PRESENTAZIONE

 

Il Maso chiuso, un'utile realtà nella struttura agricola e sociale del Sudtirolo ed un antico istituto giuridico germanico, incastonato nel diritto italiano mediante norme di valore costituzionale. Fatto importante perché ha dimostrato che il diritto romano rimane uno straordinario strumento per inquadrare logicamente le regole di un sistema giuridico, ma non ne deve condizionare il contenuto, proprio per il fatto che è solo uno strumento.

Il contenuto di un sistema giuridico è generato nel tempo dalla ragion d'essere delle cose, dalle tradizioni, dalla politica, dalla religione, ed è, per natura di cose, contingente e variabile, anche in relazione ad altri sistemi con cui deve convivere (ad esempio norme sovranazionali); ma sarebbe grave errore il pensare che il fatto di essere qualificato come diritto, gli conferisca un valore aggiunto; i grandi valori, i principi fondamentali i principi ineludibili, devono essere voluti, ed aggiornati, dal legislatore-politico e non dai giuristi.

Questo libro si propone di dimostrare che l'istituto del Maso chiuso ha una sua logica ed una sua utilità, che ne ha giustificato l'inserimento nel nostro ordimento, senza alcun attrito, salvo le resistenze mentali di chi pensa che proprietà e famiglia sarebbero travolte da norme un po' diverse da quelle che abbiamo conservato dal diritto romano e dal codice napoleonico. Regole che tutto impone e nulla vieta di adeguare ai nostri tempi, in rapidissima evoluzione.

Lo studio svolto ci ha portato ad individuare molte situazioni in cui l'incontro fra i due sistemi ha visto punti di attrito risolti malamente perché, invece di applicare la logica giuridica, si è voluto salvare capra e cavoli; in sostanza la normativa ha retto, ma avrebbe potuto essere molto più incisiva e chiara. Non ha molto senso, per la logica giuridica, dire che l'istituto del Maso chiuso si fonda sulle antiche regole del diritto consuetudinario di altre nazioni, di altra lingua, senza poi dire espressamente quali sono queste regole!

Abbiamo esposto perciò, in modo alquanto ampio, ma per linee molto generali, stante il grande arco di tempo e la varietà di situazioni locali da considerare, come sia stata regolata l'eredità dei fondi agricoli nel modo germanico dal medioevo a tutto il 900, abbiamo esaminato la storia del sistema esistente nel Tirolo ed evidenziato le regole tradizionali. Dopo di che abbiamo esaminato la normativa italiana e della provincia di Bolzano dal 1948, dando ampio spazio alle decisioni della Corte Costituzionale e della Cassazione. Molti i punti che richiederebbero un aggiustamento delle norme.

La normativa vigente è stata esposta nel modo più divulgativo possibile, facilitati del resto dal fatto che la legge del Sudtirolo è già scritta in modo sufficientemente chiaro.

Alcuno argomenti sono stati poi trattati in modo particolarmente esaustivo:

- La possibilità di usucapione di immobili nel sistema tavolare, argomento sui cui la Cassazione si è spesso persa, cercando di conciliarlo, senza alcuna ragione, con il sistema dei registri immobiliari italiani.

- Rapporto fra legge sul maso chiuso e legge urbanistica.

- La valutazione del maso e del suo reddito in base ai recenti orientamenti della Corte Costituzionale e della Corte europea, che impongono sempre il pagamento del valore reale del bene sottratto ad un soggetto. Si è fatto qualche cenno sui metodi di estimo, ormai ridimensionati dal fatto che si deve ricercare il valore reale e concreto.

- Le norme fiscali applicabili in agricoltura e quindi ai masi.

Siamo convinti che l'istituto del Maso chiuso deve essere studiato, compreso e conservato perché l'amenità del paesaggio, l'equilibrio sociale, l'amore per le proprie tradizioni, sono il risultato di secoli di duro lavoro del popolo sudtirolese in perfetta simbiosi con i propri campi e boschi, con una continuità che solo il Maso chiuso ha consentito di conservare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

LA STORIA

 

Con il termine maso chiuso (Geschlossener Hof)[1] si intende, in Italia, quel particolare istituto giuridico per cui in Sudtirolo il podere, alla morte del proprietario, non viene suddiviso fra gli eredi, ma passa ad una sola persona, di solito uno dei coeredi, detto, erede assuntore (Anerbe, Übernehmer)[2]. Gli altri coeredi hanno diritto solo ad una liquidazione della loro quota, calcolata sul reddito del maso.

 

Il termine Hof indica genericamente la corte, la fattoria, il podere, la casa colonica; in italiano è stato reso con maso che deriva dal latino medievale mansio, indicante sia la casa al di fuori dell'abitato che la famiglia; è la stessa radice che in francese è divenuta maison. Nei documenti medievali i termini mansus, hoba, villa, curia, colonia, sono praticamene sinonimi. Più incerta l’origine del termine chiuso, per alcuni derivante dal fatto che campi e boschi circondano l’abitazione del contadino con le sue pertinenze (tesi del tutto inverosimile) oppure, più correttamente, dal fatto della sua indivisibilità; vuol dire quindi il podere bloccato, vincolato. I vocaboli della nostra lingua sono però ricchi di assonanze ed echi interiori e non si può escludere che il termine sia piaciuto perché li richiamava un po’ tutti: il maso chiuso era indivisibile, ma era anche una unità agraria, con gli edifici rustici al centro, da cui si custodiva e coltivava il terreno, così che il maso si poteva paragonare un po’ al castello dei nobili e conferiva dignità sociale a chi lo possedeva.

Nel mondo germanico il termine Anerbenrecht indicava il sistema di gestione di terreni agricoli che venivano ufficialmente vincolati in modo da consentire la loro trasmissione solo ad un unico acquirente o successore.[3]

È istituto del diritto barbarico delle popolazioni germaniche, introdotto in Tirolo dai Bavari, verso la fine del sesto secolo[4]. Presso queste popolazioni tutti i contadini di un villaggio o di un territorio (pago) facevano parte della “comunità di villaggio” (Dorfgemeinschaft) o della “comunità di pago” (Marktgenossenschaft) a cui appartenevano i terreni. La comunità regolava e sorvegliava la distribuzione della terra fra i propri membri e tutti gli eventuali cambiamenti nello stato di possesso preesistente. Ad ogni libero capo di famiglia doveva essere assegnata una porzione di terra arabile con tutti gli accessori, (bosco, pascolo ecc.), bastante al mantenimento di una numerosa famiglia con tutti i servi (Knecht). L'unità di misura di tale porzione era la Hufe (nelle fonti latine huba o hoba), la cui estensione non era fissa, ma variava, da almeno due ettari a cinque di ettari, secondo la qualità del suolo, la quantità di terreno a disposizione e i bisogni delle singole famiglie.[5]

La struttura prevalente era quella della comunità di pago con fattorie isolate ed autosufficienti, con diritti limitati di proprietà che impedivano il formarsi di grosse proprietà terriere (latifondi), ma garantivano al contadino capace, condizioni di sufficiente sostentamento. La famiglia rurale diveniva la cellula fondamentale della organizzazione sociale. La proprietà del terreno, teoricamente della comunità, di fatto restava stabilmente nella disponibilità del contadino purché fosse garantita (come ha detto dopo 1500 anni la Costituzione italiana) la sua funzione sociale. Il contadino poteva anche ampliare i suoi terreni con la bonifica dei boschi circostanti.[6]

È bene ricordare che la discesa oltre le Alpi dei Baiuvari non fu traumatica, che convissero con gli agricoltori locali e che sovente erano gli stessi nobili o la Chiesa a chiamarli in quanto era nella loro cultura di acquisire nuovi terreni disboscando e bonificando. La stessa situazione si ripeterà con i Walser, i Mocheni, i Cimbri, ancora presenti come minoranze linguistiche.

Questo sistema doveva però adattarsi alla organizzazione feudale in cui i beni immobili erano concessi ai vassalli, e da questi al contadino in cambio di prestazioni personali o di prodotti agricoli o di danaro. Vi erano anche cosiddetti beni allodiali (allod) e cioè le terre possedute in piena proprietà. Accanto ad essi vi erano beni non suddivisi in appezzamenti (Fluren), ma usati collettivamente da una comunità; erano detti Allmende o Gemeindeflur e in Val Gardena Gemoana[7]; in genere si trattava di boschi e pascoli.

Sui beni feudali e allodiali si diffuse, a partire dal XIII secolo il contratto Erbpacht, derivato dalla enfiteusi, che era un contratto di locazione a lungo termine per l'utilizzo di terreni, lasciabile in eredità e cedibile.

In linea di principio, il concessionario poteva gestire la proprietà come un proprietario. L'erede succedeva nel bene indiviso; e doveva pagare al concedente (specialmente se era il bene era feudale) il laudemio, termine che, per l'analogia che i giuristi medievali stabilirono tra il feudo e l'enfiteusi, passò a indicare anche la tassa di rinnovazione di tutte le concessioni di fondi a lunga durata.

Il concessionario aveva alcuni obblighi come, ad es., quello di non peggiorare i terreni e quindi di coltivarli con continuità, a pena revoca della concessione: quello di pagare il canone annuo (dopo una morosità prolungata il padrone poteva rioccupare il podere); quello di pagare una tassa ad ogni passaggio di proprietà

Si formarono perciò due diversi tipi di relazione con i terreni agricoli: quella dello allodio[8], senza particolari vincoli, di cui il proprietario poteva disporre liberamente, e quello dello Erbpacht, soggetto a regole tradizionali. Lentamente nei paesi germanici si veniva consolidando il principio che il podere non doveva essere diviso fra gli eredi, ma che doveva passare ad uno solo fra gli eredi, detto Anerbe. Perciò vi era un Anerbenrecht che regolava questa situazione, tenendo conto, più o meno del diritto degli eredi esclusi e quello della Realteilung (divisione materiale dei terreni) che seguiva le regole del diritto romano. Purtroppo essa portava ad una progressiva frammentazione della proprietà e, di conseguenza, anche ad un crescente impoverimento della popolazione rurale, perché le loro fattorie, sempre più piccole, non potevano più alimentarla.

 

Per tale motivo il sistema ereditario germanico si differenziò decisamente da quello romano e comprese che per il miglior sfruttamento del terreno, per aumentarne la redditività, per legare il contadino al suo territorio, era necessario che l’unità agraria, il podere, non venissero frammentati ogni volta che il capo famiglia moriva. La conservazione dell’integrità del podere, della sua capacità di produrre e di mantenere un certo numero di persone, doveva prevalere sui diritti dei figli, anche se era pensiero, non espresso formalmente, che il maso doveva servire per l'intera famiglia. Si ritenne, mediante una lunga elaborazione della consuetudine, che fosse preferibile un sacrificio familiare, piuttosto che creare problemi sociali.

Scelta che si potrebbe definire “aziendale” perché il valore di una azienda non è dato dal valore degli immobili, ma dalla sua capacità di dare reddito, che andrebbe perduta in caso di divisione. Se l’azienda, come bene sociale, deve restare integra, a chi ne viene escluso non spetta il valore dei beni, ma solo un risarcimento per il fatto di non partecipare più alla distribuzione del reddito.

 

Indubbiamente la posizione degli eredi esclusi era dura[9]. Essi, se restavano nel maso, diventavano dei servi agricoli (Knecht), trattati come uno di famiglia, ma non in grado di crearne una propria; se ne uscivano, ricevevano un modesto corredo e dovevano andare in cerca di fortuna quali domestici, soldati, salariati, quali parte della "plebe" senza terreni che viveva nei villaggi; conservavano il diritto a ritornarvi e ad essere mantenuti, in caso di miseria. Solo i più capaci riuscivano a trovare soldi e terre, da disboscare e bonificare, per fondare una propria famiglia con un maso.

Va detto che questo tipo di organizzazione familiare corrispondeva appieno alle esigenze sociali: la famiglia veniva a costituire un gruppo con un capo riconosciuto ed indiscusso e i figli meno intraprendenti o contestatori, restavano al riparo del maso, che garantiva dagli sbalzi della sorte. Invece i figli più intraprendenti e capaci si dedicavano ad attività artigianali e mercantili [10], alla vita clericale o militare o, semplicemente, a farsi una fortuna, e si otteneva perciò il miglior utilizzo delle singole attitudini e capacità. È lo stesso meccanismo che ha portato l’uomo preistorico ad espandersi dall’A­frica verso tutto il mondo. Quelli meno capaci finivano a fare i vagabondi o i banditi, sempre ad un passo dalla forca o finivano a fare i mestieri dei reietti.[11]

Accanto al maso chiuso, nel corso dei secoli, si

svilupparono altre forme di organizzazione agricola quali il colonato[12], né mancavano grandi proprietà terriere in mano a nobili o alla Chiesa. Vi era quindi la possibilità di coltivare, acquistare e bonificare terreni anche per chi veniva escluso dall’eredità del maso, anche se lo sfruttamento da parte del feudatario era totale. Inoltre non tutti i terreni entravano a far parte di un maso, ma alcuni, per vari eventi legali, restavano liberi ed acquistabili; se in proprietà di un titolare di maso chiuso, sono detti “fondi volanti” (walzende Grundstücke)[13].

Nella realtà, la tendenza dei singoli, sovente in difficoltà economica, era di cercare di evitare di vincolare beni ad un maso e di approfittare di ogni occasione per distaccare da esso qualche particella. Ciò poteva accadere su autorizzazione dell'autorità, oppure per restituzione di beni dotali, oppure per giustificata riduzione del maso.

La regola consuetudinaria era che l’erede assuntore fosse il figlio maggiore (diritto di maggiorasco; in ted. Majorat), ma in alcune zone venne in uso il diritto di minorascato, in tedesco Minorat e cioè la consuetudine di assegnare il maso al figlio minore. Regola subordinata era che se mancava un figlio maschio, ereditava una figlia; a seconda del luogo, la più anziana o la più giovane.[14]

Il diritto di minorascato non serviva a tutelare il giovane, cosa al di fuori della mentalità dell’epoca, ma era nato perché se il proprietario del maso campava troppo, accadeva che il figlio (o la figlia) maggiore poteva ereditare, sposarsi e procreare solo in età già avanzata (per l’epoca), con avanti a sé una prospettiva di vita non sufficiente per allevare i figli.

 

La situazione dei contadini nell'antichità

Deve essere chiaro che questo bel complesso di regole, di fatto garantiva ben poco ai contadini (che in certe zone rappresentavano fino al 90% della popolazione), ridotti al limite della sopravvivenza, a causa dello sfruttamento da parte della chiesa che era il potere più forte, e dei nobili e per le angherie delle classi più forti. Particolarmente odiata in Germania, la chiesa era vista come una banda di fannulloni corrotti che raccoglievano soldi per sé e per Roma; i motivi per aumentare le decime erano tanti, e si arrivò anche a prelievi del trenta per cento![15] I nobili, anche minori, e il clero, non pagavano tasse ed anche chi abitava in città godeva di privilegi. Il sempre maggior ricorso al diritto romano eliminava il concetto feudale della terra come rapporto di fiducia tra signore e contadino, con diritti ed obblighi per entrambi, sostituito da una nozione di proprietà assoluta. Particolarmente pesante la posizione della nobiltà minore, formata dai cavalieri, i quali avevano perso di importanza con il cambiamento dell'arte militare, e che si dedicavano a saccheggiare la campagna attraverso rapine, estorsioni e ricatti. I patrizi cittadini non restavano certo indietro nell'imporre balzelli.

I contadini formavano lo strato più basso della società. Il contadino e tutte le cose ad esso associate erano soggetti a qualsiasi capriccio; il signore poteva prendere il cavallo del contadino e cavalcarlo a piacere; le tasse erano pesanti. All'inizio del XVI secolo i contadini non potevano cacciare, pescare o fare legna liberamente, poiché i signori avevano recentemente preso per i loro scopi le terre tenute per uso comune. Il signore aveva diritto di usare la terra dei contadini come gli pareva; spesso il contadino non poteva far altro che guardare impotente, mentre il suo raccolto veniva distrutto dalla selvaggina e dai nobili che la cacciavano a cavallo. Quando un contadino desiderava sposarsi, doveva chiedere il permesso del signore, oltre a pagare una tassa. Quando il contadino moriva, il signore aveva diritto a prendere il miglior bestiame, i migliori vestiti e i migliori utensili (diritto di mortuarium). Il contadino era oppresso da pesanti corvée (in ted. Frondienst; in Austria anche Robot o Robath), sia a favore della comunità, sia a favore del suo signore, i cui terreni doveva coltivare gratuitamente.

Fino al XIII secolo il Tirolo, specialmente al sud, aveva goduto di una situazione favorevole, con molto piccoli nobili poco potenti, e vi erano moltissimi contadini liberi, tanto che erano nate "libere comunità di contadini "(freien Bauergemeinden) che eleggevano propri rappresentanti. Essi si autoregolavano con propri statuti autonomi locali come la Val di Fiemme, Val di Non, Val di Sole, Val Rendena, Bolzano, Gries, Val Passiria, Silandro, Pacines, ecc. [16]

Questa situazione portò alle note Guerre dei contadini[17], protrattesi fino alla Riforma protestante, in cui Lutero prese posizione contro i contadini! Merita di essere ricordato Michael Gaismair, nato nel 1490 a Tschöfs, nei pressi di Vipiteno, istruito, al servizio, come segretario, del principe-vescovo di Bressanone, il quale nel 1524 guidò in Tirolo una rivolta di contadini per ottenere una diminuzione dei privilegi dei nobili, l'abolizione del potere temporale della Chiesa, il pagamento di tasse alla Chiesa solo per attività di assistenza. Ottenne anche qualche concessione dall'arciduca Ferdinando I, che se le rimangiò dopo qualche mese e lo incarcerò. Fuggì e continuò la sua lotta politica dalla Svizzera e da Venezia.[18]

La situazione, per il Sudtirolo, non era molto cambiata nell'ottocento. La descrive con vivacità il pusterese benedettino Beda Weber, che aveva insegnato a Merano dal 1826 [19], e che racconta l'estrema miseria della Val Pusteria, con i bambini che andavano a scuola, camminando anche un'ora a piedi nudi e vestiti di stracci; chi possedeva quattro camice era considerato un benestante e una patata nella polenta di grano saraceno o di segale, era un lusso. Fino al XX secolo la resa delle granaglie era di circa cinque volte il quantitativo seminato, se il la stagione era stata favorevole, e vi era poco da scialare. Vi era un piccolo commercio di prodotti agricoli portati a spalla, con quattro ore di cammino, fino a Merano, da uomini e donne e, a fine anno, un'imponente vendita di animali da carne che non potevano essere mantenuti lungo l'inverno (cica 500 maiali, 500 buoi, 3.000 ovini!). La maggior parte veniva condotta a Merano e macellata sotto i portici per essere venduta a commercianti locali e italiani, con trasporto su zattere verso la pianura. L'allevamento di bestiame era l'attività economica base del Sudtirolo, mentre il vino rivestiva solo un interesse locale. Il Tirolo del Nord era invidioso del Tirolo del Sud, limitava le importazioni di suoi prodotti e non vi investiva. Persino la bonifica delle paludi della valle dell'Adige dalla Val Venosta in giù, non venne curata, sebbene già richiesta fin dai tempi di Gaismair.[20] Solo nel 1807 si iniziò a pensare ad un progetto, per la sistemazione del fiume, più che altro per contenere le numerose e violente inondazioni.[21]

 

L'avvento dell'erede unico

La struttura familiare dell'antichità non poteva divergere molto da quella romana del pater familias. Chi era riuscito a mettere assieme una proprietà agricola, sia pure per concessione dei potenti, doveva agire come il capo assoluto ed era lui a decidere su chi poteva restare e chi doveva andarsene; era lui che doveva assicurarsi della buona condotta dei familiari nei confronti della collettività (Stato, Chiesa, nobili, compaesani). Era lui che si doveva preoccupare della continuità della produzione di alimenti e che poteva invitare uno. dei figli a prender moglie o che trovava un buon marito per una figlia, pronti a diventare il nuovo capofamiglia.

Però nel mondo germanico la struttura si consolidò in modo diverso, come conseguenza del sistema feudale che non creava situazioni stabili per i contadini; si cercò di supplire in altro modo poiché la rovina del contadino nuoceva a tutti. Perciò l'assuntore non è un dominus, padrone assoluto, ma il capo di una comunione familiare che ha lo scopo di conservare il maso nella famiglia e di tramandarlo ai posteri. Chi subentra come capo, o per eredità o donazione o acquisto, non caccia via tutti i presenti, ma è tenuto a garantire, anche per il futuro, il rispetto degli obblighi di assistenza, spesso concordati proprio in sede di trasferimento del maso. Non era per nulla strano che il vecchio titolare si riservasse in diritto di mantenimento di una propria mucca personale!


 

 

 

 

Frontespizio della

Tiroler Landesordnug del 1573

 

La regola germanica tendente a conservare unita la proprietà agricola, è stata applicata in vario modo dai paesi nordici fino alle Alpi. In Tirolo (e con varianti in Carinzia[22]) ha trovato la sua costruzione più stabile e tipica. Qui l’istituto del maso chiuso, così già denominato a partire dal 1795, per lunghi secoli regolato dalla consuetudine, venne ufficialmente regolato dalla Tiroler Landesordnung del 1573 [23], e da “Patenti Imperiali”: lo Theresianische Grundzerstückelungs- und Erbfolgepatent dell' 11 agosto 1770 e lo Franzischeische Erbfolgepatent del 9 ottobre 1795. Lo scopo di questi provvedimenti era di porre un freno alla frammentazione dei terreni, dovuta anche ad un progressivo impoverimento della popolazione (tra il 1500 e il 1700 vi era stato un calo progressivo della attività mineraria. che alimentava un florido commercio fra Tirolo e Germania, con una perdita di circa duemila posti di lavoro).

Il Codice civile austriaco (ABGB) del 1811 non ne tratta, ferme restando le leggi (Patent) citate.[24] Questo codice regola ampiamente il fedecommesso (art. 608 e segg. ), ed in particolare quello familiare, stabilendo che è una disposizione in forza della quale un patrimonio viene dichiarato bene inalienabile della famiglia, a favore per tutti i futuri discendenti o per alcuni di essi (art.618). Questo istituto era stato abolito in Francia, forse un po' frettolosamente, dal codice napoleonico, seguito dal legislatore italiano, ed anche la costituzione di fondazioni, pur permessa dal codice civile, in Italia era osteggiata dalla Cassazione, più realista del re!

La Corte costituzionale austriaca, con decisione (Erkenntnis) del 9 dicembre 2015, riconosceva la piena legittimità della normativa speciale sui masi, dovendosi ritenere prevalente l'interesse pubblico alla loro conservazione.

Il Tirolo, che aveva autonomia legislativa quale "stato della corona" (Kronland), non adottò le leggi generali austriache del 1868 n. 79 e del 1° aprile 1889 n. 52 che regolavano la successione ereditaria in agricoltura, e solo con la legge 12 giugno 1900 n. 47 emanò una propria legge sui masi (Höfegesetz), da ultimo modificata con legge 31 dicembre 2016 n. 96, rimasta in vigore, nei territori trasferiti all’Italia, fino al 1929. Proprio nel 1900 anche gli artt. 2049 e 2312 del BGB (codice civile tedesco) regolavano il caso dell'erede unico e le modalità di valutazione dei beni, basata sul reddito (Ertragswert).

La legge Tirolese del 1900, già nella versione originale, era di un incredibile bizantinismo del regolare le quote ereditarie[25] e la scelta dell'assuntore. Di fronte al principio generale per cui agli eredi rimane poco da dividere, quel poco viene diviso con il bilancino, persino distinguendo se i beni erano stati apportati dal ramo materno o dal ramo paterno[26]. Anche per la scelta dell'assuntore, dalla regola che deve essere idoneo ad una buona gestione del maso, si giunge a stabilire che se tutti i candidati risultano incapaci, il giudice sceglie il meno incapace, sperando che ce la faccia!

 

 

 Maso della Val Senales - Da una foto di fine ottocento

 

 

I principi giuridici generali

Il maso è, in sostanza, la struttura base agricola del mondo germanico: un podere formato da terreni su cui insiste la casa colonica con stalle e fienile, sufficiente ad ospitare e mantenere tutti coloro che vi lavorano, oltre a bambini ed anziani (in genere una dozzina di persone). L'estensione varia perché in zone buone, attualmente, per tre ettari di meleto o vigneto, bastano quattro persone per produrre un ottimo reddito; in alta montagna con dieci ettari di pascoli e boschi si sopravvive solo con redditi aggiuntivi connessi (lavoro salariato, artigianato, turismo).

In diritto, il maso è istituto giuridico definito dalle norme, prima consuetudinarie, ora scritte, che lo regolano, tutte funzionali alla sua conservazione. I principi a cui si ispira, sono:

- Il maso è indivisibile e tendenzialmente perenne.

- Il maso è proprietà di una sola persona fisica che diventa proprietario o per acquisto, o per donazione, o per eredità (in questo caso si chiama assuntore il quale, esaurite le procedure di assunzione, diventa il proprietario). Anomalo il passaggio di un maso a persone giuridiche, ma accettato a causa dei lasciti alla Chiesa; mancherà un assuntore e i terreni verranno affittati ad un affittuario (Pächter) o gestiti mediante un mezzadro (Halbbauer). Le terre in mano ai feudatari o alla Chiesa avevano anch'essi una funzione sociale perché consentivano anche ai più disperati di poter coltivare un pezzo di terra e di alimentarsi con il poco che gli restava dopo aver pagato affitto e decime.

