caricatura di Leonardo da Vinci

400

Appiccare un pennecchio alla coda. Noto proverbio.
Il freno indorato non migliora cavallo.
Egli è huomo di stima, idest, bue.
Di molti vitij è l'havere mantello.
Chi non vuol parere lupo, non porti la pelle.
Tu sei sordo, e io odo peggio di te.
Il matto non può havere senno, se non l'accatta.
Fregiando la parola, il vero si cela.
Quando la donna folleggia, la fante danneggia.
Non si può per gravezze o per senno fugire cagione; ma colpa sì.
L'huomo vitiato non s'accosta a lumiera.
Più grave è mutare l'usanza, che la natura.
Tutto sia grande la pietra, la picciola la rincalza.
La vecchia, quando gioca, fa diletto alla morte.
Il buon servo comanda al libero.
La dottrina delle buone cose si dee propaginare.
Tu dispari, se non appari.

Chi tosto giudica, di pentire. s'affretta.
Tacendo, il matto sarà tenuto savio.
Meglio è che tu abbandoni la ventura, che la fede.
Chi dona all'indegno, due volte perde.
Tre cose sono odiose: povero superbo, ricco bugiardo, vecchio stolto.
La buona fama nelle tenebre fa buono splendore.
Se nuova loda di te non nasce, la vecchia che hai si perde.
La verace loda mette radici e propaggine.
Domenedio dà ogni bene, ma non per le corna il toro.
Termine (domanda) sopra il termine, scaltrimento di negare.
Servigio preso, libertà venduta. li rimedio dell'ingiuria si è dimenticarla.
Chi si parte dell'amico, va caendo cagione.
Lo savio dee havere ricchezze sotto e piedi, e non sopra '1 capo.
Chi uno ne castiga, cento ne minaccia.
Più fa il tempo, che forza o senno.
Chi dà, insegna rendere.

401

Assai mi serve, quando mi richiede, disse M. Nicolò Buonsignori al mandato di M. Giovanni da Camerino, Capitano di guerra de' Sanesi, che gli chiedeva uno astore, scusandosi che ancora non 1'havesse potuto servire in casi d'alcuni suoi amici.

402

E benefici e sacrifici ti fanno spalle a malefici.

403

Tre cose inanimate sono più ferme che l'altre nel loro uso: il sospetto, il vento e la lealtà; il primo mai non entra in luogo, donde poi si parta; l'altro mai non entra, d'onde non vegga l'uscita; l'altra, d'onde un tratto si parte, mai non vi ritorna.

404

Ha Monsignore Gentile Vescovo d'Arezzo un cavallo, chiamato il Fangotto, molto bello e grasso, il quale, essendo a questi dì a Cafaggiuolo, veduta una cavalla, cominciò a imperversare et a nitire, e tanto fe' che sforzò il famiglio che lo riteneva, e fuggissi. Aspettava ogn'uno ch'il cavallo andasse a fare la festa con la druda; ma egli, tratte parecchie coppie di calci, correndo, si pose a pascere nel mezzo del prato come un pecorino.

Parve novella da potersi ridurre in proverbio.

405

Chi dice bene, ci fa male. Con una mano tira a sè l'auditore, con l'altra lo caccia; è sentenza di Chrisostomo.

406

La pace del monaco vuol dire buona pace et mala volontà, perché fu un converso in badia che haveva detto circa quaranta anni i suoi paternostri ogni dì a un Crocifisso, e poi gli cadde in capo, et ruppeglielo; non gli voleva perdonare, ma, stretto dal priore, fe' in fine pace, dicendo nondimeno esserci tutta via la mala volontà.

407

E io pazzo andai a impacciarmi con fanciulli. Questo disse uno che haveva divotione in quel Domenedio picciolino (statuetta) di Orto San Michele, che disputa, il quale poi che ebbe accese molte candele, perdè il piato, di che si era a detto Domenedio più volte raccomandato.

408

Eravi un molinaccio. Questo proverbio è accomodato a chi dice qualche bugia, e non la può sostenere. Il Regola contava di havere rotto in mare, e a nuoto essere scampato in uno luogo diserto, dove non era nulla da mangiare. Domandato: O, come facesti tu?, disse che s'havea mangiato un tedesco, e cottolo su carboni. E demandato: O, d'onde havesti il fuoco?, diceva che sempre portava seco il focile, e ogni pietra è focaia. E pure domandato: Oh, le legne, d'onde l'havesti ricorse?, diceva: Quivi era un molinaccio guasto, e cacasangue ti venga!

409

La cavalla di San Vito ammazzò la figliuola, perché le toglieva la prebenda.
Il porco vive sulla pelle, idest, ut occidatur.
Tu fai come il gallo: canti bene, e raspi male.
Pongli mente alle mani, e non a gli occhi, disse l'uccellino.

410

Egli ha preso il porro, idest, il sale. Un prete, leggendo: Porro unum est necessarium etc., dava al popolo suo porri benedetti. Un cittadino, parendogli pazzia, non voleva pigliare il porro suo; il prete l'accusò per heretico al popolo, onde toccò di molte pugna, tanto che prese il porro.

411

E' furono in Pistoia a una cena molti huomini e donne. Fu vi un giovane tra gli altri più leggieri, il quale, dopo molti motteggi dando noia a una bella fanciulla, e biasimandoli il marito, che era vecchio, e non poteva, e che era compagno del gallo, la strinse molto prosontuosamente se era vero che il marito n'havesse poco, come egli sapeva. Ella, dopo molte parole fattele da quel giovane liggieri, rispose: Tu non lo puoi sapere da altri, che da mogliata (tua moglie) che ha provato, e che è qui presente. Alla quale risposta omnes obmutuerunt.

412

La medesima, parlandosi un giorno fra molte donne, dove elle era, e ragionandosi de' mariti, l'una diceva: Io mi nascosi quando n'andai a marito, l'altra: Io non mi cavai la camicia, l'altra: Io non volli che e' mi toccasse; e demandata ella che taceva, rispose: Tanto facesse il mio, quanto io lo lascierei fare!

413

Martino Scarfi in Siena, per essere grasso, e' Sanesi l'uccellavano con dire che portava la valigia dinanzi; egli rispose: In terra di ladri s'usa cosí.

Nodo viciano

home

Home