L'assuntore può essere scelto anche al di fuori della cerchia degli eredi. Il maso, per il codice civile italiano, è bene personale del proprietario[27].

- Il proprietario può cedere e donare a chi vuole e può designare l'erede che diventi assuntore.

- Il maso viene ereditato da una sola persona; un tempo era il figlio maschio maggiore (talvolta il minore); le donne in certe regioni potevano assumere il maso in mancanza di eredi maschi qualificati. Attualmente vi è parità fra i sessi e si sono studiati dei criteri per individuare, il più idoneo fra gli eredi che possono aspirare ad essere scelti.

- L'assuntore riceve il maso con tutti i diritti reali, servitù, oneri reali (in primo luogo i diritti di abitazione del coniuge e figli minori) intavolati o sorti a causa della morte del de cuius. Chi acquista il maso deve rispettare questi oneri già sorti: ad es. il diritto di abitazione per il coniuge del proprietario, stabilito in sede di separazione); siccome gli altri diritti nascono solo in caso di morte del de cuius, ed a carico degli eredi, chi acquista o riceve in donazione è estraneo ad essi, se non diversamente pattuito.

- La procedura di assunzione, in mancanza di accordo fra le parti, è una procedura giudiziaria contenziosa. Se si deve decidere solo sul prezzo di assunzione, la procedura è amministrativa.

- Il maso chiuso, ai fini economici, viene trattato come una azienda. Il suo valore non è dato dai beni immobili, che non possono essere sottratti alla loro destinazione, che non possono essere ceduti singolarmente senza autorizzazione amministrativa, su cui si può costruire solo se l'edificio è richiesto ai fini della gestione agricola (ora anche agro-turistica). Il suo valore è calcolato in base alla redditività, capitalizzata.

- L'assuntore erede deve versare alla massa ereditaria il prezzo di assunzione, da suddividere fra gli eredi in base al codice civile, nel rispetto delle quote di legittima. Anch'egli, se è un erede, partecipa alla divisione e perciò compensa parte del prezzo con quanto gli spetta come erede.

 

I benefici del maso chiuso

Il maso chiuso ha resisto inalterato nei secoli, strumento essenziale di salvaguardia e progresso del modo agricolo, perché presenta chiari vantaggi economici e sociali. L'agricoltura ha tempi lunghi (la stessa attuale legge italiana prevede che i contratti agricoli abbiano la durata minima di 15 anni), ogni generazione gode del lavoro degli antenati e prepara (o quantomeno conserva) lavoro e ricchezza per le generazioni future.

I vantaggi della struttura agricola del maso chiuso sono i seguenti:

- impedisce la polverizzazione terriera a seguito di vendite di singoli terreni o di divisioni ereditarie; l’eccessiva frammentazione è dannosissima perché ostacola una razionale coltivazione, finisce per far abbandonare i terreni meno produttivi, ostacola la cooperazione fra vari proprietari in vista di migliorie comuni;

- è di ostacolo alle grandi proprietà non coltivate direttamente, ma affittate o condotte a mezzadria;[28]

- ostacola l’indebitamento del contadino che non è costretto a vendere per pagare i coeredi;

- favorisce la continuità nel possesso del maso, e quindi la sua buona conservazione e coltivazione, non legata alle sole forze del proprietario, ma a quelle di tutta la famiglia;

- presuppone e consolida un vincolo familiare molto forte;

- favorisce la coltivazione anche in zone impervie; in Val Senales vi sono masi oltre i 2000 metri di altitudine.

- crea una classe di contadini legati al proprio maso, conservatori, naturali tutori dell’ambiente;

- un tempo creava un certo equilibrio demografico per la difficoltà per i giovani di crearsi una famiglia fino a che restavano nel maso.

 

L’erede assuntore non è poi così tanto un privilegiato; la sua qualità non è sempre meccanicamente determinata e il sistema attuale consente, in genere, di scegliere il più idoneo a conservare e migliorare la proprietà a favore dell’intera famiglia, tenuto conto del sesso, dell’età, delle attitudini agricole. Egli si assume il rischio imprenditoriale che cessa invece per gli eredi esclusi.

Come già detto, è andato perso l'antico criterio secondo cui l'assuntore era scelto per conservare il maso a sé ed ai familiari ed alle generazioni future.

La legge tirolese del 1900, eliminando norme troppo rigide, introdusse molte novità: fissazione delle dimensioni minime e massime del maso (estensione che consente di trarre da esso un reddito sufficiente al mantenimento confacente (angemessene Erhaltung) di una famiglia di almeno 5 persone, senza però superare il quadruplo di tale reddito minimo), modifiche al maso solo mediante autorizzazione di una apposita autorità, scelta dell’ erede unico in base a testamento, patto successorio, accordo degli eredi o in base alle norme ereditarie usuali, con possibilità di una comunione temporanea fra gli eredi, regolazione dell’ipotesi che l’erede avesse già un proprio maso, obbligo per l’assuntore di pagare immediatamente quanto dovuto ai coeredi, o, al massimo, entro tre anni con garanzia ipotecaria, ecc.

Accanto alla legge rimasero o si formarono delle consuetudini che temperavano ulteriormente l’asprezza di alcune disposizioni: dilazione del pagamento, anche a rate, fino a 5 o 10 anni, corresponsione degli interessi solo al coerede che lavorava nel maso, diritto per i familiari abitanti nel maso di vivere in famiglia fino alla maggiore età o per il tempo che continuavano a lavorarvi, diritto di tornare a lavorarvi per alcuni mesi o di essere ospitati in caso di indigenza, malattia o disoccupazione, stipulazione di contratti di cessione (Übergabeverträge) del maso da parte del proprietario ad un suo futuro erede, così aggirando la disciplina legale della successione, ma obbligandolo sostanzialmente agli stessi doveri dell’erede assuntore[29].

Nello studio di queste norme è opportuno tener presente che l'agricoltura di un tempo era, per la stragrande maggioranza dei contadini, un'agricoltura povera, da sopravvivenza.

 

La normativa italiana dal 1928 in poi

Questa pregnante caratteristica consuetudinaria dimostrò la sua forza quando lo Stato italiano con i Regi Decreti 4 novembre 1928 n. 2325 e 28 marzo 1929 n. 499, estese alle “nuove province” la legislazione civile del Regno d’Italia, con efficacia dal 31 luglio 1929. Il maso chiuso sparì dal codice, ma, di fatto, ben pochi approfittarono della nuova normativa. Fino alla sua reintroduzione nel 1954 solo il 6% dei masi vennero sciolti e altrettanti ne uscirono ridotti, ma prevalse nella popolazione la consapevolezza delle utilità e legittimità sostanziale delle regole tradizionali, poco importa se scritte o meno.

Pochissimo il contenzioso, ed è passata alla storia solo la sentenza della Cassazione n. 1698 del 25 giugno 1952, la quale, con scarso approfondimento, riconobbe però il diritto alla indivisibilità del maso in quanto caratteristica giuridica intavolata[30], ma negò valore al metodo di stima delle quote dei coeredi, ritenute contrarie “all’ordine pubblico”. Ritorneremo fra poco su quest'ultima statuizione.

Dopo la guerra però la situazione cominciò a deteriorarsi per i cambiamenti economici, per i molti giovani morti in guerra, per il fatto che l’erede unico trovava comodo pagare gli altri eredi cedendo loro terreni. Forte fu la spinta per la reintroduzione della normativa del maso chiuso; già nello stesso Statuto di autonomia del 1948, all’art. 11, veniva stabilita la competenza primaria della Provincia di Bolzano di legiferare in materia di ordinamento delle minime unità culturali[31], anche agli effetti dell’art. 847 del codice civile, ordinamento dei masi chiusi e delle comunità familiari rette da antichi statuti o consuetudini [32]. Unico limite quello, posto dall'art. 4, di operare in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica. e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali – tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali – nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

Queste norme verranno confermate, senza modifiche, dal Nuovo Statuto di autonomia di cui al DPR 31 agosto 1972 n. 670, T.U. delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

La Costituzione italiana venne poi modificata, sul punto, dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3. All'art. 117 si precisava che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e si introduceva tra le materie di competenza esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. A quanto pare, veniva tolto il nebuloso limite del rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica.

Iniziarono, nel 1952, dure trattative con il governo italiano (uno dei principali oppositori del maso fu Luigi Einaudi troppo innamorato di teorie economiche liberistiche, buone per gli Stati, ma discutibili per i poderi!) fino alla approvazione della legge 29 marzo 1954 n. 1, in vigore dal 1° aprile 1954. Collaborò alla stesura della legge il prof. Alberto Trabucchi, noto civilista. Il punto di maggior attrito non era quello della indivisibilità del maso, visto che esso era accettato anche dal diritto italiano (minima unità culturale), ma quello della disparità di trattamento fra eredi di pari grado. Era una impostazione errata perché il riconoscimento costituzionale del maso chiuso implicava il riconoscimento delle sue caratteristiche essenziali e cioè la sua autonomia come azienda, la sua indivisibilità, l'assuntore scelto anche fuori della cerchia degli eredi, diritti degli eredi sulle quote dell'azienda, ma non sui beni immobili. Quella sugli eredi era una diatriba che dura, come vedremo, ancora oggi.

Però un punto debole è sempre rimasto in vigore ed attualmente si è ulteriormente indebolito. In passato la preoccupazione più forte del legislatore era di evitare che l'erede di un maso si trovasse a dover corrispondere agli eredi esclusi, importi non sostenibili, che lo costringessero a vendere o ad indebitarsi. Perciò, senza mai dirlo espressamente e pur lasciando intendere che ciascuno di questi eredi riceveva il suo, di fatto, in molti casi, non veniva pagato il giusto, ma un importo calcolato su valori medi generali, che finivano per ignorare ogni miglioria ed investimento apportati all'azienda agricola (a cui avevano concorso anche gli eredi) o sue particolari caratteristiche di pregio. Attualmente è principio consolidato, come vedremo. che chi viene espropriato o assoggettato a regole dirette a favorire altri soggetti, ha diritto ad ottenere il reale valore di mercato del bene o il valore di una quota commisurata alla reale redditivà.[33]

La questione dei masi chiusi venne sottoposta anche al vaglio della Corte Costituzionale che con sentenze 4/1956, 5/1957 e 40/1957 [34] riconobbe correttamente che l’attribuzione alla Provincia della competenza primaria in materia di masi chiusi implicava la competenza a legiferare su tutto l’istituto, compresa la materia ereditaria e processuale, purché in armonia con la Costituzione e i principi dello ordinamento giuridico italiano.[35] Come detto sopra, il richiamo ai principi, è stato eliminato nel 1972.

 

Questo richiamo ai principi era insensato (così come quello anteriore dell'ordine pubblico) perché si tratta di nozioni nebulose, indimostrabili, aventi più o meno il valore di una "clausola di stile".

Queste vuote formule, prive di contenuto concreto, erano il cavallo di battaglia della giustizia del secolo scorso, con cui si giustificava la sopravvivenza di regole di perbenismo ottocentesco, sebbene esse non avessero più riscontro né nella Costituzione né nella realtà (il divorzio, il sesso, la religione, l’eredità, erano tutte cose da tutelare in nome dell’ordine pubblico e dei principi generali, nozioni che non erano nelle leggi, ma dovevano essere ricercate nelle menti dei giudici!). Venne persino negata la possibilità di costituire i propri beni in una fondazione che non avesse scopo di interesse pubblico: si potevano donare i propri beni allo Stato o alla Chiesa, ma guai se si davano ad un privato. Ma come può essere contrario all'ordine pubblico il fatto di non prevedere quote di legittima per gli eredi, se è regola che non esiste in altri ordinamenti altrettanto civili (ad es. quello inglese) ed è facilmente eludibile?

Peccato che la Cassazione non abbia mai dato il giusto peso al fatto che le norme sul maso sono norme di diritto pubblico e che il sostenere che esse erano contrarie all'ordine pubblico, era una contraddizione in termini: la nozione di ordine pubblico può essere ricava solo dalle norme di diritto pubblico e non dalle fisime del giudice. In realtà, nel mondo moderno, nessuno è mai riuscito a spiegare la logica del fatto per cui un soggetto può spogliarsi di tutti i suoi beni finché è vivo, ma guai se non rispetta certe regole quando suddivide i suoi beni fra gli eredi! Persino una donazione fatta vent’anni anni prima a una persona cara, può essere revocata per tutelare il diritto di un erede odiato, che  ha demeritato, e mai più visto da decenni.

Né nella storia del nostro diritto, né nel nostro ordinamento, né nelle norme comunitarie e internazionali, esiste il principio che chi possiede beni è tenuto a lasciarli ai parenti; vige anzi la regola contraria, secondo cui chi ha beni, li può dissipare da vivo, senza dover rendere conto ai familiari, e che può sottrarli ad essi, ad esempio, mediante un trust (ormai introdotto ufficialmente da norme internazionali, Convenzione dell'Aja del 1º luglio 1985, ma che non si  ancora voluto regolare con una legge italiana, salvo l'introduzione nel codice civile del nuovo articolo 2645-ter) o facendoli confluire in una fondazione. Sarebbe quindi più facile dimostrare che è contrario ai principi costituzionali il fatto di essere costretti a lasciare beni a chi non se li merita o a chi, molto prevedibilmente, li dilapiderà in poche settimane!

Va detto però che attualmente è stato lo stesso legislatore italiano a rendersi conto del problema ed a mettere da parte i "sacri" principi ereditari, con l'introduzione dei patti di famiglia, mediante la legge 14 febbraio n. 2006 n. 55.

Le stesse norme fondamentali delle riforme economico-sociali non si comprende bene che cosa siano e, se approvate con norme non costituzionali, non vi è ragione nel mondo giuridico perché esse non debbano rispettare le regole poste con leggi costituzionali, quali gli statuti speciali.

La stesa cosa vale per i principi dell'ordinamento giuridico che è assurdo pensare che possano esistere al di fuori di norme scritte, statali, europee, internazionali. Se sono al di fuori, possono essere solo regole etiche o sociali, non vincolanti e mutevoli nel tempo, opinabili e spesso contestate; oppure possono riferirsi solo ai grandi principi (democrazia, eguaglianza, ecc.) insuperabili, ma che devono comunque essere adattati ai tempi ed alle società mediante leggi e non mediante interpretazioni soggettive di giudici.

Proprio su questo piano, si sono sviluppati numerosi interventi della Corte Costituzionale.

La Corte ha giustamente rilevato che alcune norme, come quelle che favorivano gli eredi maschi, erano contrarie ai principi costituzionali di eguaglianza. Ma non lo erano all'origine, quando la vita dell'agricoltore maschio era durissima e non sopportabile dalle donne (anche un tempo vi erano virago ed effeminati, ma la legge si fonda sempre sull'id quod plerumque accidit, vale a dire sulle situazioni statisticamente più frequenti). La preferenza accordata ai maschi, non era, in passato, un atto maschilista: i lavori incombenti sul contadino (tagliare alberi, falciare, guidare l'aratro, gestire animali da soma, trasportare a spalla, macellare, difendere i terreni, ecc.) richiedevano forza fisica e resistenza tipicamente maschili e i maschi sarebbero stati ben felici di far fare i lavori più pesanti alle donne, se esse fossero state in grado di farli!

 

Anche per quanto concerne la preferenza data al figlio più anziano o più giovane, non era una bizzarria, ma una scelta doverosa per evitare situazioni di incertezza e concorrenza che avrebbero portato a lotte fratricide, così come avveniva nelle famiglie nobili. Chi subentrerà nel potere va determinato con largo anticipo o si va dritti alla guerra fra i pretendenti o contro il capo! La certezza di regole consentiva poi agli esclusi di organizzare il proprio futuro, senza attendere la morte del capofamiglia.

Del fatto che il prezzo di assunzione fosse calcolato al ribasso, si è già detto; ma si deve considerare che in passato i capitali e lo stesso danaro, erano scarsissimi, che ciò deprimeva i prezzi dei terreni e che chi aveva debiti, finiva rapidamente in mano agli usurai o a dover svendere i propri beni.[36]

Con le leggi provinciali 2 settembre 1954 n. 2 e 25 dicembre 1959 n. 10 vennero attuati interventi correttivi, coordinati infine nel T.U. approvato con decreto 7 febbraio 1962 n. 8. La legge provinciale 33/1978 armonizzò la normativa del maso chiuso con la riforma del diritto di famiglia a cui seguì il Testo Unificato definitivo del decreto 28 dicembre 1978 n. 32.

La legge provinciale 26 marzo 1982 n. 10, art. 16, ha riconosciuto gli Erbhof (masi aviti )[37].

La legge provinciale 28 novembre 2001 n. 17 ha rivisto e sostituito tutta la normativa anteriore, tenendo conto anche di decisioni della Corte Costituzionale, intervenute nel frattempo su questioni peraltro marginali.

La legge provinciale 2 luglio 2007 n. 3 ha regolato il rapporto fra maso chiuso e norme urbanistiche.

La legge provinciale 23 luglio 2007 n. 6 ha introdotto modifiche sulla aggregazione e sui cambiamenti di estensione di masi chiusi.

La legge provinciale 10 giugno 2008 n. 4 ha regolato alcuni casi di diritto di prelazione.

La legge provinciale 22 gennaio 2010, n. 21 ha modificato alcuni articoli della legge 17/2001.

La legge provinciale 12 dicembre 2011, n. 14 ha modificato gli artt. 22, 41,50 della legge 17/2001.

Le leggi provinciali 19 aprile 2018 nr. 5 e 10 luglio 2018, n. 9 hanno introdotto modifiche alle leggi provinciali sui masi chiusi e su urbanistica. La legge sui masi, parallelamente a quanto fatto in Tirolo, è intitolata Höfegesetz (Legge sui masi); è dicitura imprecisa, ma ormai tradizionale, perché il termine Hof indica qualsiasi podere o fattoria o maso, e talvolta solo la casa di abitazione, mentre la legge vuole individuare e regolare solo quelle situazioni che rientrano nella nozione di maso chiuso.

 

Esporremo perciò la normativa in vigore dal 2001, tenendo conto delle recenti modifiche fino a tutto il 2020.

La legge sui masi chiusi richiama più volte gli usi locali; ricordo che in base agli artt. 8 e 9 delle Disposizioni sulla legge in generale, premesse al Codice Civile, nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati, e gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali si presumono esistenti fino a prova contraria. Comunque, usi non in contrasto con la legge, ne costituiscono sempre una integrazione e una forma di interpretazione ufficiale.


 

 

 

 

 

 

VALORE COSTITUZIONALE

DELLA NORMATIVA

 

La Costituzione e le autonomie speciali

In base alle leggi costituzionali, la provincia autonoma di Bolzano, come già detto, può legiferare con competenza primaria, in materia di masi chiusi, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell'ordinamento giuridico, dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali. Sono stati tolti i richiami sia ai principi generali che alle norme fondamentali. Si noti comunque come queste dovevano essere relativi alle sole riforme economico sociali.

Purtroppo la materia del maso chiuso è stata spesso vittima della mentalità antiregionalista (quantomeno fino al 2000), sia da parte dello Stato che della Corte Costituzionale, che hanno persino usato dei trucchi per limitare al massimo i poteri delle regioni. Ciò è avvenuto in modo esemplare in materia venatoria, in cui, per aggirare gli Statuti, si è persino fatta sparire la parola caccia, inserendo la materia nella tutela dell'ambiente, di esclusiva competenza statale, per poi concludere che l'intera legge al riguardo era normativa fondamentale dello Stato, anche se era arduo sostenere che fosse una riforma economico-sociale, così eliminando ogni differenza fra regioni ordinare e regioni a statuto speciale e trasformando in principi ineludibili, regole che sono altamente opinabili, nella loro mancanza di elasticità e di adattabilità alle esigenze locali (cosa necessaria se si vuol parlare di regionalismo e federalismo). Eppure la tutela dell'ambiente è proprio uno di quei problemi che si regolano meglio a livello locale che generale. Si veda l’esempio dei mezzi di caccia; ma a chi si vuol far credere che vietare l’uso del furetto per cacciare i conigli sia un principio fondamentale? O che il cal. 22 debba essere necessariamente vietato ovunque? O che la scelta fra caccia vagante o caccia da postazione fissa abbia un senso salvo che in due o tre regioni italiane? O che qualche giorno in più o in meno del calendario venatorio violi norme fondamentali di riforme sociali ed economiche? O che sia essenziale cacciare solo il martedì o il venerdì, impedendo al popolo di cacciare proprio quando non lavora?

Abbiamo già detto sopra della vacuità (incostituzionale e contraria al principio imprescindibile, questo sì, della certezza del diritto) dei concetti di ordine pubblico e di principi fondamentali. Concetti che purtroppo mutano nel tempo e che spesso fanno parte del patrimonio culturale di un giudice solo in relazione alla sua età, alla sua fede e alla sua sudditanza politica.

Tipico esempio, già esaminato, quello del sistema delle successioni ereditarie, che ha un senso quando serve a regolare la divisione di un patrimonio fra gli eredi di chi è morto senza fare testamento, ma che diventa assurdo quando si pretende di negare valore alla volontà del defunto di disporre liberamente dei suoi beni. Ed anche nel caso che vi sia un testamento, dove mai sta la logica di andare a collazionare atti di liberalità del passato? Come può essere ancora fondamentale un principio nato duemila anni fa in un ordinamento familiare arcaico?

Si consideri poi che la legge del 2001 sui masi chiusi dichiara espressamente (art. 37 c. 4) che le sue sono disposizioni di diritto pubblico. Vale a dire che esse non trovano ostacolo in principi fondamentali di diritto civile, attesa la finalità d'interesse pubblico (Cass. n. 3248 del 1962).

Si devono perciò interpretare le regole costituzionali di un istituto giuridico di diritto pubblico, su cui la Provincia di Bolzano può  legiferare, con l'unico limite di operare in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica. Può quindi regolare il sistema ereditario secondo la logica richiesta dall'istituto del maso chiuso.

 

Le decisioni della Corte Costituzionale

Vediamo che cosa in proposito ha detto la Corte Costituzionale dal 1956 (anno in cui ha iniziato a funzionare perché il parlamento impiegò ben dieci anni per istituire la più importante ed essenziale istituzione dello Stato!) ad oggi.

La prima sentenza (dopo la n. 4/1956, già riportata) in cui la Corte si è preoccupata di capire lo spirito del maso chiuso è stata la nr. 5 del 1957 in cui si è ribadito che: La maggiore estensione della potestà legislativa provinciale in materia di masi chiusi è di per sé sufficiente ad escludere la illegittimità costituzionale dell'art. 31 della legge provinciale …. Lo stesso art. 31 della legge provinciale, nello stabilire l'indivisibilità del maso chiuso, non viola, poi, il sistema degli artt. 718, 720, 722 e 846 del Codice civile, i quali prevedono anch'essi, in alcuni casi, l'indivisibilità di beni immobili; né viola l'art. 1111 dello stesso Codice, secondo cui "nemo invitus ad comunionem compellitur"[38], perché non impedisce che alcuno dei consortes possa uscire dalla comunione.

È seguita poi la sentenza la nr. 40 del 1957 in cui l'estensore prof. Ambrosini, bene informato dagli avvocati della provincia di Bolzano, Alberto Trabucchi e Karl Tinzl, autori delle nuove norme sul maso, scrive circa il criterio di valutazione dei masi:

Le esigenze della migliore produzione e gli scopi di natura familiare, di cui il legislatore costituzionale, con il maso chiuso, ha permesso il riconoscimento e la tutela per soddisfare le istanze della popolazione altoatesina, inspirano tutto il regolamento dell'istituto e le stesse norme degli artt. 16 e 18 della legge provinciale. Questa, sulla base di una presunzione[39] tratta da un fatto normale se non costante, designa come assuntore preferito colui che, essendo più a lungo vissuto accanto al titolare dell'azienda agricola, può di questa conoscere meglio di altri il più efficace sistema di conduzione e può avere un maggiore attaccamento al fondo avito.

Per quanto riguarda poi l'art. 25, primo comma, della legge impugnata, secondo il quale la stima delle quote ereditarie è fatta in base al valore di reddito del "maso", si osserva che tale criterio di valutazione non è nuovo nella legislazione agraria, il cui regime giuridico è specialmente informato ai principi pubblicistici (come nel caso dell'art. 42 del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, relativo alla fissazione della indennità della espropriazione dei territori compresi in piani di bonifica, e dell'art. 4 del D.L.C.P.S. 6 ottobre 1946, n. 89, che, in materia di concessione delle terre incolte ai contadini, si riferisce alla media dei prodotti ottenuti nell'ultimo quinquennio); e che, comunque, non contrasta, nel caso in esame, col principio dell'art. 726 Cod. civile. Questo articolo, infatti, fa bensì riferimento al valore venale dei beni, ma sul presupposto che essi vadano venduti. Il maso chiuso, invece, pur non essendo inalienabile, è organizzato come un bene destinato a rimanere nelle mani dell'erede, che ha diritto a chiederne l'assunzione. Dal che deriva che questi, in realtà, si avvantaggia soltanto del reddito che trae dal fondo. Onde non è esatto che egli, liquidando ai coeredi il valore delle quote in base al reddito del maso, venga a godere nei loro confronti di un privilegio iniquo ed in contrasto con la norma dell'art. 566 Cod. civile.

L'assuntore, infatti, finché è titolare del maso chiuso, non ha altro introito che quello del reddito che da esso ricava, restando così in condizione sostanzialmente uguale a quella dei coeredi.

E questa parità continua anche quando egli, dopo avere assunto il maso, lo venda e ne ricavi un prezzo superiore a quello che era stato computato nella divisione ereditaria in base al valore di reddito, giacché in questo caso deve dividere coi coeredi il maggior prezzo, come dispone espressamente l'art. 30 della stessa legge in questione della Provincia di Bolzano.

Il sistema, adunque, di questa legge realizza un perfetto equilibrio tra i successori legittimi, nelle due differenti ipotesi: di permanenza del maso nelle mani dell'assuntore o di vendita dello stesso dopo l'assunzione.

 

Ed ancora circa la preferenza riservata al figlio più anziano:

Gli artt. 16 e 18 della legge provinciale di Bolzano 29 marzo 1954, n. 1, modificata dalla legge provinciale 2 settembre 1954, n. 2, che dànno la preferenza per l'assunzione del maso chiuso al primogenito maschio nella successione legittima, e l'art. 25, primo comma, della stesa legge, che consente all'assuntore di liquidare i coeredi in base al valore di reddito del maso, non contrastano con i principi generali dell'ordinamento giuridico, stabiliti nel codice civile in materia di successione legittima e divisione ereditaria e richiamati dall'art. 11 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, né con il principio dell'eguaglianza, sancito nell'art. 3 della Costituzione. È' pertanto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata al riguardo.

Però con la sentenza 15/2021 cambiava idea e, giudicando sull'art. 18, 2° comma, del Decreto Pres. prov. Bolzano n. 8 del 1962 (comunque già abrogato), ne dichiarava l'illegittimità costituzionale nella parte in cui afferma che "tra i chiamati alla successione nello stesso grado è preferito il più anziano", anziché prevedere che "tra i chiamati alla successione nello stesso grado viene scelta, … la persona che dimostra di possedere i migliori requisiti per la conduzione personale del maso chiuso ".

La motivazione è un po' superficiale e trascura che nella stragrande maggioranza dei casi la scelta del figlio più anziano era quella più ragionevole e più accetta, secondo la logica del maso.

 

La sentenza 35/2972, cassava una norma statale sull'affitto di fondi rustici, estesa anche al Sudtirolo, scrivendo:

La legge statale 11 febbraio 1971, n. 11, recante "nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici" è costituzionalmente illegittima nella parte in cui disciplina anche i contratti di affitto relativa ai masi chiusi, di cui al t.u. 7 febbraio 1962, n. 8, approvato con decreto del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano: difatti, le norme che regolano tale istituto, di natura singolare e costituzionalmente garantite quanto alla materia e alla fonte, debbono avere la preminenza sulle norme della legge statale, là dove questa, incidendo sulla disciplina del maso, impedisce od ostacola le finalità perseguite dalla legge speciale.

 

La Sentenza 115/1972 fissava un principio ovvio:

Salvo le ben limitate attribuzioni che nella sentenza n. 4 del 1956 furono riconosciute alla Regione Trentino-Alto Adige a proposito dei masi chiusi e con specifico riferimento alle peculiarità di tale istituto, è principio fermo nella giurisprudenza della Corte che alle Regioni, anche se a statuto speciale, non spetta competenza alcuna in tema di giurisdizione. Non è dubbio perciò che, in applicazione di tale principio, come non sono ammissibili leggi regionali sulla giurisdizione (nel caso in esame della Regione Sicilia), così non è ammissibile che leggi regionali, interferendo su materia non appartenente alla Regione, escludano la giurisdizione.

 

La Sentenza 154/1972, relativa a norme su enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue, emanate dalla regione Sicilia, stabiliva che:

Agli effetti della delimitazione delle competenze statali e regionali va riconosciuto che il diritto privato è oggetto di una materia ben definita, e non già un coacervo di materie che possono essere distinte secondo la varia natura dei rapporti disciplinati, o, eventualmente, dei fini che di volta in volta la disciplina legislativa vuol mediatamente soddisfare. Come materia a sé stante, il diritto privato non può quindi esser compresso (salvo, per le regioni a statuto speciale, il caso - cfr. circa i "masi chiusi", la sent. n. 35 del 1972 - dell'esistenza di puntuali norme statutarie, attributive di specifiche competenze) nelle varie materie che Statuti e Costituzione in vari gradi e con vari limiti attribuiscono alle potestà regionali.

Come detto questa sentenza non si attaglia al maso chiuso perché le sue norme non sono di diritto civile, ma di diritto pubblico e quindi ben possono comprimere il diritto civile.  A parte il fatto che la "incomprimibilità" del diritto civile se la è inventata l'estensore della sentenza, esperto di diritto romano: il nostro diritto civile è una qualsiasi legge dello Stato, modificabile senza alcun problema e priva di ogni preminenza sulle altre leggi.

 

Anche la Corte di Cassazione, nella sentenza 1212/ 1968. in cui dichiarava manifestamene infondata un'eccezione in materia di prelazione fra coeredi, percepiva la specialità delle norme sul maso scrivendo:

La Corte Costituzionale ne ha riconosciuto la legittimità sotto il profilo che, se vuol far rivivere l’istituto del maso chiuso, ci si deve richiamare all'ordinamento che gli ha dato vita e cioè, alla tradizione ed al diritto preesistente, estranei alla tradizione ed al diritto italiano; che, pertanto, il legislatore provinciale può, in tema di masi chiusi, purché resti nell'ambito della tradizione e delle precedenti norme in materia, derogare ai principi dell'ordinamento giuridico italiano e della stessa Costituzione, proprio perché entro tale ambito codesta facoltà gli è stata attribuita da leggi costituzionali.

La sentenza è poco chiara, là dove scrive che il legislatore regionale deve restare nell'ambito della tradizione e delle precedenti norme in materia, e non si comprende se si riferisce alle precedenti norme italiane o a quelle austriache che, in larga parte erano consuetudinarie. Il legislatore, deve rispettare la tradizione, le consuetudini e le norme proprie del maso chiuso, che nell' ordinamento giuridico italiano non esistono! Lo scopo dell'autonomia è proprio di consentire l'ingresso in esso di queste norme che esigono il rispetto delle consuetudini, interpretabili per analogia e in base alla loro ratio.

Si potrebbe tranquillamene concludere che la competenza primaria della provincia autonoma di Bolzano eleva a rango costituzionale tutte le norme, usi e consuetudini in materia di maso chiuso seguite in Austria prima ed Italia poi, fino al 31 luglio 1929, con l'unico limite di operare in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica.

 

La consuetudine è stata maltrattata dal legislatore italiano. Nel codice civile del 1865 essa era addirittura ignorata; nel codice vigente le hanno cambiato nome, si chiama uso e si dà la precedenza a mezzi integrativi interni alla legge (analogia, principi generali) e gli usi subentrano solo nelle materie non regolate dalla legge (art. 8 d. prel.). Tutto il contrario ad esempio del legislatore svizzero, il quale ha stabilito che in mancanza d'una disposizione di legge applicabile, il giudice decide secondo il diritto consuetudinario.[40]

Materia è ogni istituto o rapporto per il quale la legge preordina una disciplina organica, tendenzialmente compiuta. Se questa disciplina investe solo un aspetto dell'istituto o del rapporto (l'aspetto strutturale e non quello contenutistico, l'aspetto soggettivo e non quello oggettivo, e via dicendo) per gli aspetti privi di una organica regolamentazione il rapporto potrà formare oggetto di disciplina da parte dell'uso. Se per il maso chiuso espressamente si ammette che si deve rispettare la tradizione, altrettanto direttamente si stabilisce che si devono applicare le regole consuetudinarie.

Se ciò fosse stato chiaramente detto, fin dall' inizio, il regime del maso chiuso avrebbe evitato i troppi tentennamenti della giurisprudenza. Strano che non abbia pensato a ciò il prof. Trabucchi, sostenitore del ricorso alla consuetudine nel diritto familiare (e proprio in relazione ad un istituto di origine germanica, la Schlüsselgewalt)[41].

La verità incompresa è che il recepimento del maso chiuso implica il recepimento di norme di legge e di consuetudini di un altro sistema giuridico e quindi richiede che esse vengano applicate secondo la logica delle cose, che cambia con i tempi. La redditività di un maso, ora in Sudtirolo basata su latte, uva e mele, può mutare da un giorno all'altro per normative europee. Il ricambio generazionale è rapidissimo e in una sola generazione si passa dal padre contadino al figlio borghese, non più legato al territorio, ecc.

Non vi sarebbe nulla di strano se, nella logica della nuova situazione, si desse maggior peso all'assuntore che fa prevedere una lunga conservazione del maso e se i diritti degli eredi venissero calcolati non solo con la calcolatrice, ma in base all'effettivo apporto dato in passato alla redditività del maso. Se un figlio ha solo studiato e poi se ne è andato, ha solo preso senza nulla dare, e di ciò si deve tener conto.


 

 

 

 

 

 

ALCUNI DATI STATISTICI

SUL MASO CHIUSO

 

Alla data del 30 giugno 1928, quando la legge italiana soppresse i masi, erano iscritti nella parte I dei libri tavolari 12.111 masi chiusi[42], ma bisogna considerare che l’impianto tavolare non era ancora completato e mancavano alcuni comuni. Quindi i masi erano poco meno di 13.000.

 

Tab. 1: Numero di masi chiusi per comprensorio

fondiario (1928)

 

Compren.

fondiario

Nr.

masi

Compren.

fondiario

Nr.

masi

Compren.

fondiario

Nr.

masi

Vipiteno

754

Monguelfo

1.121

Silandro

667

Bressanone

1.121

Bolzano

2.243

Egna

287

Chiusa

882

Caldaro

239

 

 

Brunico

2.228

Merano

2.569

Totale

12111

 

Nel maggio 2013 i masi chiusi in Alto Adige sono 13.334 e costituiscono poco più della metà delle 20.206 aziende agricole e forestali dell’Alto Adige (censimento agricolo, Bolzano 2002, ASTAT). Merita ricordare il fatto, che i masi chiusi sono mediamente più grandi delle aziende non costituite in maso chiuso e che nell’ambito del censimento agricolo sono state rilevate anche le aziende minute, poco importanti ai fini economici; da quanto detto consegue, che gran parte della superficie agricola utilizzabile è compresa nei masi chiusi.

In media ogni anno vengono costituiti circa 50 masi nuovi e ne vengono svincolati una ventina (vedi grafico 1).

Grafico 1: Costituzioni e svincoli di masi chiusi

in Alto Adige (1911-2012)[43]

 

L’81% dei masi chiusi appartiene ad un proprietario unico e il 17% è in comproprietà di persone fisiche (vedi grafico 2), l’1% appartiene a delle società, lo 0,5% ad enti ecclesiastici e lo 0,2% ad altri enti. Nella maggior parte dei casi di comproprietà si tratta di comunioni ereditarie (in media 3-4 proprietari), in cui non è avvenuta ancora l’assunzione ai sensi della legge sui masi chiusi.

Delle 10.840 aziende con proprietario unico l’88% appartiene a uomini e il 12% a donne.

Grafico 2: Suddivisione della proprietà dei masi chiusi

(agosto 2009)

L’età media delle persone fisiche proprietarie di masi chiusi è di 51,2 anni. Le classi d’età dei proprietari si vedono nel grafico 3. Si nota, che le classi più numerose sono quelle da 40 a 50 anni e da 50 a 60 anni (rispettivamente il 29 e il 23%). Solo il 23% dei proprietari sono giovani agricoltori con meno di 40 anni.

 

Grafico 3: Classi d’età delle persone fisiche

proprietarie

di masi chiusi (agosto 2009)

Osservando la suddivisione geografica dei masi chiusi a livello provinciale (vedi Tab. 2) si nota, che il comune con più masi è quello di Renon (396), seguito da Sarentino (383) e da Appiano(337).

I comuni con meno masi chiusi sono Anterivo (6), Trodena (8) e Ponte Gardena (8).

 

Tab. 2: Numero di masi chiusi per comune

(agosto 2009)

 

Comune

nr.

 

Comune

nr.

 

Comune

nr.

 

Aldino

83

Laion

127

S. Genesio

180

Andriano

42

Laives

124

S. Leonardo in P.

200

Anterivo

6

Lana

264

S. Lorenzo di S.

176

Appiano s.s.d.V.

337

Lasa

188

S. Martino in B.

130

Avelengo

50

Lauregno

25

S. Martino in P.

126

Badia

140

Luson

95

S. Pancrazio

124

Barbiano

77

Magré

53

Salorno

48

Bolzano

274

Malles

142

Sarentino

383

Braies

79

Marebbe

195

Scena

180

Brennero

60

Marlengo

103

Selva di Val G.

38

Bressanone

336

Martello

64

Selva die Molini

110

Bronzolo

14

Meltina

95

Senales

68

Brunico

138

Merano

126

Senale-S. Felice

46

Caines

23

Monguelfo-Tesido

111

Sesto

92

Caldaro

109

Montagna

67

Silandro

230

Campo di Trens

166

Moso in P.

184

Sluderno

39

Campo Tures

164

Nalles

65

Stelvio

21

Castelbello-Ciardes

175

Naturno

210

Terento

116

Castelrotto

242

Naz-Sciaves

110

Terlano

141

Cermes

63

Nova Levante

60

Termeno

89

Chienes

103

Nova Ponente

216

Tesimo

122

Chiusa

180

Ora

33

Tires

55

Cornedo all'lsarco

116

Ortisei

9

Tirolo

108

Cortaccia

120

Parcines

113

Trodena

8

Cortina s.s.d.V.

23

Perca

59

Tubre

10

Corvara in B.

32

Plaus

27

Ultimo

192

Curon Venosta

105

Ponte Garden

8

Vadena

29

Dobbiaco

130

Postai

34

Val di Vizze

141

Egna

48

Prato allo Stelvio

89

Valdaora

120

Falzes

107

Predoi

32

Valle Aurina

262

Fié allo Sciliar

163

Proves

31

Valle di Casies

150

Fortezza

13

Racines

279

Vandoies

164

Funes

155

Rasun-Anterselva

145

Va ma

103

Gais

129

Renon

396

Velturno

110

Gargazzone

38

Rifiano

74

Verano

82

Glorenza

11

Rio Pusteria

136

Villabassa

54

La Valle

86

Rodengo

80

Villandro

155

Laces

242

S. Candido

120

Vipiteno

88

Lagundo

148

S. Cristina Val G.

28

 

Totale

 

13.334

 

 


 

 

 

 

 

 

LA LEGGE VIGENTE

 

Masi già esistenti - Masi aviti

 

ErbhofschildMasi chiusi riconosciuti dalla legge sono fondamentalmente quelli già iscritti al libro tavolare nella apposita sezione prima. Per essi quindi può sorgere solo il problema di stabilire se hanno ancora ragione d’essere, se cioè, hanno ancora una estensione sufficiente a provvedere al mantenimento di una famiglia, secondo i criteri che vedremo. I masi che da almeno 200 anni sono coltivati dalla stessa famiglia in linea diretta, o in linea collaterale fino al secondo grado, possono ottenere dalla Giunta Provinciale il decreto che riconosce il titolo di Erbhof (maso avito) e li autorizza fregiarsi della relativa insegna.[44] È solo un titolo onorifico e dalla qualifica non deriva alcuna conseguenza giuridica. Il nome non va confuso con l'analogo termine in uso nel mondo germanico con un significato molto più generico di beni o masi ereditari. Quindi Erbhof nel mondo germanico indica ogni fattoria soggetta allo Anerbenrecht, e non solo quelle antiche. Erbhof vuol solo indicare un maso chiuso soggetto a particolari regole successorie. Solo in alcune regioni indica il maso avito.[45] Il nome corretto avrebbe dovuto essere Stammhof oppure Ahnenhof.

Solo con la legge nazista del 29 settembre 1933, poi applicata anche in Austria dopo lo Anschluss (1938), lo Erbhof (nel senso generico di maso chiuso) riceve una definizione giuridica e deve poter servire al mantenimento di una famiglia senza superare i 125 ettari; il proprietario si chiama Bauer, a differenza dei coltivatori normali, che sono dei Landwirt; il podere diventa una bene inalienabile (res extra commercium) e impignorabile e soggetto allo Anerbenrecht (vi è un solo erede maschio; in pratica il regime dei beni agricoli basato sul Meierrecht dello Elettorato di Hannover, contrapposto al sistema della Realteilung). Questa normativa venne abrogata nel 1945; allora si era già stabilito che anche le donne potessero ereditare il maso, visto che gli uomini erano a far la guerra. Non era una gran riforma perché, per proteggere i contadini dai debiti, vietava l'esecuzione forzata sul maso; la conseguenza fu però che le banche non potevano più concedere crediti! E i contadini, impossibilitati a vendere, non si sentivano più proprietari dei loro masi.

 

La comprensione dei meccanismi giuridici che regolano il maso chiuso è resa complicata dal fatto che essa si deve svolgere su più piani:

1) Da un lato vi è il prevalente principio pubblicistico della indivisibilità del maso chiuso (cioè del fatto che il maso non può essere sciolto e, entro certi limiti, neppure ridimensionato), e della sua persistenza come azienda, al di là delle vicende personali dei proprietari dei singoli fondi o del maso. Ad esso si collega l’altro principio basilare secondo cui la posizione dell’assuntore non è necessariamente ricollegata alla qualità di proprietario o di erede, ma che si diviene proprietari attraverso l’assunzione e l'intavolazione dei diritti sul maso. Per comprendere meglio chi è l’assuntore si consideri che quando egli viene scelto, si pone in una posizione diversa rispetto agli eredi. Se egli è un estraneo, è chiaro che deve versare agli eredi il prezzo di assunzione, ma se è un erede il prezzo di assunzione entra a comporre la massa ereditaria da dividere fra gli eredi secondo le regole del codice civile; parte del prezzo di assunzione si compensa con la sua quota; egli quindi ha interessi contrapposti a quelli degli altri eredi.

2) Dall’altro lato vi sono le vicende privatistiche degli eredi, o di chi ha diritti reali sul maso, che vengono regolate dal codice civile, salvo i ritocchi necessari per rispettare il punto 1. Se la proprietà del maso perviene ad una persona giuridica, ad esempio ad un Ente ecclesiastico[46], questo potrà gestirlo direttamente in economia o mediante affitto o mezzadria[47]. Si avrà quindi un proprietario ma non un assuntore.

3) È principio generale, non espresso, ma ricavabile dal fatto che le norme sul maso chiuso sono norme eccezionali, che l’assuntore non può essere assoggettato ad alcun ulteriore svantaggio oltre quelli imposti dal rispetto della natura del maso. Egli, una volta scelto, può quindi svolgere ogni tipo di attività diversa da quella agricola. Non esiste il principio per cui l'assuntore deve essere un agricoltore, salvo che nel caso di costituzione di un maso senza casa di abitazione.

L’assuntore, attraverso l’accettazione di tale qualità, diviene il proprietario del maso con i diritti, servitù ed oneri reali intavolati.

Quando il proprietario muore con più eredi, e senza che vi sia un assuntore già designato, sul maso si forma una comunione temporanea degli eredi i quali possono continuare a gestire il maso chiuso, in base alle normali regole stabilite dal codice civile per la comunione di beni, per la società di fatto o per l’impresa familiare agricola[48]. Gli eredi possono richiedere subito il certificato ereditario che viene intavolato. Se si mettono d’accordo sulla nomina dell’assuntore, la comunione cessa; se non si mettono d’accordo è necessario iniziare una procedura contenziosa, avanti al Tribunale, che può durare anni. Durante questo periodo il maso può essere gestito dagli eredi, ma se questi sono entrati in lite fra di loro, si renderà necessaria la nomina di un amministratore giudiziario, che farà gestire il maso sotto il suo controllo.

Nel caso che la comunione ereditaria si protragga per molti anni, cosa alquanto frequente, il prezzo di assunzione verrà determinato con riferimento al momento della scelta dell’assuntore o della domanda giudiziaria per la sua nomina da parte del giudice.

Come vedremo, la normativa vigente ha rafforzato i diritti patrimoniali e di assistenza di chi viene escluso dal maso, ha rafforzato la tutela dei minorenni, ha equiparato totalmente i diritti di maschi e femmine. Un modello ormai non più in contrasto con principi costituzionali e che potrebbe essere “esportato” senza ricorrere a istituti meno sperimentati e meno regolati, quali il patto di famiglia, il trust, il compendio unico, la minima unità culturale.

Cercheremo qui di esporre in modo agevole, e comprensibile anche a chi non è un giurista, la legge ed i problemi interpretativi più comuni che possono sorgere. Nell’interpretare la legge sui masi chiusi si devono tenere presenti i principi che regolano il rapporto fra leggi generali dello Stato e leggi speciali, quale è senz’altro la legge in esame, tenendo presente che le disposizioni normative che disciplinano i masi chiusi non sono disposizioni esclusivamente civilistiche, ma anche e soprattutto disposizioni di diritto pubblico. basate su di una legge costituzionale.

La legge sui masi ha regolato un istituto estraneo al diritto italiano e che segue una sua logica particolare: quella di conservare l’unità aziendale in base a valutazioni di merito affidate ad organismi locali, anche se ciò comporta il sacrificio di certe situazioni reali ed ereditarie garantite dal Codice Civile. Ogni norma che trova la sua ragion d’essere in questa logica (ratio, dicono i giuristi) è speciale, e prevale sulle norme generali; il che significa che queste norme, che operano sulla regolamentazione giuridica interna del maso chiuso in senso stretto, possono essere interpretate anche in via analogica. Quando poi si debbono applicare le norme che incidono su diritti reali od ereditari, ed in genere sul diritto civile, la possibilità di interpretazione analogica non viene meno perché le norme sul maso non sono speciali rispetto alle norme civilistiche, ma si pongono al di sopra di esse in quanto di diritto pubblico.

Fermo restando che, come già esposto, secondo la Corte Costituzionale, la Provincia può disciplinare la materia dei masi chiusi nell’ambito della tradizione e del diritto preesistente, e quindi con una potestà più ampia rispetto alle altre materie su cui ha competenza primaria; il che ampia la possibilità di porre in essere norme speciali. Inoltre può emanare norme procedurali per regolare la materia.


 

 

 

 

 

 

I PATTI DI FAMIGLIA

 

Va detto che ormai il sistema ereditario italiano non appare più adeguato ai tempi, come implicitamente riconosciuto dalla legge 55/2006 sui patti di famiglia, perché pretende di garantire diritti degli eredi solo in ragione di un preteso vincolo di sangue, ignorando i reali rapporti affettivi e i desideri ed interessi del proprietario dei beni, mentre d'altro lato, l'evoluzione normativa consente numerose vie per far pervenire i propri beni a chi pare e piace: fondazioni familiari, trust e società fiduciarie (con sede in Italia o all'estero), fedecommessi, patti di famiglia, per non parlare dei contratti simulati con somme o valori consegnati a mano (dazioni manuali) o motivate con obblighi non contestabili (obbligazioni naturali, ad es.) o frutto di accordi fittizi in sede di mediazione o di cause fittizie. Inoltre vi è un assurdo regime delle donazioni che limita la circolazione dei beni donati per almeno vent’anni, stante il pericolo di azioni di revoca o riduzione della donazione.

Nel 2006 il legislatore si è accorto di questi problemi e ha cercato di porvi un rimedio con la legge 14 febbraio 2006, n. 5, che ha introdotto nel codice civile l’art. 768-bis e seguenti che regolano i patti di famiglia. Questo è un contratto con cui un imprenditore può trasferire la sua azienda (che può anche essere una azienda agricola) ad uno o più discendenti, eliminando così, in questo caso, il divieto di patti successori contenuto nell’art. 458 Codice civile. Al contratto, da stipulare con atto notarile, devono partecipare tutti coloro che sono eredi legittimi del titolare dell’azienda; con il contratto devono essere soddisfatti finanziariamente, o con beni personali del cedente, coloro che vengono esclusi dalla azienda; quanto ricevuto dai contraenti, per disposto di legge (art. 768-quater, ultimo comma), non è soggetto a collazione o riduzione. Vi sono benefici fiscali per gli atti di trasferimento e di donazione.

Nasce il problema, per quanto concerne il maso chiuso, di stabilire che cosa si intende per imprenditore. Tradizionalmente si sempre scritto che il coltivatore diretto è chi lavora personalmente mentre è imprenditore  chi gestisce l'azienda agricola mediante salariati; e nelle leggi agrarie si è distinto il coltivatore diretto dall'imprenditore professionale. Però poi vi è stata una rapida evoluzione con il D. Lvo 18 maggio 2001 n. 228 che ha modificato la nozione di imprenditore data dall'art. 2135 c.c. Infine la L. 27 dicembre 2017, n. 205 ha equiparato (art.7) ai coltivatori diretti, ai fini della legge 203/ 1982, anche gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola. Vale a dire: attualmente non si fa più differenza tra coltivatori diretti ed imprenditori. L'art. 49 della stessa legge n. 203, prevede che chi ha coltivato a titolo di imprenditore a titolo principale o di coltivatore diretto, un fondo il cui proprietario muore, diventano affittuari dei coeredi. Inoltre l'art. 35 della L. 9 maggio 1975, n. 153 (Attuazione delle direttive del Consiglio delle Comunità europee per la riforma dell'agricoltura) chiaramente considera imprenditore ogni coltivatore diretto.

Si può quindi concludere con tranquillità che i patti di famiglia possono trovare applicazione anche per il maso chiuso

Come si è visto, i patti di famiglia non sono molto lontani dal regime giuridico del maso chiuso, i cui principi generali continuano comunque a prevalere, e sono un buono strumento proprio per realizzarne gli scopi secondo la consuetudine. Ma la grande novità è che, contrariamente al passato, il titolare dell’azienda agricola può concordare con i futuri eredi chi sarà il nuovo assuntore e liquidare subito le questioni ereditarie finché è in vita; e se i futuri eredi sono contenti, l’accordo non può più essere messo in discussione. Siccome il concetto di azienda agricola è più ampio del concetto di maso chiuso, nel contratto possono essere inclusi senza problemi anche i fondi volanti.

Il contratto ha effetto immediato, ma nulla vieta di sottoporlo a termini o condizioni.[49]

Il vantaggio di questo istituto deriva da una situazione psicologica: l’imprenditore che cede i suoi beni a uno o più dei futuri eredi, è in una posizione di forza e può imporre la propria volontà, visto che può ancora disporre dei propri beni, metterli al sicuro dagli eredi, e scegliere l'assuntore, cosa che certamente non può più fare da defunto!

Il legislatore provinciale dovrebbe valutare l'opportunità di inserire espressamente i patti di famiglia nella legge sui masi chiusi, ben raccordati con le altre norme ed i principi generali. In tal modo le nuove norme diventerebbero anch'esse norme di diritto pubblico con valore costituzionale. Si potrebbe anche pensare alla possibilità che la Commissione locale per i masi chiusi intervenga con un suo delegato con compiti di mediazione fra gli interessati.

 

 

 

 

 

 

COSTITUZIONE DI UN NUOVO MASO 

(artt. 2 e 3)

 

Per costituire un maso chiuso, su richiesta del proprietario o dei comproprietari dei fondi, occorrono precisi requisiti degli edifici e dei terreni.

L'autorizzazione viene richiesta alla Commissione locale per i masi chiusi.

Vengono richiesti requisiti diversi (art. 2) a seconda che sui terreni agricoli sia o meno compresa una casa di abitazione con relativi rustici.[50]

 

Se vi è una casa di abitazione

 

- È considerato casa d'abitazione, ogni edificio, vano o gruppo di vani, destinato alle esigenze abitative del proprietario e dei suoi congiunti viventi nel maso, compreso il cedente e il suo coniuge, e dei lavoratori agricoli abitualmente[51] in servizio presso il maso, nonché alle attività agrituristiche. È considerato annesso rustico, ai sensi del comma 1, ogni edificio, vano o gruppo di vani, anche se inclusi nella casa di abitazione o con essa comunque collegati, destinato alle scorte vive e morte, nonché al deposito, alla lavorazione e alla commercializzazione dei prodotti del maso.

- Il reddito medio annuo del maso, compreso quello derivante da agriturismo[52], deve essere sufficiente per assicurare un adeguato mantenimento ad almeno quattro persone, senza tuttavia superare il triplo di tale reddito (cioè mantenimento da 4 a 12 persone).

In Tirolo il limite minimo era di cinque persone. La legge del 2016 lo ha ridotto al reddito di due persone adulte, con il limite massimo di dieci volte tale reddito [53]. La modifica è stata fatta in parte per ragioni fiscali, in parte per favorire la creazione e la trasmissione di piccoli masi: gli occupati in agricoltura sono diminuiti e spesso l'attività agricola è accessoria ad altra attività.

Il termine “medio” non va inteso in senso matematico, poiché manca il riferimento al periodo da prendere in considerazione, ma va inteso nel senso di reddito normale per tale attività ed in un certo ambiente.

La nozione di mantenimento è alquanto generica e non coincide con quella elaborata in relazione agli obblighi familiari e solo per determinare la misura di tale obbligo. Nel maso indica un criterio economico da intendere in modo oggettivo; purtroppo i legislatori credono di poter afferrare la realtà con parole generiche, prive di significato concreto. Che vuol dire adeguato e mantenimento? Un tempo il mantenimento voleva dire avere un giaciglio, spesso nel fienile o nella stalla e mangiare ciò che c'era; ora può voler dire avere un reddito almeno pari al mimo salariale. In teoria mantenimento dovrebbe significare che ciascuno dei componenti del nucleo familiare deve godere, in relazione alle sue capacità e al lavoro prestato, di un reddito sufficiente ad assicurare a sé ed ai suoi figli minori una vita dignitosa, secondo gli standard dello ambiente in cui vive. Quindi, più sinteticamente, si potrebbe dire che l’estensione di un maso deve essere sufficiente ad assicurare un reddito dignitoso ad almeno quattro persone e a non più di dodici persone. Appare logico ritenere che si debba trattare di persone in attività lavorativa. Ovvio poi che la nozione può variare rapidamente in relazione ai mutamenti sociali: si consideri che la meccanizzazione riduce il numero di occupati, ma richiede investimenti (cioè reddito e risparmio), e che il maso non richiede solo coltivatori diretti, ma anche personale per le attività rivolte all’agriturismo.

È poi altrettanto chiaro che questo requisito è dettato solo per valutare le dimensioni del maso; se il maso non rende, tutti tirano la cinghia o se ne vanno, e nessun familiare può pretendere che il proprietario dia un reddito che non produce. In pratica, in molti casi e in tempi di miseria il diritto al mantenimento consisteva solo nella possibilità di dormire nel maso e di mangiare con gli altri ciò che c'era.

Solo chi ha diritti di uso, usufrutto, abitazione, ha diritto di restare nel maso; gli altri possono essere mandati via, fatti salvi gli obblighi di assistenza che vedremo.

- Il maso deve disporre di un’ampia abitazione e sue dipendenze, sufficiente ad ospitare tutti coloro che lavorano stabilmente nel maso nonché, eventualmente, ospiti da agriturismo. Deve anche poter ospitare il vecchio proprietario e la moglie.

- Il maso deve disporre di tutti i vani ed edifici rustici necessari, dalla coltivazione fino alla commercializzazione dei prodotti.

La legge non prevede che il richiedente sia coltivatore diretto o sia esperto di agricoltura.

 

Se non vi è la casa di abitazione

È possibile costituire in maso chiuso, ma per una sola volta, in capo ad un soggetto che possiede solo terreni, al fine di costruirvi abitazione e rustici, a condizione che:

- tutti i terreni agricoli utilizzabili, di proprietà del richiedente e dei suoi genitori, vengano incorporati;

- si raggiunga una estensione minima, e cioè almeno tre ettari di vigneto o frutteto ovvero almeno sei ettari di arativo o prato;

- il richiedente sia ben qualificato come coltivatore diretto che si dedica all’agricoltura da almeno 5 anni o che abbia una esperienza professionale in agricoltura per un egual periodo; oppure che sia in possesso di specifici diplomi o titoli di studio (da individuare tramite regolamento di esecuzione; attualmente il D.P.P. 3 maggio 2006, n. 19).

- il richiedente o il coniuge non siano stati, negli ultimi cinque anni, proprietari di alloggio per coltivatori, sia come proprietari che comproprietari, e sussista la necessità di costruire una nuova sede aziendale (abitazione e rustici).

Attenzione però: si può costituire un solo maso, ma poi si può essere proprietari di altri masi acquistati o ereditati. Una anomalia poco giustificabile.

Questi requisiti sono stati introdotti per evitare che la costituzione di un maso venisse richiesta solo per poter costruire nel verde agricolo!

Norme particolari sono dettate se il richiedente è un giovane agricoltore[54] con adeguato titolo di studio e che si dedica all’attività agricola, oppure se, pur privo di titolo di studio, si dedica alla attività agricola da cinque anni e l’estensione della azienda coltivata non è inferiore a quella stabilita per il compendio unico (almeno due ettari di vigneto o frutteto, ovvero quattro ettari di arativo o prato).

Il maso può essere inoltre costituito purché né la persona richiedente, né il suo coniuge o i suoi genitori, siano o siano stati, negli ultimi cinque anni, proprietari di un edificio d'abitazione idoneo per una famiglia coltivatrice, sia come proprietari o comproprietari, sia come soci di una società, e sussistano per l'azienda agricola oggettive esigenze che giustifichino la costruzione di una nuova sede aziendale.

Per il raggiungimento della superficie minima non possono essere considerate le aree distaccate da altri masi chiusi, che negli ultimi dieci anni si sono avvalsi di una delle possibilità edificatorie riservate al maso chiuso.

Coltivatore diretto, in base alla legge 590/1965, si intende l’imprenditore agricolo che si dedica direttamente e abitualmente alla manuale coltivazione dei terreni, in qualità di proprietario, affittuario, usufruttuario, enfiteuta, e/o all’allevamento del bestiame ed attività connesse.

Per ottenere la qualifica di coltivatore diretto è necessario essere in possesso di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi. In particolare il coltivatore diretto deve contribuire, con il lavoro proprio e della propria famiglia, ad almeno un terzo del fabbisogno lavorativo aziendale, con un numero di giornate annue non inferiore a 104. Qualora la lavorazione del fondo necessitasse di un numero di giornate inferiore a 104, il coltivatore non potrà usufruire della qualifica e del relativo regime previdenziale INPS. L’attività deve inoltre essere svolta in modo abituale e prevalente, ovvero dovrà occupare il lavoratore per la maggior parte di tempo e dovrà costituire la fonte di reddito principale.

Qualora, quindi, il soggetto eserciti contemporaneamente più attività, andrà determinata quella prevalente, in termini di tempo occupato e reddito ricavato. Va valutata, inoltre, la compatibilità di una doppia contribuzione in relazione al tipo di attività svolta ed alla veste in cui l’attività stessa viene esercitata[55].

 

Fermi i requisiti soggettivi, se la superficie aziendale ammonta ad almeno quattro ettari di vigneto o frutteto, ovvero sei ettari di arativo o prato, non devono essere incorporate ulteriori superfici di proprietà dei genitori, ed il maso può essere costituito anche quando i genitori siano proprietari di un edificio d'abitazione idoneo.

Il Regolamento D.P.P. 3 maggio 2006 n. 19 stabilisce che il giovane agricoltore che richiede di costituire un maso chiuso deve essere in possesso di uno dei seguenti titoli di studio o diplomi:

a) titolo accademico o diploma di un istituto di formazione tecnica superiore in discipline agrarie, forestali o economia domestica e scienze dell'alimentazione;

b) diploma di maturità conseguito presso un istituto tecnico agrario;

c) diploma di una scuola professionale ad indirizzo agrario o di economia domestica.

 

Formalmente un maso si considera costituito quando viene intavolato l’atto costitutivo, previa autorizzazione della Commissione locale per i masi chiusi[56] .

Il maso, ai fini del regime patrimoniale fra coniugi, si considera bene personale a norma art. 179 c.c. (art. 38 Legge sui Masi chiusi); cioè è escluso dalla comunione legale con il coniuge. Vale a dire che il coniuge dell'assuntore non può essere in comunione di beni immobili facenti parte del maso.

La domanda di costituzione di un maso deve essere presentata dal proprietario (o da tutti i comproprietari) dei terreni.

I masi neo-costituiti su richiesta di giovani agricoltori ai sensi della lettera a), comma 3, dell’articolo 2, non possono essere alienati per un periodo di 20 anni a partire dalla iscrizione nel libro fondiario, salvo che vengano ceduti a favore di parenti entro il terzo grado o a giovani agricoltori con i richiesti requisiti. Il vincolo di inalienabilità viene annotato al tavolare.

Il maso chiuso non perde inoltre la sua qualifica se vengono a mancare, per qualsiasi causa, tutti o una parte dei fabbricati di cui al comma 1. La Commissione può tuttavia disporre, su istanza del proprietario o di un coerede, la revoca della qualifica di maso chiuso, qualora sussistano gravi ragioni che escludano in modo permanente la ricostruzione dei fabbricati stessi (Art. 2 c. 5).

 

 

 

 

 

LA NOZIONE DI REDDITIVITÀ

 

Abbiamo già introdotto l'argomento trattando dei requisiti richiesti per la costituzione di un naso, quando già esiste la casa di abitazione.

Il criterio della redditività del maso ha dato notevole lavoro alla giurisprudenza del Tar e del Consiglio di Stato, pervenuta poi a decisioni consolidate in cui si afferma che:

- non bisogna prendere in considerazione la produzione effettiva, ma la potenziale produttività del maso in base ad una normale gestione;

- bisogna tenere conto dei normali bisogni della famiglia;

- le decisioni delle Commissioni devono essere adeguatamente motivate, con logico ragionamento basato su dati concreti;

 - non è sufficiente far riferimento alla estensione del maso, ma occorre effettuare l’analisi della potenzialità produttiva;

- oltre che dei proventi da coltivazione, allevamento e prima trasformazione dei prodotti, si deve tener conto anche della presenza di esercizi commerciali, impianti industriali e artigianali qualificati dalla Commissione come pertinenze, in quanto siano connessi con l’abitazione o i rustici, e separabili solo con grave pregiudizio[57].

La nozione di pertinenza è fornita dall'art. 12 legge m.c. scrivendo: Il codice civile stabilisce quali beni siano considerati di pertinenza del maso. Del maso chiuso fanno parte in ogni caso le scorte vive e morte, in quanto necessarie per la sua regolare conduzione, nonché i diritti e i fattori di produzione connessi alla conduzione del maso, tra cui gli usi civici. In caso di dubbio la commissione locale per i masi chiusi decide quali cose, diritti o fonti di reddito siano da considerare pertinenze del maso.

Si vedano altre indicazioni sulle pertinenze ai fini della determinazione del prezzo di assunzione all'art. 20.

Purtroppo la definizione data dal Codice Civile all'art. 817 è molto generica (Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa) ed ha creato un vasto contenzioso, specialmente in materia di licenze edilizie; il CdSt è arrivato a dire che costruendo una piscina si crea un manufatto pertinenziale a servizio di un bene già esistente e non una "nuova costruzione" (Sent.4780/2006). Pare invece cosa ovvia il ritenere che le norme edilizie di diritto pubblico, nulla hanno a spartire con la nozione di pertinenza che concerne la destinazione funzionale di una cosa, non necessariamente permanente.

 

Per l'art. 2 legge m.c. è considerato annesso rustico ogni edificio, vano o gruppo di vani, anche se inclusi nella casa di abitazione o con essa comunque collegati, destinato alle scorte vive e morte, nonché al deposito, alla lavorazione e alla commercializzazione dei prodotti del maso. Le attività agrituristiche fanno parte della casa di abitazione.

L'attività di agriturismo nel maso è ammissibile esclusivamente ai sensi della legge provinciale 19 settembre 2008. n. 7 (Disciplina dell'agriturismo) e successive modifiche. Essa non riguarda solo i masi chiusi, ma ogni imprenditore agricolo. Le regole che qui maggiormente ci interessano sono:

- Gli addetti allo svolgimento dell'attività agrituristica sono considerati lavoratori agricoli ai fini della vigente disciplina previdenziale, assicurativa e fiscale.

- L'attività consiste  nel fornire alloggio presso la sede  dell'azienda (edifici non necessari alla conduzione agricola), nella somministrazione di cibi e bevande nonché nello organizzare, anche all'esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell'impresa, attività ricreative, culturali, didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo, e organizzare presso l'azienda degustazioni di prodotti agricoli propri e della zona nonché attività di assistenza a persone, anche per mezzo di convenzioni con gli enti locali, finalizzate alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale.

- Il reddito proveniente dall'attività agrituristica è considerato reddito agricolo, salvo diversa valutazione ai fini fiscali.   

- L'attività agricola deve essere prevalente ed è sempre tale fino a dieci posti letto o posti a sedere.

- L’attività di ospitalità in alloggi deve essere svolta presso la sede dell’azienda.

-  I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali.

- L'attività di ospitalità in alloggi è soggetta alle disposizioni di cui alla legge provinciale 11 maggio 1995, n. 12, e successive modifiche. L'attività può essere svolta nell'ambito del volume abitativo ammissibile ai sensi delle disposizioni contenute nelle leggi urbanistiche.

Pertanto il reddito da agriturismo, nei limiti consentiti appena visti, deve entrare a far parte del calcolo della redditività. Il TAR di Bolzano, con sent. 341/2018 aveva incredibilmente affermato il contrario, prontamente corretta dal CdSt. con sent. 3021 del 2020.

 

 


 

 

 

 

 

 

PERDITA DELLA QUALIFICA

E SVINCOLO DEL MASO

(art. 4 e art. 36)

 

Ogni cambiamento nella estensione di un maso o nei diritti reali di godimento (uso, usufrutto, abitazione, servitù) connessi con esso, compresi la costituzione di un diritto di superficie e contratti di locazione od affitto di durata superiore a 15 anni, richiede l'autorizzazione della Commissione. Se questa manca gli atti non possono essere intavolati. Si ricorda che per la Legge n. 203 del 1982, i contratti di affitto di un fondo rustico non possono avere durata inferiore a 15 anni, se stipulati senza assistenza sindacale.

L'autorizzazione non è richiesta se i cambiamenti derivano da espropriazione per pubblica utilità ovvero da operazioni di riordino fondiario approvate dalla Giunta provinciale. Non possono essere rilasciate autorizzazioni, qualora ciò pregiudichi la conduzione del maso o qualora non siano più disponibili edifici a sufficienza per la normale gestione del maso chiuso. Per l'accertamento che un fondo del maso è stato usucapito da altri, il giudice deve sentire la Commissione.

 

Le norme sono state studiate per evitare facili frodi dirette ad ottenere lo scioglimento di un maso e perciò, ad esempio, l’avventa usucapione di un terreno del maso da parte di un terzo non può essere provata attraverso la confessione o il giuramento decisorio; il giudice può far ricorso al giuramento suppletorio, ma è ipotesi molto improbabile che andrebbe esclusa anch'essa per legge. Si deduce quindi che l’usucapione, in questi casi, può essere accertata solo in un giudizio basato su prove documentali o testimoniali, e che non è sufficiente l’adesione del soggetto usucapito, né un accordo in sede di mediazione.

Il maso non viene mai sciolto d’ufficio (svincolo del maso). Se viene superato il reddito massimo, e se vi è contenzioso avanti al giudice, gli interessati alla procedura di assunzione possono chiedere alla Commissione che vengano scorporati dei terreni, ma non oltre l’udienza di discussione della causa per assunzione e fissazione del prezzo. Lo richiederanno in genere gli eredi per poter valutare alcuni dei beni a prezzo di mercato.

Se vengono a mancare, per qualsiasi ragione, in tutto o in parte, i fabbricati, e gravi ragioni oggettive dimostrano che essi non potranno essere ricostruiti, la Commissione, su richiesta del proprietario o comproprietario o di un coerede, può sciogliere il maso.

La regola però è che si debba fare il possibile per ricostruire gli edifici, chiaro essendo che l’incendio di un edifico del maso non può essere un mezzo per ottenere il suo scioglimento!

Lo stato di abbandono del maso non può mai essere causa sufficiente per lo scioglimento del maso,[58] così come non lo giustifica il fatto che i proprietari potrebbero guadagnare di più usando i terreni per scopi non agricoli [59].

La valutazione della Commissione è una valutazione di merito, non impugnabile di fronte al Tar, salvo vizi logici nella motivazione.

Fra gli interessati che possono chiedere lo svincolo del maso, rientrano non solo gli eredi e i comproprietari, ma ogni persona che subisce una limitazione dei suoi diritti o interessi legittimi per il fatto del vincolo (mezzadro, affittuario, promissario di un fondo del maso, ecc.); non è legittimato chi ha una mera aspettativa[60], come, ad esempio, il chiamato quale assuntore, che non ha ancora accettato, oppure il confinante che potrebbe avere diritti di prelazione in caso di compravendita.


 

 

 

 

 

 

L'ESECUZIONE FORZATA  A CARICO

DI UN MASO CHIUSO O DI SUE PARTI

 

Nulla vieta la vendita di un maso all'asta. In genere il maso viene ipotecato e pignorato nel suo insieme, ma può accadere che ciò avvenga a carico di un singolo fondo (ad es. ipoteca legale del veditore, art. 2817 c.c.). È anche possibile che il pignoramento dell'intero maso, venga ridotto (art. 496 c.p.c.) ai beni sufficienti a coprire il debito, se distaccabili. Il maso può cadere in un fallimento se l'assuntore si è dedicato anche ad attività commerciali.

Per la vendita del maso nel suo insieme non sorgono particolari problemi. Più complesso il problema della vendita di singoli beni i quali comportano, talvolta, lo svincolo del maso (vendita della casa di abitazione o riduzione del maso al di sotto delle dimensioni minime) o il distacco di terreni.

L'art. 4 della legge si è si è limitata a dire che le modificazioni nella consistenza del maso sono consentite quando derivano da espropriazione per pubblica utilità o da riordino fondiario e che, in tutti gli altri casi, occorre l'autorizzazione della Commissione locale, la quale la nega qualora ciò pregiudichi la conduzione del maso o qualora non siano più disponibili edifici a sufficienza per la normale gestione del maso chiuso. Si deve perciò necessariamente concludere che chi inizia l'esecuzione forzata su parte del maso, o chiede al giudice di mettere all'asta l'intero maso, in quanto non divisibile senza danni, prima della fissazione dell'asta, deve richiedere, attraverso il giudice dell'esecuzione, l'autorizzazione al distacco di un bene o allo scioglimento del maso. Non è chiaro se il creditore procedente sia legittimato a richiedere lo svincolo del maso, se il vincolo pregiudica i suoi interessi; dubbio anche se il proprietario di un maso confinante, interessato alla fusione dei due masi, ai fini dell’arrotondamento fondiario e della miglior conduzione, abbia un diritto di prelazione.

Nel caso che il maso, o una sua parte, sia caduto in una massa fallimentare, è il curatore a dover richiedere al giudice fallimentare di procedere a richiedere le autorizzazioni per i distacchi e scioglimenti necessari.

Molti problemi, che suscitano fondati dubbi di costituzionalità, e andrebbero chiariti perché, di fatto, la normativa vigente spinge verso la soluzione più comoda dalla vendita del maso in blocco.

In via generale è certo che la vendita a seguito di esecuzione forzata non può in alcun modo incidere su diritti e interessi legittimi di terzi poiché non esiste alcun interesse o alcuna logica che spinga in tale direzione.

In una normale vendita all'asta non vi è ragione al mondo, ad esempio, per non rispettare i diritti di prelazione di terzi sul bene perché essi non incidono sul prezzo realizzabile; sarebbe incostituzionale una diversa interpretazione, che favorirebbe, tra l'altro, trucchi rivolti a ledere i diritti di prelazione.[61]

Nel caso del maso vi è però una legislazione speciale che stabilisce proprio che la vendita forzata di terreni agrari annulla i diritti di prelazione (si veda il cap. Vendita del maso e diritti di prelazione). Il legislatore quindi si è reso conto che emanava delle norme speciali, ma le ha fatte per superare un problema pratico: l'esercizio del diritto di prelazione o di riscatto prevede il pagamento in tempi brevi del prezzo del bene il che, di fatto, può rendere difficile il reperimento del danaro necessario. Però non ci voleva molta fantasia per scrivere delle norme che consentissero la tutela di eredi, confinanti, affittuari, di fronte ad una esecuzione forzata.

 

Ciò comporta che il perito che esegue la relazione di stima del bene da mettere all'asta, è tenuto ad accertare, anche se per la Cassazione non è necessario, in base ai dati tavolari o alla situazione di fatto, se vi sono soggetti in capo ai quali, a seguito della vendita, sorgeranno diritti tutelabili. Ad es., nel caso che il confinante possa vantare un diritto di prelazione, nel bando d'asta si deve indicare tale possibilità e le modalità per consentire all'interessato di far valer il suo diritto dopo l'aggiudicazione. Il valore del bene non cambia.

 

 


 

 

 

 

 

 

LO SPOSTAMENTO DELLA SEDE DEL MASO

 

La materia è regolata dalla legge provinciale 10 luglio 2018, n. 91(Territorio e paesaggio), artt. 17, c . 4, 5 e 5/-bis. La materia è estremamente complessa perché si sono dovute conciliare le esigenze pubblicistiche volte alla conservazione dei masi, così importanti per la società e l'ambiente, con la spinta dei proprietari che agognano a compiere su di essi operazioni edilizie che ne potrebbero triplicare il valore di mercato. E si è cercato di chiudere ogni sfruttabile occasione di eludere le norme. Operazione riuscita solo in parte, come dimostra l'esperienza di questi ultimi anni.

La dislocazione della sede del maso chiuso, o di fabbricati rurali, al di fuori dell’area insediabile è ammessa, qualora ciò si renda necessario per oggettive esigenze aziendali che non possono essere soddisfatte con un ammodernamento o un ampliamento in loco, anche in deroga alla pianificazione comunale (art.5).

È ammissibile la ricostruzione in posizione diversa nel verde agricolo nello stesso Comune e nella posizione adatta più vicina, soltanto se la posizione originaria è oggetto di un divieto di edificazione per motivi di tutela del paesaggio o per la presenza di pericoli naturali o per ovviare a situazioni di pericolo lungo infrastrutture pubbliche. Per edifici esistenti nel verde alpino è ammessa la ricostruzione ai sensi del periodo precedente anche in altra posizione nel verde alpino nello stesso Comune e nella posizione adatta più vicina (art. 4)

L’intervento è comunque soggetto al parere vincolante di una commissione composta da un rappresentante della ripartizione provinciale competente in materia di natura, paesaggio e sviluppo del territorio, un rappresentante della ripartizione provinciale competente in materia di agricoltura e dal sindaco competente. Nel parere si valutano la sussistenza degli oggettivi motivi aziendali e l’idoneità della nuova ubicazione.

La volumetria esistente deve essere destinata ad abitazioni riservate ai residenti ai sensi degli artt. 37 e 39 della L.P. e può essere distaccata dal maso chiuso. Fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 33, il Comune può stipulare con l’interessato un accordo urbanistico riguardante il cambiamento d’uso del pianterreno della sede originaria. 

La dislocazione della sede è ammessa soltanto se appartenente a un maso chiuso coltivato ininterrottamente, nei 10 anni antecedenti la richiesta, dal proprietario o da familiari collaboratori. La decisione della commissione ha una validità di 5 anni. Prima del rilascio del permesso di costruire, il richiedente deve dichiarare che le oggettive esigenze aziendali non sono cambiate dopo la decisione della Commissione (art.5).

Lo spostamento della sede di un maso chiuso, dall'attuale posizione nel verde agricolo, ad un'altra posizione sita nel verde agricolo del medesimo comune, è ammesso, salvo i casi di cui all'articolo 17, comma 4 L.P. Territorio, previo nulla osta della commissione di cui al comma 5 di detto articolo, per motivi di tutela di beni culturali, di tutela del paesaggio e degli insiemi, per ragioni di gestione aziendale e di pianificazione del territorio, oppure sulla base di esistenti situazioni di pericolo. La vecchia sede del maso chiuso deve in ogni caso essere demolita (art. 5/bis).


 

 

 

 

 

 

MODIFICHE AL MASO

(Art. 4)

 

È principio generale che deve essere garantita nel tempo la consistenza immobiliare del maso chiuso e dei diritti reali ad esso connessi.

Tutti i cambiamenti devono essere autorizzati dalla commissione locale per i masi chiusi; l'autorizzazione è necessaria anche per la costituzione di diritti di superficie e per la stipulazione di contratti d'affitto o di locazione con durata superiore ai 15 anni.

Non occorre l'autorizzazione se il distacco è conseguenza di espropriazione per pubblica utilità, ovvero di operazioni di riordino fondiario approvate dalla Giunta provinciale.

La Commissione non può autorizzare il distacco se esso pregiudica la conduzione del maso o rende insufficienti gli immobili per la normale gestione del maso chiuso. Si veda quanto già riportato al capitolo precedente circa le disposizioni delle L.P. 9/2018.

Chi agisce in giudizio per far dichiarare l'usucapione di una parte del maso chiuso, deve acquisire il parere della commissione locale competente. Non sono ammessi i mezzi di prova della confessione e del giuramento decisorio (Si veda quanto già scritto nel cap. "Perdita della qualifica e svincolo del maso ").

Quindi è la legge stessa che prevede la possibilità di usucapione[62] di un immobile facente parte di un maso. Non parla dell'usucapione dell'intero maso, di per sé ipotizzabile ed ammissibile, ma in pratica irrealizzabile.

Nel prossimo capitolo viene trattato il problema del distacco e aggregazione di immobili.


 

 

 

 

 

 

DISTACCHI DI FONDI RUSTICI

(Art. 5 e seguenti)

 

Il distacco può avvenire con o senza l'aggregazione di altri fondi rustici. L'aggregazione può essere sottoposta a condizione[63].

Se avviene con aggregazione di un altro appezzamento equivalente, ai fini dell'economia aziendale, a quello distaccato, la Commissione autorizza il distacco[64].

Se non vi è aggregazione, l'autorizzazione può essere data solo purché non sussistano gravi ragioni di natura economico-sociale o di interesse agricolo e il distacco non comporti una notevole diminuzione del reddito complessivo del maso chiuso[65]. Oppure, se il distacco è indispensabile per mantenere la proprietà e non si scende sotto il reddito medio minimo. Salvo casi eccezionali il terreno distaccato deve essere aggregato ad un altro maso.

L'aggregazione di immobili o di diritti di natura agricola o l'unione di due masi, non deve comportare il superamento del limite massimo di reddito.

 

Per ogni aumento dell’estensione del maso (aggregazione di immobili, art. 7) o per l’acquisto, cessione o modifica di diritti reali di natura agricola su di essi, precedentemente non connessi con lo stesso e ritenuti idonei[66], o per la costituzione di diritti di superficie, o per la stipulazione di contratti di affitto o locazione di durata superiore a 15 anni su qualsiasi porzione del maso, occorre l’autorizzazione della Commissione (è atto discrezionale). Non occorre autorizzazione per espropriazioni o per riordini fondiari approvati dalla Giunta Provinciale o per dare esecuzione a sentenze costitutive[67].

Queste sono quindi le regole generali per i distacchi:

- La Commissione può dare l’autorizzazione al distacco se si distacca un fondo, ma contemporaneamente ne viene aggregato un altro equivalente ai fini dell’economia aziendale (art. 5).

- Se non vi è questo scambio:

a) il distacco di fondi e la cessione o rinunzia di diritti reali possono essere autorizzati solo per gravi ragioni oggettive di natura socio-economica o di interesse agricolo (non per problemi personali) e purché non venga notevolmente diminuito il reddito complessivo del maso.

b) il distacco di un appezzamento di terreno può essere autorizzato se la proprietà del maso può essere mantenuta solo mediante il distacco; in tal caso la diminuzione del reddito può anche essere notevole, ma non si deve scendere sotto al reddito necessario al mantenimento di quattro persone (art. 6)[68].

Comunque i terreni staccati devono essere, anche in questi casi, contestualmente aggregati ad altri masi chiusi, salvo casi eccezionali[69]. In altre parole: se non vi è scambio, i fondi possono essere ceduti solo per essere aggregati ad un altro maso.

- In caso di distacchi nell’interesse pubblico, ad es. per costruire strade pubbliche o regolare torrenti, la Commissione li autorizza, anche se il reddito del maso scende al di sotto del minimo (art. 9). Quando, in seguito all'espropriazione parziale progettata, venga a mancare la qualifica di maso chiuso a norma dell'articolo 2, il proprietario può richiedere che esso venga espropriato integralmente. Ciò significa che in caso di esproprio il maso può scendere sotto le dimensioni minime, se il proprietario non richiede lo scioglimento o l’espropriazione integrale. Soluzione ragionevole perché l’espropriato potrebbe, con l’indennizzo ricevuto, ricomperare terreni e ripristinare le dimensioni del maso.

- La domanda di distacco non può più essere presentata dopo che il giudice ha fissato l’udienza di discussione per la scelta dell’assuntore e la determinazione del prezzo (art. 13).

- La mancanza dell’autorizzazione costituisce causa di nullità del contratto di vendita perché il bene diviene sottratto al commercio giuridico.[70] Sono decisioni troppo formalistiche; non vi è nessun motivo per negare la possibilità di una sanatoria successiva. È anche molto dubbio che la mancanza di una autorizzazione amministrativa renda un bene extra commercium. Ciò consta essere stato detto solo dalla legge nazista del 1933! Un bene patrimoniale indisponibile è solo un bene appartenente a determinati enti pubblici (art. 828 C.C.), mentre il maso è solo un bene privato, soggetto a particolari controlli[71]. Il contratto preliminare di vendita è valido anche se manca la preventiva autorizzazione della Commissione in quanto i requisiti di validità di un contratto ad effetto reale sono eccezionali e quindi non si estendono a contratti con soli effetti obbligatori.[72]

Il Tar di Bolzano, con sentenza 7 agosto 2006, nr. 337, ha deciso che in caso di distacco di un edificio, non si applica la regola della aggregazione di un edificio di pari valore. La Commissione deve solo stabilire se l'edificio in questione può essere staccato senza danno.

 

L'art. 42 della Legge regola la competenza delle Commissioni nel caso in cui siano interessati territorialmente più Comuni (o loro frazioni; vedi art. 40). In via generale vale ovviamente la regola che se il maso rientra tutto in un solo comune, è competente la Commissione di quel comune.

Se parti del maso chiuso sono situate in diverse circoscrizioni, è competente la commissione locale nella cui circoscrizione si trova la casa d'abitazione del maso chiuso. In mancanza di una casa di abitazione è competente la commissione locale del luogo in cui verrà costruita la casa di abitazione.

Il comma 3 stabilisce che l'unione di due masi chiusi situati in diverse circoscrizioni in un unico maso chiuso può essere richiesta, a scelta, ad una solo delle commissioni. Nella prassi si acquisisce anche il parere delle altre circoscrizioni interessate.


 

 

 

 

 

AMPLIAMENTI DEL MASO (art. 7)

 

L’aggregazione di immobili o diritti agricoli ad un maso deve essere autorizzata dalla Commissione e, ovviamente, non si deve con ciò superare la dimensione massima ammessa. L’ampliamento può avvenire anche mediante la fusione di due masi, ma solo ai fini dell’arrotondamento[73] fondiario e della miglior conduzione.[74] I due requisiti devono ricorrere congiuntamente. Formalismo forse eccessivo perché è possibile avere due masi e coltivarli, senza doverli fondere assieme.

Se su dei beni esistono diritti di comproprietà, o altri diritti connessi con la proprietà del maso chiuso, e il rapporto di comunione viene sciolto per qualsiasi causa, i singoli fondi assegnati al proprietario del maso chiuso rimangono, in seguito allo scioglimento, a far parte del maso chiuso (art. 8).

 

 

 

 

 

VENDITA DEL MASO E DIRITTI

DI PRELAZIONE

(art. 10)

 

La prelazione legale è la facoltà che un soggetto ha di acquistare un bene che ha in uso, o in comunione con altri, o confinante con propri beni immobili, alle stesse condizioni a cui esso viene ceduto ad un terzo, privo di tale facoltà. Tipico caso è la prelazione che ogni erede ha sui beni della comunione ereditaria e che gli consente di acquistarli con preferenza rispetto agli estranei. La violazione del diritto di prelazione fa sorgere in capo al danneggiato il diritto al riscatto (detto anche retratto).

Il maso chiuso è regolate da più norme che prevedono casi di prelazione e sono:

a) L'art. 10 della legge sui m.c., che è norma speciale che prevale su ogni altra disposizione. Recita il comma 8: Per quanto non disciplinato dalla presente legge e in quanto compatibile con essa, si applicano le disposizioni sul diritto di prelazione contenute nella legge 26 maggio 1965, n. 590, e nella legge 14 agosto 1971, n. 817, e s.m.

b) La legge L. 26 maggio 1965, n. 590, Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice che, all'art. 8, prevede prelazioni a tutela di affittuari, coloni, mezzadri, e detta disposizioni di procedura. Questa è norma speciale rispetto al codice civile; essa non sempre è in sintonia con le esigenze di un maso chiuso perché è stata pensata per tutelare i coltivatori diretti di terreni altrui di limitato valore, mentre un maso può raggiungere valori elevati, non alla portata di chi è un modesto affittuario.

Il citato art. 10 detta le seguenti regole:

- Ha diritto di prelazione l'affittuario coltivatore diretto anche se ha in affitto solo una parte dei fondi del maso chiuso. L'inclusione di una parte del maso chiuso in zone di utilizzazione edilizia, industriale o turistica non esclude l'esercizio del diritto di prelazione.

- Nel caso in cui più affittuari dichiarino di voler esercitare il diritto di prelazione su un maso chiuso, deve essere data la preferenza al coltivatore diretto che ha in affitto la sede o la maggior parte degli stabili del maso chiuso; dopo di questi vengono gli affittuari di singoli fondi e il diritto di prelazione tra di loro spetta a colui che dimostri di possedere i migliori requisiti per garantire la conduzione e coltivazione diretta e la futura sussistenza del maso.

- L'affittuario non ha diritto di prelazione se il maso viene venduto a discendenti diretti oppure a fratelli o sorelle o loro figli (sono i parenti entro il quarto grado). Qui e nei punti successivi, la legge non usa i termini vendita o cessione ma solo il termine alienazione che è un perfetto sinonimo di compravendita. Non vi è quindi prelazione se il bene viene permutato o donato.

- Però se il maso o una sua parte viene venduto a parenti oltre il secondo grado (sono di secondo grado i figli dei figli e fratelli o sorelle), il coniuge, i parenti entro il secondo grado e gli affini entro il secondo grado che collaborano nel maso e vivono nel medesimo hanno diritto di prelazione su detti beni. Si noti che la disposizione di cui al punto precedente opera solo se viene venduto l'intero maso; la presente invece opera anche di fronte alla vendita di una sola parte.

- Se sono in vendita fondi agricoli che confinano con terreni di un maso chiuso il cui proprietario sia coltivatore diretto, questi ha diritto di prelazione. Non è obbligato ad inserirli nel maso, ma può acquistarti come fondi volanti.

- Se viene veduto un maso chiuso, chi confina con esso non ha alcuna prelazione.

Il proprietario di un maso, coltivatore diretto, ha diritto di prelazione su terreni agricoli confinanti.[75]

Nel caso di fondi agricoli offerti in vendita e confinanti con fondi agricoli facenti parte di un maso chiuso, il diritto di prelazione spetta anche al proprietario coltivatore diretto del maso chiuso. Nel caso di alienazione di un maso chiuso, non spetta il diritto di prelazione (Art. 10 c. 5) ai confinanti, anche se in possesso dei requisiti di cui alla 1971, n. 817.

Nei casi non regolati dalla legge sul maso chiuso, si applicano le norme statali, in quanto compatibili.

 

L'art. 8 della legge 590/1965 prevede:

- la prelazione in caso di trasferimento di terreni a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi, a favore di coltivatori diretti affittuari, a mezzadria, a colonia parziaria, a compartecipazione non stagionale…. purché coltivino il fondo stesso da almeno due anni, ecc. Il diritto di prelazione dei coeredi del venditore che siano coltivatori diretti, prevale sugli altri.

- La prelazione non è consentita nei casi di permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità e quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.

Seguono poi norme procedurali: Il cedente deve notificare al coltivatore con raccomandata con ricevuta di ritorno, il preliminare della compravendita in cui deve essere indicata l'esistenza del diritto di prelazione. Il coltivatore deve esercitare il suo diritto entro il termine di 30 giorni. In caso di mancata od erronea comunicazione il coltivatore può esercitare il diritto di riscatto entro un anno dalla intavolazione del contratto di compravendita. Il coltivatore deve versare il prezzo entro sei mesi decorrenti dal trentesimo giorno dopo la notifica fatta dal proprietario, salvo patto diverso. Il termine è prorogato se il coltivatore richiede un mutuo agevolato.

Il diritto di riscatto agrario non è ben regolato dalla legge del 1965, che si limita a dire che va esercitato entro un anno dalla trascrizione dell'atto di compravendita, nei confronti dell'acquirente e di ogni altro successivo avente causa. Norma insensata nel sistema dei registri delle conservatorie perché chi acquista direttamente dal venditore o dal suo avente causa, non ha alcun modo di sapere quali fossero i rapporti fra proprietario e affittuario (che può anche aver già lasciato il fondo). Norma inapplicabile nel sistema tavolare in cui non possono esistere su di un fondo diritti o pretese diversi da quelli tavolarmente iscritti. Tratteremo ampiamente il problema parlando della usucapione e delle incertezze della Cassazione.

Nel caso in cui, in ipotesi, il riscatto fosse ammissibile la procedura da seguire è la stessa stabilita per far valere la prelazione: formale richiesta all'acquirente di restituire il bene dietro pagamento di quanto corrisposto al venditore  e cioè il medesimo prezzo indicato nel contratto di vendita stipulato in violazione del diritto di prelazione, senza interessi e rivalutazione monetaria (Cass. 21757/2021); se l'acquirente non aderisce, offerta reale della somma deposito liberatorio della relativa somma nei termini (3 mesi) stabiliti dall’art. 8 l. 590 del 1965, così come interpretato dall’art. unico della legge nr. 11/1979, dalla dichiarazione di riscatto o dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto. In mancanza del pagamento in favore del retrattato, nei termini indicati, si verifica la decadenza del retraente e quindi dell’avente diritto alla prelazione agraria ( Cass. 25 luglio 1989 n. 3499).

 

 

 

 

 

 

 

 

Se il terreno viene distaccato da un maso chiuso, l’acquirente dovrà aggregarlo al proprio, previa autorizzazione della Commissione. Se il terreno è volante, l’acquirente può lasciarlo tale. Si veda però Cass. 3011/2012, sopra riportata, che pare consentire che rimanga volante in ogni caso. Se così fosse, la decisione sarebbe errata perché in contrasto con il principio generale e prevalente secondo cui il terreno distaccato deve essere aggregato ad un altro maso.

Quando viene venduto un intero maso, i confinanti non hanno alcun diritto di prelazione su di esso. La disposizione è ragionevole se si intende dire che comunque prevale il diritto di prelazione dei familiari e parenti; irragionevole se mette sullo stesso piano il confinante e qualsiasi estraneo interessato all’acquisto. Si consideri che la riunione di terreni confinanti è sempre considerata come un miglioramento fondiario. Logica vorrebbe che si favorisse l'acquisto di un maso a chi già possiede fondi volanti al di fuori dei confini del maso in vendita, a condizione che li aggreghi al maso.

La Cassazione ha opportunamente precisato che non si può eludere il diritto del confinante con trucchi, come quello di vendere ad un terzo una striscia di terreno lungo il confine.  Però se tale situazione esistesse già prima che il confinante acquistasse il proprio fondo, sarebbe ben difficile provare la volontà di frodarlo.

L'ultimo comma dell'art. 8 stabilisce infine che: Ai soggetti di cui al primo comma sono preferiti, se coltivatori diretti, i coeredi del venditore. La norma regola quindi il concorso della prelazione del coerede coltivatore diretto con la prelazione del coltivatore non coerede, a favore del primo[76].

 

 

La Corte Costituzionale, con sentenza 7-12-2006 n. 405, ha stabilito che è legittima la norma provinciale sui beni artistici secondo cui non si applica la prelazione, prevista per i beni soggetti a vincolo storico-artistico, così motivando: Le norme censurate, infatti, essendo non soltanto predisposte alla tutela della indivisibilità del maso chiuso, ma soprattutto finalizzate a mantenerne la connessione con la compagine familiare, non contrastano con le norme statutarie invocate che, in funzione della conservazione dell'istituto del maso nelle sue finalità e specificità, giustificano le deroghe alla disciplina generale, senza che ciò comporti violazione dell'art. 3 e dell'art. 9 della Costituzione, norma quest'ultima che attribuisce lo sviluppo della cultura e la tutela dei beni culturali e del paesaggio alla Repubblica in tutte le sue articolazioni, e non soltanto allo Stato.

Resta fermo l’obbligo di comunicare la cessione del bene alla Sovrintendenza per i beni culturali (L.P. 20-5-2005 n. 4).

 


 

 

 

 

 

 

SUCCESSIONE EREDITARIA[77] 

(art. 11 e segg.)

 

In linea di principio il maso chiuso che cade in successione, va considerato indivisibile con tutte le sue pertinenze (scorte vive e morte, diritti vari, usi civici, ecc.). In caso di contestazione, la Commissione decide quali pertinenze siano inscindibili. Il maso può essere assegnato solo ad un unico erede o legatario il quale diventa debitore verso la massa ereditaria del valore del maso, accertato a norma art. 20 (art. 15). Si considerano sempre pertinenze di un maso le scorte vive e morte, in quanto necessarie per la sua regolare conduzione, nonché i diritti e i fattori di produzione connessi alla conduzione del maso, tra cui gli usi civici. In caso di dubbio, decide la Commissione (art. 12).

Dopo le modifiche introdotte dalla L.P. 22 gennaio 2010 n.2 l'art. 13 stabilisce che eventuali domande di scioglimento o di distacco devono essere presentate alla Commissione prima della notifica del decreto con cui il giudice fissa udienza di discussione nella procedura per scelta dell’assuntore o per la fissazione del prezzo di assunzione. L'art. 13 stabilisce poi che: La commissione locale per i masi chiusi decide sulle domande presentate tempestivamente e il relativo provvedimento ha effetto immediato sulla determinazione delle pertinenze. È fatto salvo il diritto di adire l'autorità giudiziaria ordinaria.

L'art. 48/bis, inserito dalla L.P. 2018. n. 5, prevede che le procedure vengano regolate con un futuro regolamento.

 

Riportiamo qui di seguito le quote spettanti agli eredi nei casi più comuni.


 

 

 

 

Scheda sull’ Eredità secondo il Codice Civile

Successione senza testamento

Chiamati a succedere per legge

Quote del patrimonio ereditario spettanti

 Solo il coniuge

Tutto

 Il coniuge e un figlio

Metà a testa

 Il coniuge e due figli

1/3 al coniuge e 2/3 ai due figli

 Il coniuge e più di due figli

1/3 al coniuge e 2/3 a tutti i figli

 Solo il coniuge, fratelli e sorelle

2/3 al coniuge e 1/3 ai fratelli e sorelle;

 Solo il coniuge fratelli, sorelle e genitori

2/3 al coniuge, 1/3 altri (ai genitori almeno ¼)

Coniuge separato con addebito

Nulla

 Solo un figlio

Tutto

 Solo più figli

Tutto suddiviso in parti uguali

 Solo un genitore

Tutto

Solo due genitori

Metà a testa

Solo genitori, fratelli e sorelle

Suddiviso in parti uguali (ai genitori almeno ½)

Solo fratelli e sorelle

Tutto, suddiviso in parti uguali

Solo i nonni

A metà tra nonni paterni e materni

Solo bisnonni o altri ascendenti

Tutto a chi ha il grado di parentela più vicino

Solo altri parenti

Entro il sesto grado al parente più vicino che esclude gli altri

Nessun parente

Lo Stato

 

Successione con testamento – Quote disponibili

Coniuge vivente

Chiamati

Eredi

Legittima

Disponibile

Coniuge (in mancanza di figli e senza ascendenti)

Coniuge

50% eredità + diritto abitazione

50% eredità

Coniuge + Figlio unico

(anche se viventi gli ascendenti)

Coniuge

1/3 eredità + dir. abitazione

1/3 eredità

Figlio unico

1/3 eredità

Coniuge + 2 o più figli

(anche se viventi gli ascendenti)

Coniuge

1/4 eredità + dir. abitazione

1/4 eredità

Figli

50% eredità in parti uguali

Coniuge + Ascendente/i

(senza figli e fratelli)

Coniuge

50% eredità + dir. abitazione

25% eredità

Ascendente/i

1/4 eredità

Senza Coniuge

Figlio unico (anche se viventi gli ascendenti)

Figlio unico

50% eredità

50% eredità

2 o più figli (anche se viventi gli ascendenti)

Figli

2/3 eredità in parti uguali

1/3 eredità

Ascendente/i (senza figli)

Ascendente/i

1/3 eredità

2/3 eredità

Senza figli e ascendenti

Senza figli e ascendenti

Niente

Intera eredità

 

 

 

I gradi di parentela

Parentela di grado

Esempi

genitore - figlio

nonno - nipote (figlio di figlio) - fratello

zio - nipote (figlio di fratello)

1° cugino

2° cugino - figlio del 1° cugino

figlio del 2° cugino

 

NB: Il grado si ottiene contando tutte le persone, salvo il genitore comune: io – mio padre - mio fratello – suo figlio = 3° grado

 

 

 

 

 

RAPPORTO FRA CESSIONE DEL MASO

E SUCCESSIONE

 

Il maso è una entità giuridica con un suo regime speciale. Può essere oggetto di cessione o di successione.

Vi è un limite alla alienazione, non insuperabile, e solo per i masi di nuova costituzione, su richiesta di giovani agricoltori vi è un limite di 20 anni; esso va intavolato. I familiari che vivono nel maso hanno diritto di prelazione (art. 10). Occorre autorizzazione per concedere diritti di superficie e per locazioni oltre 15 anni.

La cessione si fa con atto tra vivi con cui il proprietario vende o cede liberamente il maso, che quindi non farà più parte del suo patrimonio e non cadrà in successione.

Con la cessione vengono trasferiti tutti i beni immobili e loro pertinenze, con tutti i diritti ed oneri intavolati.

La cessione può avvenire anche per testamento (art.16), mediante designazione dell'assuntore il quale può essere, o non essere, un erede legittimo del proprietario. Il designato non diventa erede. L'eredità si apre normalmente sui beni del defunto e si tratta di capire la qualificazione giuridica di questa designazione; esse potrebbe essere assimilata ad un legato oppure essere considerata un istituto giuridico autonomo e speciale.

Se si considera la disposizione testamentaria come un legato, secondo il codice civile il valore del legato non può superare la quota disponibile (art. 554-555 c.c.). L'art. 17 che tratta di Legatario o assuntore con atto tra vivi, non parla dello assuntore per testamento e contiene una norma oscura che recita: Il legatario o il donatario possono tenere il maso chiuso, salva reintegrazione in denaro della quota riservata ai legittimari. Si applica all'assuntore per testamento o solo al legatario vero e proprio? Che vuol dire tenere? Il donatario già è proprietario dei beni e non deve fare nulla; il legatario non ha ancora nulla da tenere (behalten, in tedesco). Forse è stato un modo contorto per dire che questi soggetti, se vogliono conservare o ricevere il maso devono pagare agli altri eredi, oltre al valore del maso, anche la parte che supera la disponibile. Ad esempio la massa ereditaria ha un valore di un milione di euro e vi è solo il coniuge come erede; la quota disponibile è di 500.000 euro; se il maso non supera tale importo, nessun problema; se però vale 800.000 euro, il legatario o donatario devono versare o conteggiare alla massa 300.000 euro.

Questa è probabilmente la soluzione corretta. Però si ritorna al problema di fondo di una normativa il cui il proprietario del maso lo può vendere come e a chi gli pare e disperdere il suo patrimonio, ma non può disporne liberamento con il testamento o con un atto di donazione.

Se invece si considera la designazione dell'assuntore mediante testamento come il frutto di una norma testamentaria specifica per il maso chiuso, norma che il legislatore provinciale può senz'altro adottare, come spiegato sopra, allora l'assuntore diventa proprietario dell'intero maso e agli eredi non spetta alcuna quota su di esso.

Questa pare essere la soluzione corretta (altrimenti non vi sarebbe stato motivo di distinguere tra degnato alla assunzione e il maso dato come legato ereditario), ma non si comprende perché essa non debba valere anche per la donazione del maso: in buona sostanza si è di fronte ad una donazione inserita in un testamento, una donazione mortis causa per la quale non sono previste particolari formalità.

Le disposizioni sulla determinazione e sul pagamento del prezzo di assunzione trovano applicazione anche per la determinazione del valore del maso chiuso, di cui sia stato disposto validamente con atto di donazione o per atto tra vivi.

 

Se il designato muore, il diritto di assunzione si trasferisce ai discendenti e al coniuge dell'avente diritto all'assunzione; nella scelta del coerede assuntore si osservano, in quanto applicabili, i criteri previsti dai commi 1 e 2, ovviamene riferiti alla famiglia del designato (art. 14 c. 4).

Una disposizione, molto particolare, dell'art. 17 comma 3, dispone che in mancanza di disposizioni di ultima volontà, il trasferimento di una quota indivisa del maso a uno degli aventi diritto alla successione conferisce all'acquirente della stessa il diritto di assunzione dell'intero maso ai sensi dell'articolo 20. Come dire, che invece di usare la forma del testamento, il proprietario può cedere, da vivo, una quota anche minima del proprio maso e chi acquista si ritrova nella posizione di chi è stato designato come assuntore, salvo che il cedente abbia cambiato idea nel suo testamento. La disposizione non si applica ad un trasferimento di beni mediante donazione, stante la lettera della norma che, nel testo italiano, si riferisce espressamente ad un "acquirente". Il testo tedesco è più sfumato perché usa il termine verleihen per trasferire e Erwerber per acquirente, entrambi generici; ed Erwerber non è un termine giuridico e si dovrebbe tradurre con "ricevente".  Quindi il testo tedesco consentirebbe di affermare che il diritto di assunzione può derivare anche da una donazione; cosa più logica poiché non vi è ragione di distinguere fra due situazioni sostanzialmente eguali e di negare pieno valore alla donazione che viene fatta con atto pubblico.

 

Diritto di usufrutto od abitazione del coniuge del defunto: il diritto sorge automaticamente con la morte del proprietario. Quindi viene intavolato con il certificato ereditario e atti conseguenti. Perciò deve essere rispettato dall'assuntore, anche se non erede.[78]

Gli eredi legittimi i quali temono che il patrimonio sia passivo, devono rinunziare all'eredità o accettare con beneficio d'inventario.

Se non vi è testamento, si apre una normale successione, regolata dal codice civile, e, parallelamente ad essa, la procedura per individuare fra di essi l'assuntore.

I debiti sul maso: data la natura "aziendale" del maso, è nella natura delle cose che il legatario risponda anche dei debiti gravanti sul maso (ipoteche) e per tutti i vincoli iscritti a tavolare: lo prende a scatola chiusa, ma l'importo dei debiti verrà detratto dal prezzo di assunzione. Ma risponde anche dei debiti personali del defunto, che ad empio ha firmato cambiali o ha fatto un mutuo in banca? No, questi sono debiti dell'eredità da suddividere fra gli eredi che non abbiano rinunziato all'eredità. Quindi l'erede-assuntore ne risponderà pro quota. In pratica però è difficile stabilire la natura del debito.

Può il legatario-erede rinunziare all'eredità e tenersi il legato? Sì, ma perde il diritto di detrarre somme dall'importo di assunzione e quindi si ritroverà comunque a sostenere una parte del debito ed il rischio di riduzione del legato.


 

 

 

 

 

 

SUCCESSIONE LEGITTIMA

 SCELTA DELL’ASSUNTORE

(art. 14-20)

 

Determinazione dell'assuntore del maso in caso di successione legittima (senza testamento, art. 14)

 

Abbiamo già detto come l'assuntore del maso chiuso venga talvolta determinato con regole diverse da quelle che regolano la successione dei beni facenti parte maso. L'assuntore è il soggetto che diventa il nuovo proprietario del maso o per acquisto, o per designazione da parte del precedente proprietario, o per un legato od una donazione. Non sono previsti particolari requisiti e neppure che egli sia un coltivatore diretto o un esperto in agricoltura. Egli può anche essere uno degli eredi del de cuius, ma la designazione fatta dal de cuius prevale su tale qualità.[79]

Sono esclusi dal diritto di assunzione del maso i coeredi, dichiarati inabilitati o interdetti (art. 14 c. 3)[80]. Originariamente era esclusa la persona con inabilità fisica, ma poi il divieto è stato tolto perché la nozione di inabilità pareva troppo vaga [81].

I minorenni possono divenire assuntori tramite il loro legale rappresentante e con le autorizzazioni di legge. Il minore emancipato non ha bisogno di esse assistito nella procedura per la determinazione del prezzo di assunzione.[82]

Se la persona chiamata all'assunzione non intende assumere il maso, la preferenza passa ai coeredi (art. 14 c. 5).

L'articolo 14 elenca una serie di situazioni personali che costituiscono titoli di preferenza ad essere scelto come assuntore rispetto ad altri coeredi.

Resta ferma la regola (lett. e) secondo cui tra più coeredi di pari preferenza, secondo le lettere dalla a) alla d) che ora esporremo, sono preferiti i parenti più vicini di grado. I discendenti (i figli e i figli dei figli) che crescono o sono cresciuti nel maso (cioè che non se ne sono andati per crearsi una vita indipendente), compresi i figli adottivi e coloro che subentrano per rappresentazione[83], sono preferiti al coniuge superstite (lett. d). Però con una eccezione: se sono passati più di cinque anni dall'ultima assunzione del maso, o se il coniuge superstite da almeno cinque anni ha collaborato alla conduzione del maso, egli è preferito a tutti gli altri parenti: il lavoro domestico svolto nel maso si considera una collaborazione alla sua conduzione. È chiaro che in pratica la norma riguarda la vedova dell'assuntore.

La disposizione per cui prevale il coniuge solo perché è sposato da oltre cinque anni con l'assuntore, anche se non ha collaborato alla conduzione agricola del maso, rientra nello schema generale ma resta il dubbiose sia logico scegliere come assuntore un soggetto rispetto al quale non vi sono elementi per presumere che abbia una qualsiasi dote od esperienza che lo renda idoneo a gestire un maso.

A parte la posizione particolare del coniuge, l'ordine di preferenza è regolato dai seguenti altri criteri:

a) i coeredi che crescono o sono cresciuti nel maso sono preferiti agli altri coeredi;

b) tra più coeredi che crescono o sono cresciuti nel maso sono preferiti coloro che nei due anni antecedenti l'apertura della successione hanno partecipato abitualmente[84] alla conduzione e alla coltivazione del maso;

c) tra più coeredi che adempiano i presupposti previsti nelle lettere a) e b) sono preferiti coloro che sono in possesso di un diploma di una scuola professionale ad indirizzo agrario o di economia domestica riconosciuta dallo Stato o dalla Provincia, o di un'altra adeguata formazione riconosciuta dalla Provincia.

Alla lett. f) si stabilisce poi che se il defunto non ha lasciato discendenti né coniuge superstite e ha assunto l'intero maso o gran parte di esso da uno dei genitori per via ereditaria o per trasferimento in anticipazione della successione ereditaria, trovano applicazione, in caso di presenza di più persone dello stesso grado di parentela, i criteri di cui alle lettere a), b) e c). Norma che appare pleonastica; presa alla lettera, pare voler dire che in questo caso non trova applicazione la regola di cui alla lett. e) in base alla quale, tra più coeredi di pari preferenza, secondo le lettere dalla a) alla d), sono preferiti i parenti più vicini di grado. Regola talmente generale e ovvia che avrebbe dovuto essere messa al primo posto e non all'ultimo!

Sorgono dubbi di costituzionalità. Infatti, o si accetta che il sistema ereditario italiano, che prevede la riserva di quote dell'eredità ai legittimari, non è affatto un principio dell'ordinamento giuridico italiano (riferimento tolto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3), visto che per regola generale il defunto non è obbligato a lasciare il maso ad uno di essi, oppure si deve ammettere che le regole escogitate per scegliere l'assuntore fra gli eredi sono basate su di una logica poco comprensibile. Perché mai preferire un erede solo perché ha vissuto nel maso? Ciò nulla dimostra a favore di sue capacità imprenditoriali. E perché mai nominare assuntore chi non ha mai fatto il coltivatore diretto? Tutti problemi che non sono stati affrontati con sistematicità, ma alla buona.

Con le modifiche della L.P. 1918 n. 5 si è poi stabilito, al comma 2, che: Nel caso in cui vi siano più coeredi aventi gli stessi diritti di preferenza di cui alle lettere da a) a f), o qualora nessun coerede soddisfi le condizioni previste al comma 1, quale assuntore viene scelta, ad opera dell'autorità giudiziaria, sentiti i coeredi e la commissione locale per i masi chiusi, la persona che dimostra di possedere i migliori requisiti per la conduzione personale del maso chiuso.

Se chi ha diritto all'assunzione muore prima di aver accettato, il diritto si trasferisce ai suoi discendenti ed al coniuge e la scelta dell'assuntore viene fatta tra di essi in base ai criteri di preferenza sopra esposti ai commi 1 e 2 dell'art. 14, in quanto applicabili. Si noti come il diritto non dipenda dalla situazione ereditaria del defunto, ma passi direttamene ai suoi figli e nipoti, per diritto di sangue, con regola tipica del diritto germanico.

Le norme che attribuivano una prevalenza al primogenito (già abrogate nel 2010) e quelle che distinguevano fra eredi maschili e femminili, sono state dichiarate incostituzionali (sentenze n.193 del 2017 e n.15 del 2021).

Quando si procede alla divisione dell'eredità, il maso è assegnato all'assuntore determinato ai sensi dell'articolo 14, il quale diventa debitore della massa ereditaria per l'ammontare del valore del maso concordato o determinato ai sensi dell'articolo 20.

La normativa sopra esposta non è delle più coerenti. In particolare non si comprende perché il proprietario del maso possa far diventare assuntore chi meglio crede, senza richiedere che questi sia idoneo a gestirlo.

Ciò prelude spesso ad una gestione del maso mediante affittuari, cosa senz'altro contraria allo spirito del maso ed alla sua funzione sociale e familiare. L'affittuario ha meno interesse del proprietario alla salvaguardia del territorio ed alla manutenzione degli immobili. Si creano nuclei familiari di agricoltori i cui componenti non godono dei diritti accessori di abitazione e assistenza nel maso, ecc.

Il sospetto è che la norma sia nata, in passato, per consentire il lascito di masi ad enti, di solito ecclesiastici, ma è ormai un fenomeno superato, che non vi è più motivo di tutelare. È una contraddizione in termini che un maso sia di proprietà di una persona giuridica o di un soggetto che può solamente affittarlo a terzi.

Forse si potrebbero introdurre delle regole per avvicinare il regime dei contratti di affitto di un maso, al regime dei masi chiusi.

La regola per cui il maso può essere ceduto a chi pare e piace e che l'assuntore può essere un soggetto che non ha alcuna possibilità di coltivare il maso, è il tallone di Achille della normativa e porterà alla sparizione dei masi migliori, siti in zone appetibili per speculazioni edilizie. Se il maso può essere acquistato da chi non è contadino, se è un maso di montagna con un reddito agrario modesto, basato principalmente su bestiame e latte, è nella natura delle cose che il proprietario immobiliarista usi ogni possibile trucco per sfruttare le possibilità di costruire sui terreni del maso; e i trucchi ci sono, come dimostra il fatto che certi masi vengono ceduti ad un prezzo che è dieci volte quello di un maso con le stesse caratteristiche agrarie, ma senza prospettive di espansione degli edifici.

 

La scelta e la posizione dell'assuntore

Punti importanti circa la posizione del chiamato ad essere assuntore, sono:

- per l'art. 37, comma 6, della legge il diritto di assumere il maso chiuso è inalienabile e non si estingue per prescrizione o decadenza, salvo il caso di prescrizione ai sensi dell'articolo 480 del codice civile (prescrizione decennale del diritto di accettare l'eredità).

- per l'art. 14, comma 4, il diritto di assunzione acquisito si trasferisce in caso di morte ai discendenti e al coniuge dell'avente diritto all'assunzione; nella scelta del coerede assuntore si osservano, in quanto applicabili, i criteri previsti dai commi 1 e 2.

- per l'art. 14, comma 5, se la persona chiamata all'assunzione non intende assumere il maso, la preferenza passa agli altri coeredi e si applicano i criteri di cui ai commi 1 e 2.

Queste regole non sono del tutto chiare. Chi acquista per atto tra vivi, diventa assuntore al momento della intavolazione dell'atto e non vi sono più problemi di prescrizione o alienabilità. Perciò le regole si applicano all'assuntore per designazione testamentaria, dopo la morte del de cuius. Il che vuol dire che, o come designato o come legatario o come erede, può rinunziare al suo diritto di essere prescelto, come previsto dal comma 5. Che significa quindi lo stabilire che il suo diritto è inalienabile? Solo che l'assuntore non può cedere a terzi la sua aspettativa di essere nominato; ma egli può accettare e poi rivendere il maso, se non vi è un vincolo in base all'art. 3 della legge, o può fare accordi riservati con i coeredi.

Del tutto incomprensibile la ratio per cui si prevede solo una prescrizione decennale del diritto di accettare l'eredità, ma non quella del diritto alla assunzione contenuta nel testamento e che non rende l'assuntore un erede; significa accettare che un maso possa restare per dieci anni senza un proprietario, in mano ad affittuari, o a possessori senza titolo, o abbandonato e si prevede anche l'ipotesi che se l'assuntore non è un erede, il suo diritto non si prescriva mai. Cosa insensata.

 

Questo, ed alcuni altri, sono i punti deboli della legge perché contrastano con la ratio storica del maso, unica che consente il superamento di certe norme civili dell'ordinamento giuridico italiano. Il legislatore locale, dovendo trovare la quadratura del cerchio fra interessi privati e ragion d'essere del maso, ha escogitato una serie di norme particolari e speciali che rovinano il quadro generale. Logica avrebbe voluto che si stabilissero regole rapide per la determinazione del prezzo di assunzione e che si fissasse un ragionevole tempo di decadenza entro cui il chiamato all'assunzione deve decidere.

Come già detto, la legge deve regolare il quod plerumque accidit, le situazioni normali a cui si deve tendere, e, ad esempio, avrebbe dovuto più incisivamente e coerentemente fissare il principio generale che l'assuntore deve dare affidamento di saper gestire il maso, che deve essere un agricoltore e che lo deve gestire personalmente. Non rientra proprio in questo schema l'idea di considerare idoneo assuntore chi è stato sposato con il defunto per cinque anni e non ha mai messo piede nei campi o nella stalla, in nome della tutela di un diritto ereditario che ha dovuto comprimere, per logica sistematica, ben altri diritti ereditari.

Le regole sull'assuntore sono state affrontate dalla Cassazione già nel 1964, sentenza n. 2540, con questi corretti chiarimenti, in parte poi recepiti o superati da modifiche successive:

1) Nella legislazione provinciale di Bolzano, il t.u. 7 febbraio 1962 n 8 sui masi chiusi attribuisce direttamente al chiamato all'eredità, in base all'ordine di preferenza prestabilito dall'art. 18, non la proprietà, ma il diritto all'assunzione del maso, il quale diritto e quindi condizionato all'accettazione dell'eredità ed e definito dalla legge inalienabile e non soggetto a decadenza, ma soltanto a prescrizione nello stesso termine (dieci anni) stabilito dallo art. 478 cod. civ. per la prescrizione del diritto di accettare l'eredita.

2) L'assunzione del maso non fa ancora diventare di per sé l'assuntore proprietario del maso, né nell'ipotesi normale né in quella di cui allo art 31, è infatti necessario che il pretore competente rilasci, ex art 13 e segg. legge n 499, del 1929 il certificato di eredita del maso chiuso per la intavolazione del diritto di proprietà su esso a nome o dell'assuntore (art 33 cpv.) eventualmente fissando l'importo massimo per il quale deve essere iscritta l'ipoteca cauzionale a garanzia del pagamento del prezzo ed e inoltre necessario che avvenga l'intavolazione sul libro fondiario, poiché soltanto con tale ultimo atto l'assuntore acquista il diritto di proprietà sul maso (art 3 l n 499 del 1929). Qualora l'erede assuntore (Anerbe) abbia dichiarato di voler assumere il maso prima che ne sia determinato il prezzo di assunzione, nel certificato di eredita il pretore attesta soltanto che l'assunzione spetta all'erede chiamato ai sensi della legge sui masi chiusi, e tale certificato forma titolo per l'annotazione tavolare del diritto di assunzione del maso a favore dell'erede chiamato, certificato che viene revocato dal pretore, ex art 20 l n 499 del 1929, dopo la determinazione del prezzo del maso, e viene sostituito con quello previsto dall'art 33 (art 33 a comma secondo), il quale potrebbe essere anche a favore di altro coerede ove il primo chiamato in assunzione abbia fatto la dichiarazione-rinuncia di cui all'art. 25.

Con sentenza Cass. 3498/1972 ha poi aggiunto: Qualora nel procedere a divisione consensuale di un'eredità intestata comprendente un maso chiuso, i condividenti dichiarino anzitutto di assegnare il maso al coerede che in effetti risulta averne diritto in forza dell'art 18 del decreto del Presidente della giunta provinciale di Bolzano 7 febbraio 1962 n 8, indi si accordino nello stabilire il prezzo dell'assunzione (come e loro consentito dall'art 25) e infine provvedano ad attribuire agli altri coeredi, nella misura corrispondente alle rispettive quote, determinate porzioni del credito verso lo assuntore, nonché eventuali beni non compresi nel maso o scorporati da esso su autorizzazione della commissione dei masi chiusi, la successiva rescissione per lesione ex art 763 cod civ, porrà nel nulla tutti questi accordi, ma non anche l''assegnazione del maso. Questa assegnazione, infatti, non è un'assegnazione divisoria in senso proprio e non costituisce una clausola del contratto di divisione, nemmeno quando sia con esso contestuale, ma rappresenta il semplice riconoscimento di una situazione preesistente, di cui occorre tener conto nello stabilire le modalità della divisione.

Secondo la sentenza Cass 3155/1993: La designazione dell'assuntore del maso chiuso, ancorché effettuata con testamento, non è sufficiente a determinare il suo acquisto della proprietà ma è necessario il rilascio, per l'intavolazione nel libro fondiario, del certificato di eredità del maso da parte del pretore a norma dell'art. 13 R.D. 28 marzo 1929 n. 499 che dispone la definitiva assegnazione del maso, recando eventualmente la fissazione dell'importo massimo per il quale deve essere iscritta l'ipoteca a garanzia del pagamento del prezzo a favore dei coeredi esclusi. Ne deriva che, prima di detta assegnazione del maso all'assuntore, rimanendo uno stato transitorio di comunione relativamente ai beni che compongono il maso, i frutti naturali dei medesimi, se già separati, sono di proprietà di tutti i coeredi partecipanti ai sensi degli artt. 820 e 821 cod. civile.

 


 

 

 

 

 

 

SUCCESSIONE PER TESTAMENTO (art. 16)

 

Il proprietario può designare con disposizione di ultima volontà (testamento o altro atto con gli stessi requisiti di forma) l’assuntore, anche in persona diversa dagli eredi legittimi, e stabilire il prezzo di assunzione. Oppure può escludere determinate persone dall'assunzione. Se l’assuntore o i coeredi non sono d’accordo sul prezzo, questo è determinato a norma art. 20. Le quote di legittima verranno calcolate sul prezzo di assunzione.

Il maso può essere trasferito ad un assuntore anche mediante legato o donazione[85], reintegrando a norma artt. 553 e segg. c.c. la quota dei legittimari in base al prezzo stabilito a norma art. 20 (art. 17) e cioè al valore di assunzione.

In mancanza di disposizioni di ultima volontà, il trasferimento di una quota indivisa del maso a uno degli aventi diritto alla successione, fatto dal proprietario unico del maso con atto fra vivi (vendita, donazione), conferisce all'acquirente della stessa il diritto di assunzione dell'intero maso ai sensi dell'articolo 20. È ragionevole ritenere che la procedura per l'intavolazione debba essere stata iniziata prima della morte del cedente (Art. 17).

Si veda quanto già detto al precedente capitolo circa la posizione giuridica dell'assuntore.

 

 


 

 

 

 

 

 

PIÙ PERSONE EREDI CHIAMATE ALLA

SUCCESSIONE SENZA DESIGNAZIONE

DELL'ASSUNTORE DEL MASO

Art.18.[86]

 

Il comma 1 dell'art. 18, non modificato, stabilisce: Quando chi ha fatto testamento non ha designato l'assuntore e sono chiamate alla successione più persone, tra cui almeno un erede legittimo, si applicano le norme di cui agli articoli 14 e 20. Resta salva la facoltà del testatore di escludere dall'assunzione determinate persone chiamate alla successione.

Il comma 2, nel nuovo testo, recita: Se il testatore ha chiamato alla successione più persone senza designare l'assuntore e se nessuna di esse è fra quelle indicate nell'articolo 14, ciascuna delle persone eredi chiamate alla successione può chiedere la divisione dell'eredità e la nomina dell'assuntore da parte del giudice, qualora entro un anno dalla devoluzione non si sia trovato un accordo sull'assunzione del maso. Per la determinazione giudiziale dell'assuntore deve essere sentita la commissione locale per i masi chiusi, la quale dovrà tener conto dell'idoneità dell'assuntore[87] a condurre personalmente il maso. Qualora non si giunga ad un accordo sul valore di assunzione del maso, lo stesso è stabilito a norma degli articoli 20 e seguenti.

Si ricorda che il trasferimento di una quota indivisa del maso a uno degli aventi diritto alla successione, conferisce all'acquirente della stessa il diritto di assunzione dell'intero maso ai sensi dell'articolo 20 (art. 17).

Il chiamato come erede può svolgere atti urgenti di conservazione dei beni a norma art. 460 c.c., e ciò non comporta una accettazione di fatto, con decadenza dalla possibilità del beneficio di inventario, purché gli atti non eccedano la mera gestione conservativa dei beni dell'asse ereditario (Cass. 178/1996). Egual diritto non compete all'assuntore, fino alla intavolazione finale del suo diritto (art. 33).


 

 

 

 

 

 

DETERMINAZIONE DEL PREZZO

DI ASSUNZIONE

(art. 20)

 

Sul punto della determinazione del valore da attribuire al maso, si segue la regola generale per cui, se l’assuntore è un erede legittimo, deve pagare l’importo convenzionale calcolato sulla redditività del maso (art. 20); se egli non è un erede legittimo, la valutazione del valore del maso chiuso, ai fini della determinazione delle quote di legittima, è effettuata in base ai valori agricoli medi stabiliti annualmente ai sensi della L.P. 15 aprile 1991. n. 10 e successive modifiche, senza applicare i coefficienti di rivalutazione; nella valutazione, dice la legge, sono già compresi il valore dell'annesso rustico e la cubatura residenziale utilizzata per scopi agricoli (art. 19)[88]. Come vedremo tabelle e coefficienti medi non sono più applicabili.

Deve quindi essere ben chiaro che un maso può essere oggetto di due percorsi valutativi: se il maso deve essere venduto, o se devono essere venduti terreni distaccati, si procede ad una valutazione del prezzo di mercato, tenendo conto delle sue caratteristiche al momento della valutazione. Se si deve invece calcolare il valore di assunzione, la valutazione viene fatta in base alla prevedibile redditivà del maso, gestito con il criterio del buon padre di famiglia; si dovrà tener conto dei singoli fattori di produzione (terra, lavoro, capitale), dei costi ed ammortamenti, dei prodotti adibiti a consumo personale, delle attività accessorie, ecc.

Se il defunto non ha disposto in merito all'assuntore o al prezzo di assunzione del maso e se gli interessati non addivengono a un accordo tra di loro, l'assuntore e il prezzo di assunzione del maso sono determinati dal Tribunale in un unico procedimento (art. 20).

Recita la legge: Ai fini della stima del valore di assunzione del maso si tiene conto del reddito medio netto annuo presunto in base alla conduzione del maso, secondo gli usi locali. Con riguardo all'attività agricola tale valore è capitalizzato al tasso annuo del 5% e, con riferimento alle attività connesse di cui al terzo comma dell'articolo 2135 del codice civile e successive modifiche[89], il valore è capitalizzato al tasso annuo del 9%.

Con il regolamento di esecuzione di cui all'articolo 49 verranno definiti i criteri per la determinazione del valore di assunzione, da applicare dopo l'entrata in vigore del regolamento stesso. (Art. 20, comma 2). In caso di cessione di un maso chiuso i diritti connessi con la conduzione del maso, così come le pertinenze di cui all'articolo 12, passano a titolo gratuito all'assuntore del maso.

 

Altri parametri verranno indicati con regolamento di esecuzione, ma è certo che esso non potrà limitare una oggettiva valutazione mediante parametri innaturali.[90] Restano salvi, ovviamente, gli accordi già raggiunti con alcuni degli eredi.

Il valore di diritti di uso, usufrutto, abitazione, servitù, oneri reali, vengono calcolati e capitalizzati e dedotti dal prezzo (art. 20). Si è discusso se si debba tenere conto anche dei diritti di usufrutto ed abitazione derivanti dalla morte del de cuius oppure solo di quelli preesistenti. La soluzione non può che essere nel senso che si deve detrarre il valore di tutti i pesi gravanti sul maso perché tutti contribuiscono egualmente a diminuirne la redditività netta e a diminuire la quota spettante ai coeredi esclusi. La redditività di una azienda è ovviamente proiettata verso il futuro.

In caso di cessione di un maso chiuso i diritti connessi con la conduzione del maso così come le pertinenze di cui all'articolo 12, passano a titolo gratuito all'assuntore del maso (art. 20 c. 3).

Se il maso chiuso è gravato da diritti di usufrutto, uso o abitazione, da servitù o da oneri reali, essi sono stimati separatamente e il loro valore è defalcato dal valore di assunzione calcolato.

In passato si insisteva molto della necessità che il prezzo di assunzione fosse equo, per consentire all'assuntore di poterlo sostenere. Si ritrova anche nella legge sui masi del Tirolo, art. 21. È un principio orientativo ragionevole che conserva la sua validità, purché il prezzo sia equo anche per gli eredi che lo ricevono! In realtà il problema non era l'equità del prezzo, ma che l'assuntore avesse i mezzi per liquidare i coeredi e quindi si cercava di comprimere al massimo il prezzo.

Un tempo la prospettiva era poi completamente diversa. L'assuntore non riceveva solo immobili, ma anche le persone che vivevano nel maso e verso cui aveva obblighi di assistenza; i più erano già felici di continuare ad avere un tetto e da mangiare e quello era il loro modo di partecipare alla successione. Chi decideva di andarsene e vi erano soldi, poteva ricevere un "viatico".

Le regole di calcolo stabilite dalla legge sono formalmente corrette: se il maso è assimilato ad una azienda, il suo valore non è dato dal solo capitale, ma dalla capacità di produrre reddito, dalla capacità di mantenere un certo numero di persone dando loro vitto e ed alloggio ed in più un certo reddito a chi vi lavora. Nel momento in cui uno dei partecipanti deve cedere la sua quota occorre calcolare il valore della produzione media di quel maso e quale tenore di vita poteva dare al partecipante. Questo è il valore che va capitalizzato, come correttamente stabilito. Però il criterio di capitalizzazione dovrebbe essere più elastico per adattarsi alla prevedibile evoluzione dell'economia. [91]

Qui abbiamo esposto il contenuto della legge. I problemi applicativi vengono ampiamente trattati nel capitolo La valutazione del maso. Si veda anche quanto detto al paragrafo Il procedimento giudiziario del capitolo che segue.

 

 


 

 

 

 

 

 

PROCEDIMENTO PER L'ASSUNZIONE

(art. 21 e segg.)

 

Le contese che concernono la scelta dell’assuntore e la determinazione del prezzo di assunzione di un maso già intavolato come tale, sono di competenza del Tribunale. Le contese che concernono creazione, scioglimento, ampliamento, riduzioni del maso, non investono diritti, ma interessi legittimi e quindi rimangono sul piano amministrativo (vedi più avanti).

Contese fra eredi, che non investano l’assunzione del maso sono regolate interamente dalle norme ordinarie. Il giudice civile non può contestare le decisioni degli organi amministrativi, se non negli stretti limiti in cui può disapplicare un atto amministrativo per vizi di legittimità (L. 2248/1865) e non può sostituire la propria valutazione alle valutazioni di merito riservate ad organi amministrativi[92].

Una norma statale, l'art. 22 della L. 229/2003 della L., modificato dall'art. 8 della L. 154/2016, ha modificato l'art. 35 comma 2 della legge 24 novembre 2000, n. 340 e regolato il tentativo di conciliazione per questioni relative ai masi, nel modo che segue:

ART. 35. (Controversie in materia di masi chiusi). 1. In tutte le controversie in materia di masi chiusi concernenti la determinazione dell'assuntore del maso chiuso e la determinazione del prezzo di assunzione si osservano le disposizioni dettate dal capo I del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile. Il tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 410 del codice di procedura civile è esperito dinanzi alla Ripartizione agricoltura della provincia autonoma di Bolzano.

2. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa all'ordinamento dei masi chiusi è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203, in cui la Ripartizione agricoltura della provincia autonoma di Bolzano si intende sostituita all'ispettorato provinciale dell'agricoltura.

3. Tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi ai procedimenti, anche esecutivi, cautelari e tavolari relativi alle controversie in materia di masi chiusi, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro, da ogni altra tassa e dal contributo unificato.

Chi quindi intende proporre in giudizio una domanda concernente un maso chiuso e relativa:

- al diritto vita natural durante a un adeguato mantenimento secondo le condizioni di vita locali e la capacità produttiva del maso chiuso,

- alla successione suppletoria[93],

- all’integrazione della quota riservata ai legittimari,

- alla divisione ereditaria

- ad una domanda di usucapione del diritto di proprietà su una parte del maso chiuso, è tenuto a esperire il tentativo di conciliazione [94] ai sensi dell’articolo 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203, in cui la Ripartizione provinciale Agricoltura sostituisce l’Ispettorato provinciale dell’agricoltura.[95]

La norma, nel testo anteriore alla riforma del 2010, conteneva un'espressione un po’ generica ed aveva dato luogo ad un infinito contenzioso, privo di senso pratico[96].

Al tentativo di conciliazione possono partecipare, su richiesta dell'ufficio, uno o due esperti in agricoltura.

Alla proposizione della domanda si applica la relativa disciplina di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

 

Non si deve esperire la mediazione obbligatoria prevista dal D. Leg.vo 4 marzo 2010 n. 28,[97] così eliminando dubbi nati in mancanza di una norma specifica di coordinamento, ora contenuta nell' art. 21, c. 7. Il comma 8 contiene una disposizione alquanto misteriosa in cui si dice che alla proposizione della domanda si applica l'articolo 5, comma 1-bis, della legge sulla mediazione … che non si deve fare! Pare si volesse dire che sul piano procedurale si applicano le stesse regole previste per la mediazione, relativamente a termini, improcedibilità, ecc.

Non è necessario che le parti siano presenti personalmente, purché siano rappresentate da persone a tal fine delegate. A tale scopo basta soltanto una procura semplice sottoscritta dalla persona rappresentata, che contempli anche il diritto di conciliare. Questa facilità di forme può sembrare è un po' eccessiva, ma è stata adottata perché comunque le parti devono poi far autenticare il verbale da un notaio

Se la conciliazione riesce, si redige un verbale e la vicenda giudiziaria è conclusa. Per ragioni varie, tra cui la previsione che il notaio che autentica le firme debba anche controllare la legittimità delle pattuizioni e che non vi siano problemi di riciclaggio, il verbale non è direttamente intavolabile e occorre formalizzarlo avanti ad un notaio. Va detto che in genere si tratta di questioni ereditarie ed immobiliari abbastanza complesse, e non è male che vi sia un professionista responsabile che si assuma la responsabilità delle intavolazioni.

 

Procedimento giudiziario (Art. 22)

 Se fallisce il tentativo di conciliazione o mediazione si può iniziare la causa avanti al Tribunale di Bolzano, seguendo il rito per le controversie agrarie e in materia di lavoro, un po’ più celere di quello normale (artt. 409 segg. c.p.c.). È necessaria l’assistenza di un legale trattandosi attualmente di procedura contenziosa[98]. La determinazione del prezzo e dell’assuntore devono formare oggetto di un'unica causa.

Se però alla causa per determinare assuntore e prezzo di assunzione, si riuniscono per svariati motivi (connessione, domande riconvenzionali) altre cause o domande relative alle questioni di cui all’art. 21, allora il procedimento non segue il rito del lavoro. ma quello ordinario.

Il giudice deve scegliere i consulenti tecnici da un apposito elenco di laureati in materia agraria o forestale tenuto dalla Giunta provinciale (art. 23). Non devono dimostrare una specializzazione in materia di masi, ma basta essere iscritti all'albo professionale da almeno tre anni.

In sede di appello può essere disposta una nuova stima; naturalmente verrà nominato un nuovo perito (art. 25).

Il Tribunale stabilisce il prezzo con sentenza soggetta alle normali impugnazioni e quindi può passare un tempo piuttosto lungo prima della decisione. Se pende un giudizio avanti al Tar o al Consiglio di Stato il giudice civile non è tenuto a sospendere il processo in attesa della decisione (art. 295 c.p.c.). Si consideri che spesso per il giudice civile sarà difficile superare i pareri della Commissione, adottati in base a valutazioni di merito, possibili solo a chi nel territorio ove è situato il maso ed è in grado di valutare tutte le situazioni che possono influire sul reddito del maso e sulla sua gestibilità.

Prima delle modifiche del 2010, chi aveva vinto la causa ed era stato dichiarato assuntore, poteva tirarsi indietro e non accettare, con possibilità anche di “giocare al ribasso” sul prezzo di assunzione[99] poiché, in sostanza, il maso veniva messo all’asta fra i coeredi. Chiaro perciò che la sentenza era considerata puramente dichiarativa: accertava chi aveva titolo a diventare assuntore e la somma che doveva pagare, ma non lo obbligava a nulla; né a diventare assuntore, né a pagare somme.

Ora questa procedura è venuta meno e occorre comprendere che cosa intendeva il legislatore provinciale quando ha scritto (art. 24) che Passata in giudicato la sentenza che determina il prezzo d’assunzione del maso, l’erede chiamato all’ assunzione diventa assuntore del maso e debitore della massa ereditaria per l’ammontare del prezzo d’assunzione determinato nella sentenza.

L’unica interpretazione coerente è che il legislatore abbia voluto dire che la sentenza è una sentenza costitutiva che crea l’assuntore e lo obbliga al pagamento; se egli non è contento del prezzo stabilito può fare appello, ma alla fine gli eredi hanno un titolo per costringerlo a pagare.

 

Il prezzo di assunzione entra a far parte dell’asse ereditario in luogo del maso; alla divisione dell’as­se ereditario partecipa anche l’assuntore, se ere­de. Dice l’art. 24 che egli diventa debitore della massa ereditaria per l’ammontare del prezzo d’assunzione determinato nella sentenza.

Se vengono lasciati in eredità più masi, gli eredi possono scegliersene uno ciascuno, nell’ordine di cui all’art. 14 (art. 28).

Le disposizioni appena viste sono state oggetto di dibattito dottrinale del tutto astratto, come se il diritto servisse a costruire teorie invece che a risolvere, nel modo migliore, problemi pratici. Se si rimane con i piedi per terra e si tiene sempre presente la ragion d’essere dell’istituto, la maggior parte dei problemi trova facile soluzione. La qualità di assuntore può derivare da un testamento e, a sua richiesta, essa viene immediatamente intavolata. Ciò comporta che passa all’assuntore la proprietà del maso chiuso, salvo il rispetto di diritti e oneri reali altrui non travolti, e che ogni altro diritto si converte in un diritto di credito. Se invece manca l’assuntore, su tutti i beni del defunto, maso compreso, si apre una comunione legale secondo le norme del codice civile e gli eredi possono disporre dei beni ereditati o loro quote, ferma restando l’indivisibilità del maso e la possibilità che alla fine il diritto reale si converta in un diritto di credito. Chi è “chiamato” ad assumere la qualità di assuntore non ha ancora alcun diritto, ma solo una aspettativa, che non può cedere, e non ha alcun immediato vantaggio dal fatto di essere chiamato. Solo nel momento in cui viene conclusa la procedura per stabilire chi sia l’assuntore, si avrà l’intavolazione dei beni in capo all’assuntore e verrà stabilito il prezzo di assunzione a tale data[100]. Invece i requisiti soggettivi dell’assuntore vanno valutati con riferimento al momento dell’apertura della successione (ordine in graduatoria, presenza nel maso, coltivazione del maso per un certo numero di anni), salvo il requisito della maggior idoneità a gestire il maso, che non può essere che attuale.

La mancanza o irregolarità della procedura conciliativa, non rilevata in corso di causa, a norma art. 412-bis c.p.c., non può essere rilevata dalla autorità amministrativa e non pregiudica l’efficacia della sentenza (la conciliazione non è volta a tutelare interessi pubblici diretti, ma solo a semplificare la vita alle parti!).

 

Pagamento del prezzo (art. 27)

L’assuntore, può chiedere alla Commissione che il pagamento del prezzo venga dilazionato fino ad un massimo di 5 anni dalla assunzione effettiva; se fra i coeredi vi è un minorenne, il giudice tutelare, sentito il legale rappresentante e la Commissione, può concedere una dilazione superiore a 5 anni, ma non oltre il compimento della maggiore età[101].

Sulle somme prorogate devono essere corrisposti annualmente gli interessi legali, con decorrenza dal giorno in cui è divenuta definitiva la determinazione del prezzo di assunzione[102].

La norma non si applica (a nostro parere), quando vi è un contratto fra eredi ed assuntore con fissazione delle modalità di pagamento. La stessa cosa si dica per il verbale di conciliazione.

È chiaro che la Commissione non si esprimerà sulle necessità del minorenne, ma sulla situazione del maso.

La norma può creare situazioni ingiuste: gli eredi si attendono il pagamento rapido di quanto loro spetta in base alla sentenza, e l’assuntore invece ottiene dalla Commissione di pagare dopo cinque anni o a rate! Anche la procedura è approssimativa poiché non è previsto che vengano sentiti i creditori.

Il pagamento è garantito da ipoteca legale, salvo rinunzia degli interessati, e gli importi dovuti vengono aggiornati secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo.

Se il maso viene trasferito a terzi (vendita, donazione, conferimento) il prezzo deve essere versato immediatamente.

 

Eredità comprendente più masi (art. 28)

Gli eredi, secondo la graduatoria di preferenze sopra vista, scelgono ognuno il maso di cui intendono divenire assuntori.

Se l’erede è comproprietario di quote di due o più masi, può scegliere di assumere la porzione vacante di uno solo dei masi.

Se il coniuge superstite, o uno degli eredi, è comproprietario di più masi facenti parte dell'eredità, il suo diritto ad assumere la porzione vacante è limitato a uno dei masi in comproprietà di sua scelta.


 

 

 

 

 

 

LA DIVISIONE SUPPLETORIA (art. 29)

 

È un istituto, non esistente nel diritto italiano, salvo casi particolari di rescissione della divisione (artt. 761 e segg. c.c.), che regola i casi in cui l’assuntore, entro un certo termine, ceda a terzi il maso o una sua parte, mediante vendita, oppure quando il maso o sue parti vengano venduti in una esecuzione immobiliare oppure vengano espropriati. Se l'assunzione avviene a titolo ereditario e l'assuntore, entro dieci anni dalla morte del defunto, trasferisce il diritto di proprietà del maso o di parti del medesimo con uno o più atti tra vivi a favore di terzi, deve versare agli aventi diritto, a titolo di divisione suppletoria, la differenza risultante tra il ricavo conseguito dall'alienazione e il valore di assunzione.

La norma era già contenuta nell'art. 30 della legge 1/1954, ma solo per il caso di alienazione, in aderenza a quanto già stabilito in passato. Interveniva poi la Corte Cost. con la sent. 505/1988 ad affermare che era incostituzionale che la norma non prevedesse il pagamento dell'eccedenza, rispetto al prezzo di assunzione, del prezzo ottenuto in una esecuzione forzata. Secondo l'estensore, nell'attuale contesto sociologico di declino della grande famiglia, non era escluso che l'assuntore ricorresse alla vendita forzata per fregare i coeredi![103] Chiarì anche che la restituzione del prezzo di assunzione alla massa ereditaria, è obbligazione di valuta, soggetta al principio nominalistico. A parte il fatto che tutti sanno come evitare che rimangano eccedenze da distribuire!

Con sent. 340/1996, la Corte aggiungeva che la norma era incostituzionale anche nella parte in cui non prevede l'obbligo di versamento alla massa ereditaria dell'eccedenza, rispetto al prezzo di assunzione, del valore conseguito dall'assuntore a titolo di indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sentenza poco sensata e molto teorica, perché in caso di espropriazione dell'intero maso, l'ente pubblico, all'epoca, non avrebbe mai pagato più del prezzo di assunzione; in caso di espropriazione di singoli terreni era quasi certo che il danno al maso superava l'indennizzo ricevuto, basato su parametri diretti a favorire l'ente pubblico.[104]

Con le ultime modifiche la norma è stata aggiornata disponendo, in via generale, che si procede a divisione suppletoria quando si trasferisce il diritto di proprietà del maso o di parti del medesimo con uno o più atti tra vivi a favore di terzi. Il che vorrebbe dire non solo in caso di vendita, ma anche di donazione. Cosa impossibile perché con la donazione non si ha alcun ricavo da ridistribuire! L'errore è ricollegabile all'art. 17 in cui l'estensore non ha inserito la donazione tra gli atti fra vivi, avendo in mente solo la donazione mediante legato! Si sarebbe dovuto stabilire che si doveva conferire la differenza fra il valor di mercato del bene donato e il valore calcolato per il prezzo di assunzione; oramai il problema è superato stante il riavvicinamento tra le due valutazioni.

L'obbligo alla divisione suppletoria vale anche in caso di esecuzione forzata o di espropriazione di un maso chiuso o di parte di esso.

Se l'assunzione del maso è avvenuta per atto tra vivi, sussiste l'obbligo alla divisione ereditaria suppletoria, come sopra, ma il termine è di 20 anni dalla assunzione e solo se l'assuntore cede i beni prima che siano trascorsi 10 anni dalla morte di chi gli ha ceduto il maso.[105] Vale a dire che quando il venditore muore si può rimettere in discussione il valore di assunzione e dover corrispondere ulteriori importi ai suoi eredi. È lecito dubitare della ragionevolezza di questa disposizione.

La divisione ereditaria suppletoria ai sensi del comma 1, è esclusa nel caso in cui il trasferimento del maso chiuso avvenga tra parenti in linea diretta o a favore del coniuge convivente. Il diritto alla divisione ereditaria suppletoria rimane tuttavia nei confronti del nuovo assuntore per il tempo rimanente fino alla scadenza dei termini di cui al comma 1 (art. 29 c.6).

Il diritto di chiedere la divisione ereditaria suppletoria spetta ai coeredi e ai loro discendenti, fatte salve le disposizioni di legge sulla divisione ereditaria ordinaria. Pare si voglia dire che per l'attribuzione degli importi si seguono le regole seguite per la divisione dei beni riferibili al maso e le regole ordinarie per altri beni o altri soggetti. Il versamento dell'importo è dovuto al momento dell'apertura della successione o, se successivo a tale apertura, al momento del trasferimento.

L'ammontare dell'importo è pari alla differenza tra il ricavo conseguito dall'alienazione e il valore di assunzione. Per singole parti del maso il calcolo viene effettuato rapportando il loro valore di assunzione a quello dell'intero maso. Dal ricavo conseguito va detratto il valore di eventuali migliorie realizzate dall'assuntore. Il principio è che il maso non viene dato all'assuntore per farne commercio e quindi egli deve corrispondere agli eredi il maggior valore realizzato dalla cessione dei beni.

La norma è di difficile attuazione pratica per la difficoltà di calcolare il valore attuale di beni ceduti anche 20 anni prima e per il fatto che il valore di assunzione non si basa sul valore commerciale degli immobili e manca perciò una stima del loro valore iniziale. In teoria un calcolo corretto richiederebbe di ricalcolare il valore di assunzione iniziale come se il bene poi ceduto non esistesse. In base all'art. 21 è necessario esperire il tentativo di conciliazione.

Chi riceve il bene è estraneo al rapporto assuntore-eredi e non si deve preoccupare delle conseguenze di una lite giudiziaria fra di essi,

La divisione suppletoria è un istituto poco importate, facilmente eludibile, fonte di liti giudiziarie che possono portare a rovinare un maso per spese legali! Dovrebbe poter essere applicato solo in tempi brevi a partire dall'assunzione (ad esempio entro un massimo di cinque anni) perché il futuro è sempre imprevedibile ed è ingiusto che l'assuntore subisca la divisione suppletoria se le cose gli vanno bene, mentre gli eredi nulla rischiano se le cose gli vanno male. Ed invece è l'assuntore che rischia, che si ritrova con i beni coperti da ipoteca legale e che va aiutato, secondo le regole del maso chiuso.

L’assuntore obbligato al pagamento può, entro due anni dalla nascita dell'obbligo, sospendere il pagamento, se intende reinvestire entro due anni il ricavo della vendita in altro maso o altri terreni da incorporare o in migliorie straordinarie deducibili, e deve dare adeguata garanzia. Deve comunicare immediatamente ai coeredi la sua intenzione La norma non è affatto chiara in ordine ai termini: pare di capire che l'assuntore deve agire entro due anni, e che poi possa sospendere il pagamento per altri due anni decorrenti dalla comunicazione immediata.


 

 

 

 

 

 

QUOTE DI COMPROPRIETÀ DI UN MASO

(art. 30 e 31)

 

Nei casi in cui la successione abbia per oggetto una quota di comproprietà di un maso chiuso, l'erede chiamato all'assunzione ha diritto di assumere la quota medesima ai sensi degli articoli da 14 a 20; non sono pregiudicati i diritti degli altri comproprietari.

In caso di vendita di singole quote di comproprietà del maso chiuso o di assegnazione delle stesse in via di divisione, il diritto di prelazione spetta al comproprietario che lavora il maso. Detto diritto di prelazione ha la precedenza nei confronti di diritti di prelazione previsti da altre norme.

Si seguono le norme procedurali della legge 590/1965 (Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice) e s.m. oppure, se nessuno degli eredi ha i requisiti o diritti di prelazione, si applicano le regole dell’art. 732 c.c.

Il valore delle quote di un maso, ai fini dei diritti dei legittimari e della collazione, è sempre calcolato a norma dell’art. 20 (art. 31) e l'integrazione della quota avviene in danaro.


 

 

 

 

 

ASSUNZIONE DEL MASO DI COMUNE

ACCORDO E RICORSO PER IL RILASCIO

DEL CERTIFICATO DI EREDITÀ

(art. 32)

Se tutti gli eredi stipulano un accordo su assuntore e prezzo, esso è sufficiente per richiedere il rilascio del certificato di eredità. Il giudice, controllata la corrispondenza tavolare, rilascia il certificato.

Se vi è stata una procedura contenziosa a norma art. 20, il certificato viene rilasciato in base a quanto disposto dalla sentenza. Il giudice competente per il certificato ereditario assegna il maso all’assuntore e lo dichiara debitore del prezzo verso la massa ereditaria e stabilisce l’importo della ipoteca legale a garanzia del pagamento, salvo rinunzia degli interessati.

Se fra gli eredi vi è anche un minorenne, chi lo rappresenta può chiedere che l’assunzione del maso sia rinviata fino alla sua maggiore età, ma non oltre il 31° anno di età di chi avrebbe diritto di assumere il maso se non vi fosse il minorenne. Norma strana perché se vi è stato un accordo fra gli eredi, questo ha regolato anche la situazione del minore e se vi è stata una sentenza essa non può non aver valutato la situazione globalmente. Come può il giudice che rilascia il certificato, e che ha funzioni notarili, fare un giudizio di merito sugli interessi del minore? Deve sentire le parti? E come si impugna il provvedimento del giudice? È chiaro che è norma del tutto lacunosa.

Il certificato può essere rilasciato anche prima della determinazione del prezzo, ma serve solo ad intavolare il diritto all’assunzione, come se fosse una specie di preliminare (art. 33). Quando la situazione si chiarisce, mediante l'accordo degli eredi o con una sentenza, viene rilasciato un nuovo certificato.

 

 

 

 

 

DIRITTI DEL CONIUGE SUPERSTITE

(art. 34)

DIRITTI AD ASSISTENZA

(art. 35-36)

 

I diritti del coniuge superstite

Il coniuge non assuntore, se non dispone di sufficienti redditi o sostanze proprie (ad es. somme ricevute in conguaglio dell’eredità) ha diritto, vita natural durante, ad adeguato mantenimento secondo gli usi locali e le condizioni di vita locali e la capacità produttiva del maso[106]. Si deve tener conto del suo patrimonio e della possibilità concreta di avere un reddito da lavoro. Il coniuge che collabora nel maso può essere retribuito con un salario, da prendere in considerazione nei calcoli.

Il diritto di abitazione e di usare dell’arredo della casa può essere esercitato tenendo conto della razionale conduzione del maso e delle esigenze familiari dell'assuntore (spazio, relazioni con la nuora, ecc.).

In caso di problemi è il giudice[107] a decidere sulla misura e modalità del mantenimento e su quali vani e mobili della casa di abitazione può essere esercitato il diritto di abitazione e quello d'uso.

Qualora sussistano gravi motivi, il giudice, su richiesta delle parti interessate, può in qualsiasi momento, adeguare il mantenimento alle mutate condizioni di vita locali. Sono considerati gravi motivi sia il peggioramento delle condizioni economiche dell'assuntore, che l'aumento delle esigenze del coniuge superstite per cause a loro non imputabili, come anche l'inaccettabilità dell'ulteriore permanenza nel maso del coniuge superstite a causa di dissidi. Il giudice può anche modificare le disposizioni sull'oggetto del diritto di abitazione, qualora, attraverso interventi edilizi, vengano create altre possibilità abitative nel maso, che devono essere comunque adeguate.

Nell'assunzione del maso per atto tra vivi o mortis causa, gli obblighi posti a carico dell'assuntore, in ordine al mantenimento nel maso dell'alienante e del suo coniuge, possono essere garantiti mediante iscrizione nel libro tavolare dell'onere reale di mantenimento. L'onere reale di mantenimento include altresì il diritto di abitazione ai sensi dello ar­t.1022 del codice civile, salva diversa disposizione nell'atto di assunzione per atto tra vivi o mortis causa. Tale diritto di abitazione è limitato solamente ai locali effettivamente abitati dall'alienante e dal suo coniuge (art. 34 bis).

 

Usi locali

Queste sono le uniche situazioni per le quali sono stati riconosciuti ufficialmente usi locali; un uso locale circa il metodo di calcolo del prezzo di assunzione è superato da norme successive.

Le regole accertate sono le seguenti:

 

Diritto all’abitazione

Tradizionalmente, il mantenimento nel maso comprende il diritto alla sistemazione nel maso in un’unità abitativa autonoma rispondente alle esigenze del cedente il maso e del suo coniuge. Unità abitativa autonoma in quanto provvista - se possibile - di un accesso autonomo come pure di una zona cucina e di impianti sanitari autonomi, oltre ai vani abitativi adeguati. È inoltre garantito il diritto a muoversi liberamente nel maso e ad usufruire delle parti comuni (giardino/orto, cantina, ecc.) nonché della possibilità di parcheggio. Il diritto all’abitazione spetta a titolo strettamente personale ed è inalienabile. Esso comprende inoltre il diritto a ricevere visite all’interno della propria unità abitativa.

Spese legate all’abitazione

Le spese per i consumi energetici quali corrente elettrica, riscaldamento, legna da ardere ecc., per i vani abitati dal cedente e dal coniuge, vanno a carico dell’assuntore del maso e formano quindi parte integrante del mantenimento nel maso; altrettanto dicasi per le spese di assicurazione, per il consumo d’acqua, l’asporto dei rifiuti e tributi vari. L’abitazione deve essere consegnata al cedente in condizioni di abitabilità. Eventuali spese di manutenzione straordinaria gravano sull’assuntore del maso. Chi vi abita provvede invece alle spese di manutenzione ordinaria. Parimenti, non sono coperte dal mantenimento nel maso le spese di arredamento e del telefono.

Vitto

Il mantenimento sul maso include il diritto alla fruizione gratuita di tutti i prodotti agricoli del maso per il consumo personale dei cedenti. Il mantenimento nel maso non dà diritto a quote del reddito agricolo. Le spese per generi alimentari non prodotti nel maso come pure le spese per indumenti, automobile, tempo libero, ecc. vanno a carico del cedente che vi provvede con introiti o patrimonio propri, se sufficienti.

Cura

Nella misura compatibile con le sue condizioni di salute, il cedente assieme al coniuge provvede autonomamente ai lavori domestici di sua necessità (p.es. lavare, cucinare, stirare, ecc.). Soltanto in caso di decrepitezza o di malattia, sarà l’assuntore del maso a farsene carico e a garantire eventuali prestazioni di cura minori o temporanee. Per prestazioni di cura minori si intendono gli adempimenti necessari nei casi in cui il cedente sia ancora in grado di vivere autonomamente nel maso, pur necessitando dell’aiuto da parte dell’assuntore nell’esecuzione di determinate adempienze. Nei casi invece in cui il cedente abbia bisogno di cure costanti ed impegnative oppure qualora si renda necessaria la presenza costante di una persona addetta ai compiti di cura, o risulti inevitabile il ricovero in una casa di cura, le relative prestazioni non rientrano più nel mantenimento nel maso, ma vanno garantite dai familiari ai sensi di quanto disposto dal Codice Civile e dalle leggi provinciali vigenti in materia. Inoltre, il mantenimento nel maso non comprende le spese per medicinali, visite mediche, ticket sanitario, ecc., se il cedente stesso è in grado di affrontarle. Anche le rette dovute alla casa di cura o per gli anziani non vanno accollate all’assuntore, qualora il cedente per motivi di salute non possa più vivere nel maso o venga accolto in tale struttura su propria richiesta.

Diritto vincolato al maso

La fruizione del diritto al mantenimento nel maso è concessa esclusivamente all’interno del maso. Lasciando il maso, il cedente o il suo coniuge rinuncia temporaneamente al mantenimento nel maso, a meno che non si disponga diversamente nel corso del procedimento di conciliazione previsto dalla legge. Tornando nel maso, l’interessato può nuovamente usufruire del mantenimento nel maso. L’assenza del cedente dal maso non comporta invece la sospensione del diritto al godimento di tutti i prodotti agricoli del maso per il consumo personale.

 

Mantenimento dei figli del defunto viventi nel maso (Art. 35)

I figli minorenni del defunto che vivono nel maso e che sono coeredi della persona chiamata all'assunzione, hanno diritto di vivere nel maso e di essere mantenuti adeguatamente fino alla maggiore età, purché non abbiano propri redditi o sostanze adeguate o non siano mantenuti da altri. Nel frattempo non possono esigere la loro quota.

Anche per essi deve ritenersi valere la regola che il mantenimento deve essere adeguato all’ambiente e alla produttività del maso.

Altre situazioni dell’erede escluso (invalidità, povertà, ecc.) non sono regolate dalla legge sui masi, ma dalle norme del codice civile sugli alimenti (art. 433 e segg.).

Si è discusso sulla applicabilità delle regole dettate per l’impresa familiare (art. 230-bis c.c.) o per l’impresa familiare coltivatrice (art. 48 L. 203 /1982) per chi rimane nel maso e collabora alla sua conduzione. La scarsa giurisprudenza è contrastata, ma pare più logica la soluzione che considera prevalenti le norme sul maso chiuso. Questo è già configurato come un’entità unitaria con un solo ed unico responsabile, rappresentato dall’assuntore, che diviene, di regola, unico proprietario dei beni, unico responsabile per la gestione dell’azienda, unico responsabile degli obblighi di mantenimento, così che è impossibile immaginare che possa nascere una comunione di fatto, assimilabile ad una società semplice, in cui i membri hanno diritto di deliberare sulla gestione dei beni. Soluzione che del resto corrisponde a quella consuetudinaria, per le quali chi rimane nel maso lo fa come soggetto subordinato, senza voce in capitolo e con diritto solo ad un salario. Conferma questa interpretazione la circostanza che l’art. 38, comma 3, limiti l’applicazione delle norme sulla impresa familiare solo all’ipotesi in cui di fatto “il maso chiuso sia gestito come impresa familiare, fermi restando i principi contenuti nella regolamentazione dei masi chiusi”.

Non è stato previsto alcun particolare diritto, pur proposto nei lavori preparatori, per i discendenti invalidi che rimangono nel maso.


 

 

 

 

 

 

SVINCOLO DEL MASO CHIUSO

 

 Presupposti per lo svincolo (Art. 36)

Come abbiamo visto, la qualifica di maso chiuso è, per sua natura, permanente; è come se fosse stata creata una fondazione avente per scopo il miglior utilizzo di un preciso complesso di beni agricoli: il maso ha un suo statuto (la legge sul maso chiuso), un proprietario gestore (l'assuntore) ed ha una vita che trascende quella dei proprietari dei beni, e delle persone che hanno diritti su tali beni o sul maso. Non è riconosciuto come persona giuridica, ma ci siamo vicini. Nell'ordinamento tedesco, ad esempio, ben sarebbe possibile dotare una fondazione di un complesso di beni agricoli con lo scopo di farli servire ai futuri bisogni dei discendenti agricoltori; in Italia la Cassazione, in passato, ha affermato che ciò sarebbe stato contrario al fantomatico "ordine pubblico"!

Vi sono situazioni e vicende che richiedono di sciogliere il maso ed a ciò a cui ha provveduto l'art. 36: si può sciogliere qualora il reddito del maso, a causa di distacchi di appezzamenti di terreno o a causa di altre circostanze, subisca una riduzione permanente tale da non garantire più nemmeno la metà del reddito medio annuo ai sensi dell’articolo 2 [108].

Su richiesta del proprietario o di chiunque ne abbia interesse[109], la commissione locale per i masi chiusi può procedere alla revoca della qualifica di maso chiuso. La commissione deve disporre l’aggregazione delle particelle ad altri masi chiusi, salvo casi eccezionali e debitamente motivati. La norma è parallela a quella dell'art. 6 sul distacco di appezzamenti.

Si veda l'art. 2, c. 5 circa lo scioglimento nel caso in cui vengano meno, in tutto o in parte, i fabbricati.

La legge nulla dice circa il modo di valutare questi beni da aggregare ad altri masi. Unica soluzione che non presenti profili di illegittimità costituzionale, è quella di ritenere che i terreni svincolati siano equiparabili ai fondi volanti e quindi sul libero mercato dei terreni agricoli; il proprietario può venderli a chi crede, purché l'acquirente sia titolare di un maso chiuso e non abbia superato le sue dimensioni massime e sia autorizzato all'aggregazione.

Il problema della aggregazione è stato sottoposto dal Tar di Bolzano, in data 16 marzo 2009, alla Corte Costituzionale, la quale se l'è cavata con una ordinanza di inammissibilità 5/2010 in cui lamenta la insufficiente prova della rilevanza della eccezione; motivazione un po' pretestuosa perché se si sostiene che una norma regola male un certo problema, sicuramente esistente nel caso in esame, la rilevanza è in re ipsa ed è inutile individuare tutte le possibili ipotesi in cui porta a ledere diritti costituzionali. Ad esempio, ecco un problema che tocca chiunque deve sciogliere il maso: per quale motivo non può tenersi e coltivare i terreni come fondi volanti, visto che è pur sempre un coltivatore diretto? È nello spirito del maso di dover contribuite ad aumentare il maso altrui? Basterebbe stabilire che i terreni restano agricoli e inedificabili ed ogni problema sarebbe risolto.

Il Tar aveva correttamente esposto che la imposizione al proprietario di un maso chiuso, che ne richieda la revoca, della aggregazione delle particelle già facenti parte del maso ad altri masi, determinerebbe (senza alcun collegamento alla funzione sociale dell’istituto del maso chiuso) la violazione dei principi di libertà dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.), di libero godimento della proprietà privata (art. 42 Cost.) e di ragionevolezza (in combinato disposto con l’art. 97 Cost.), in quanto: (a) il proprietario del maso svincolato, il quale non «sia proprietario anche di altri masi (il che è la regola), verrebbe costretto ad alienare a terzi (a titolo di compravendita, donazione o altro titolo) tutte le particelle produttive dell’ex maso chiuso»; (b) il maso – «almeno nell’ipotesi che il proprietario non disponesse di altri masi chiusi o non si trovassero terzi proprietari interessati all’acquisto» – rimarrebbe «chiuso» senza averne i presupposti di redditività; (c) la norma apparirebbe «di dubbia attuabilità o addirittura inattuabile, oltre che nel caso della necessità dell’aggregazione delle particelle a masi chiusi di terzi, nel caso – tutt’altro che teorico – che nelle vicinanze non si trovino affatto dei masi chiusi a cui aggregare le particelle».

 

Altre norme particolari (art. 37 e segg.)

- Le disposizioni della legge sul maso chiuso sono disposizioni di diritto pubblico. Disposizione importante perché stabilisce la prevalenza delle norme sul maso rispetto alle norme civilistiche, salvo che si tratti di principi generali insuperabili.

- La mancanza del parere o dell'autorizzazione della Commissione, quando richiesti, è rilevata d'ufficio.

- Atti giuridici espletati senza detto parere o autorizzazione o comunque in contrasto con le disposizioni contenute nella presente legge sono privi di efficacia giuridica, fino a quanto non intervenga un parere favorevole. La legge prevede espressamente che il parere della Commissione può essere successivo nella procedura di conciliazione; la legge avrebbe potuto dire, più chiaramente, che la conciliazione è condizionata al parere favorevole della Commissione, e che l'organo di conciliazione deve espressamente indicare tale condizione.

- Il diritto di assumere il maso non può essere ceduto e non si estingue per prescrizione o decadenza. Abbiamo già tratto l'argomento.

- Si estingue in 10 anni il diritto di accettare l’eredità (art. 180 c.c.). Può essere ceduta l’eredità.

- L'assunzione del maso chiuso costituisce passaggio diretto del maso all'erede chiamato all'assunzione.

- I beni immobili si considerano beni personali non soggetti a comunione legale con il coniuge. Sorge un problema perché l'art. 38 stabilisce che "Nel caso in cui vengano distaccate parti di un maso chiuso o venga svincolato il maso stesso, i beni acquistati posteriormente all'entrata in vigore della legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia, sono da intestare anche a favore del coniuge ai sensi dell'articolo 84 della legge tavolare emanata con regio decreto 28 marzo 1929, n. 499, qualora ne sussistano i presupposti e l'acquisto sia avvenuto durante il matrimonio." Non è chiaro a quali fattispecie possa applicarsi la norma. Perché ci si preoccupa solo dei beni acquistati dopo lo scioglimento o distacco? Se il maso è sciolto, è ovvio che non si applicano più le norme sui masi! Se vi è stato solo un distacco e successivamente un acquisto, perché si deve considerare il fatto come anomalo?

Se ci si pone il problema generale del regime dei beni acquistati dall'assuntore del maso o dal suo coniuge, la soluzione va ricercata nelle norme generali. Se è l'assuntore ad acquistare, il bene diventa suo bene personale, viene intavolato come parte del maso e non vi è comunione legale con il coniuge. Se però lo acquista come bene volante, il coniuge dovrà, se del caso, intervenire all'atto di acquisto e dichiarare espressamente che il bene è stato acquistato con mezzi personali dell'acquirente; altrimenti il bene entra in comunione.

Se è il coniuge dell'assuntore ad acquistare un bene, dipende dalla volontà dei coniugi se inserirlo nel maso, previa autorizzazione o lasciarlo fuori in capo al solo acquirente o in comunione, secondo le regole del codice civile.


 

 

 

 

 

 

LE COMMISSIONI LOCALI

PER I MASI CHIUSI

(Art. 39 e segg.)

 

La Commissione locale esiste in ogni Comune e talvolta vi è una commissione per ogni frazione o comune catastale; sul punto decide la Giunta provinciale. È formata da tre membri effettivi,

- un membro proposto dal consiglio direttivo dell‘associazione degli agricoltori maggiormente rappresentativa a livello distrettuale; in deroga a quanto previsto dalla legge provinciale 8 marzo 2010, n. 5, per la presidenza viene proposta solo una persona, e la persona di seguito proposta come supplente deve appartenere all’altro genere;

- da due membri proposti dal consiglio direttivo dell‘associazione degli agricoltori maggiormente rappresentativa a livello comunale o di frazione. Devono e essere di sesso diverso.

- per il presidente e per ogni membro, viene nominato un membro supplente, di sesso diverso.

- la commissione è nominata dalla giunta provinciale e rimane in carica per 5 anni; i componenti restano in carica, al massimo, per altri due mandati. Ciò vuol dire che possono restare in carica per quindici anni.

In mancanza di proposte, la Giunta procede direttamente alle nomine.

In casi di irregolare funzionamento, la Giunta può sostituire membri o commissariare la Commissione.

La legge ha omesso di indicare i requisiti per essere nominati a comporre la Commissione; dal fatto che la proposta provenga dalla associazione degli agricoltori, si dovrebbe concludere che i componenti devono essere agricoltori, ma la lettera della legge non impedisce che venga nominata una persona esperta in agricoltura, anche se non coltivatore diretto. La legge non dice neppure che il componente debba essere proprietario di un maso.

La commissione locale è competente ad esaminare problematiche relative a masi siti della sua circoscrizione.

Se parti del maso chiuso sono situate in diverse circoscrizioni, è competente la commissione locale nella cui circoscrizione si trova la casa d'abitazione del maso chiuso. In mancanza di una casa di abitazione è competente la commissione locale del luogo in cui verrà costruita la casa di abitazione.

L'unione di due masi chiusi, situati in diverse circoscrizioni, in un unico maso chiuso può essere richiesta, a scelta, a una delle due commissioni. (Art. 42).

Come già detto, non è stato regolato espressamente il caso in cui vi sia un distacco-aggregazione fra masi situati in comuni diversi.

L'unione di due masi chiusi situati in diverse circoscrizioni in un unico maso chiuso può essere richiesta, a scelta, a una delle due commissioni.

Per un distacco-aggregazione dovrebbero valere le regole generali e occorrere due distinti pareri.

 

Compiti della Commissione locale

Dall'esame della legge sui masi si trova che la Commissione è chiamata a dare pareri o autorizzazioni nei seguenti casi più importanti:

Art. 2 c. 4 - Indicazione dei terreni da scorporare quando il reddito del maso supera il limite massimo.

Art. 2 c. 5 - Autorizzazione alla revoca della qualifica di maso chiuso in caso di perimento irrecuperabile dei fabbricati.

Art. 3 - Controllo dei requisiti per la costituzione di un maso.

Art. 4 - Approvazione di tutti i cambiamenti nell'estensione di un maso chiuso, nonché nella consistenza dei diritti reali connessi con il maso. La modifica non deve pregiudicare la conduzione del maso devono essere disponibili edifici sufficienti per la normale gestione del maso chiuso.

Art. 12 - Decidere, in casi dubbi, quali cose, diritti o fonti di reddito, siano da considerare pertinenze del maso.

Art. 14 - Esprimere parere circa la persona che dimostra di possedere i migliori requisiti per la conduzione personale del maso chiuso nel caso vi siano più aspiranti.

La regolamentazione non è del tutto soddisfacente perché, anche se la Commissione ha l'obbligo di motivare i propri atti, la legge non ha indicato nessun criterio che garantisca valutazioni corrette, la parità di trattamento fra i richiedenti, l'assenza di pregiudizi e personalismi; cose da ben chiarire in via generale, specialmente se si considera che la commissione opera in un ambito comunale, spesso ristretto a frazioni del comune. In sostanza la legge sembra aver detto ho scelto tre contadini o loro mogli, e loro decidano come buoni padri di famiglia; ma è regola dei tempi antichi, quando la giustizia veniva amministrata dal popolo all'aperto, su un cucuzzolo del Gau, che ben poco si adatta ai nostri tempi, in cui la facilità di spostamenti e la privacy, rendono difficile il controllo sociale sui comportamenti.

Si prenda ad esempio il primo caso della scorporazione di terreni: perché deve essere la commissione a scegliere i terreni? Solo il proprietario deve avere il diritto di programmare la sua attività futura, ad es. indirizzandola più verso l'agriturismo che l'allevamento del bestiame.

Anche nel caso dell'approvazione di cambiamenti nell'estensione di un maso chiuso, non si dice a che serva questo controllo. Senza dubbio serve a che non si superino i limiti inferiore e superiore, ma perché farlo anche quando questo pericolo è sicuramene inesistente? È evidente che si può finire nel campo dell'opinabile ad opera di soggetti che possono essere più arretrati o più progrediti dell'interessato, nel programmare il futuro.

Sarebbe auspicabile qualche modifica, anche per prevenire dubbi di costituzionalità sulle regole di questi organismi.

 

 

 

 

Ripartizione provinciale agricoltura - Organo di controllo

Le autorizzazioni delle commissioni locali per i masi chiusi concernenti la costituzione o lo svincolo di maso chiuso o il distacco di costruzioni di qualsiasi genere devono essere trasmesse con i relativi atti alla Ripartizione provinciale agricoltura entro 15 giorni dalla data del provvedimento stesso. Le autorizzazioni diventano esecutive trascorsi 30 giorni dalla data di arrivo alla Ripartizione provinciale agricoltura, a meno che entro questo termine detta Ripartizione non proponga reclamo alla Commissione provinciale per i masi chiusi, la quale può confermare, modificare o annullare l'autorizzazione. Nel caso di incompletezza degli atti, vengono richieste ulteriori informazioni e il termine di 30 giorni decorre dalla data di arrivo delle informazioni richieste (art. 44).

Le altre decisioni su distacco di terreni o accorpamenti non sono soggette a controllo e ad impugnazione da parte della Ripartizione Provinciale e perciò diventano esecutive entro 30 giorni dalla notifica agli interessati.[110]

 

La Commissione provinciale per i masi chiusi (Art. 41)

La Commissione provinciale è composta da 5 membri nominati dalla G.P. con la durata di 5 anni, fermo il limite, per i singoli componenti, di ricoprire tale carica, al massimo, per altri due mandati. Deve essere rispettata la proporzionale fra i due gruppi principali, salvo possibilità di accesso i ladini.

Fanno parte della commissione

a) l’assessore provinciale all’agricoltura, che la presiede,

b) un magistrato, anche a riposo, proposto dal Presidente del Tribunale di Bolzano; al riguardo vi sono delle difficoltà giuridiche perché i magistrati in servizio non possono far parte di commissioni amministrative, e quelli a riposo non possono ricevere compensi. La norma deve essere cambiata.

c) un esperto in agricoltura proposto dall'assessore provinciale all'agricoltura;

d) un agricoltore proposto dall' assessore provinciale all'agricoltura;

e) una persona scelta fra tre nominativi, proposti dall'associazione dei coltivatori maggiormente rappresentativa a livello provinciale.

 

Presentazione dell'istanze. (Art. 43)

Le istanze, bollate, rivolte ad una commissione locale devono essere presentate al Comune ove si trova la casa di abitazione del maso, allegando tutta la documentazione rilevante; il Comune provvede a trasmettere l'istanza alla commissione. Questa provvede ad eseguire le indagini e gli accertamenti che ritenga necessari e può sentire le parti interessate.

Le istanze alle commissioni locali per i masi chiusi, che abbiano per oggetto un cambiamento della consistenza del maso, devono essere firmate dal proprietario del maso o da tutti i comproprietari o coeredi, salvi i casi in cui sia disposto diversamente.

 

Norme procedurali per Commissione locale

La Commissione locale[111] deve decidere entro 60 giorni sulle istanze che le vengono rivolte. Se non provvede, la giunta provinciale può nominare un commissario o sostituire membri.

Contro le decisioni delle Commissioni locali, sia la Ripartizione Provinciale Agricoltura a cui le decisioni devono essere inviate e che svolge la funzione di organo di controllo, sia ogni altro interessato, possono proporre ricorso alla Commissione Provinciale entro 30 giorni.[112] Questa decide sia nel merito che sulle questioni di legittimità, ma, se crede, può limitarsi ad annullare la decisione della Commissione locale ed a richiedere una seconda delibera.

L'efficacia di ogni singola autorizzazione viene meno se non se ne fa uso entro due anni.

La decisione della Commissione provinciale è atto amministrativo definitivo e come tale può essere impugnato di fronte al Tar di Bolzano. Se non viene impugnato, diviene esecutivo. Si devono osservare tutte le norme sul processo amministrativo. La decisione esecutiva, sia essa di primo o di secondo grado, conserva la sua efficacia solo per due anni. (Art. 47).

Le commissioni locali provinciale possono deliberare con la presenza della maggioranza dei membri e a maggioranza dei presenti; in caso di parità prevale il voto del presidente.

La decisione viene notificata alle parti che hanno partecipato alla procedura nonché a quelle i cui diritti vengono comunque pregiudicati dalla decisione.

Le decisioni, disposizioni o dichiarazioni delle commissioni locali per i masi chiusi diventano definitive dopo la scadenza del termine per il reclamo. Il ricorso alla commissione provinciale va presentato entro 30 giorni dalla notifica della decisione. Invece la decisione della commissione provinciale è definitiva sul piano amministrativo.

Non è indicato un termine entro cui la commissione provinciale deve decidere.

Le decisioni pronunciate in pieno accoglimento delle istanze, e dalle quali non derivi alcun pregiudizio agli interessati, possono essere dichiarate esecutive anche prima della decorrenza del termine di 30 giorni (Art. 48).

È prevista l'emanazione di un regolamento per regolare meglio queste procedure, con la sostituzione degli articoli 43 e 44.

La Commissione, se lo ritiene necessario, convoca di ufficio le parti controinteressate (art. 43); la legge non stabilisce nulla al riguardo, ma ora è necessario osservare tutte le disposizioni sulla trasparenza amministrativa.

La Commissione non può rilasciare autorizzazioni condizionate.[113]


 

 

 

 

 

LE COSTRUZIONI NEL MASO CHIUSO

 

La legge urbanistica 10 luglio 2018, n. 9 ha stabilito numerose regole per controllare le costruzioni sui terreni dei masi chiusi, che rappresentano speciali casi di costruzioni nel verde agricolo e nel verde alpino[114]. Ciò per evitare che le maggiori possibilità di costruire venissero sfruttate a scopo speculativo con il risultato di ritrovarsi alloggi per turisti entro i fienili o una villetta ove prima vi era una capanna!

Ecco quindi le regole generali da rispettare:

- nelle aree naturali e agricole ai sensi dell'articolo 13 non sono ammessi interventi di nuova costruzione di cui all'articolo 62, comma 1, lettera e), o mutamenti d'uso urbanisticamente rilevanti degli edifici.

- La demolizione di edifici esistenti e la loro ricostruzione sono ammesse nella stessa posizione o ad una distanza non superiore a 40 metri e con la stessa destinazione d’uso, salvo motivi igienici sanitari. Non si può mai aumentare il numero degli edifici.

- Non è ammissibile la ricostruzione in posizione diversa nel verde agricolo nello stesso Comune e nella posizione adatta più vicina, salvo che sia intervenuto un divieto di edificazione.

- Edifici di abitazione anteriori al 24 ottobre 1973 e nel verde agricolo, ma non appartenenti ad un maso, possono essere ampliati fino a 1.000 m³ se hanno una volumetria di almeno 300 m3. Restano riservati ai residenti. Non si può mai aumentare il numero degli edifici. L'ampliamento non è consentito per edifici distaccati da un maso chiuso.

- Nei fabbricati rurali di un maso chiuso con attività agricola, annessi alla sede dell'azienda agricola, può essere esercitata un'attività economica secondaria. A tal fine il fabbricato può essere ampliato fino ad un massimo di ulteriori 130 m2 di superficie lorda.

- Il proprietario di un maso che svolga attività agricola, può realizzare nella sede dell'azienda agricola nel verde agricolo, una volumetria massima complessiva di 1.500 m³ con destinazione d'uso residenziale.

- La casa di abitazione per un nuovo maso deve essere fatta nel comune ove si trova la maggior parte dei terreni agricoli; si può edificare in altro comune ove si trovano alcuni dei terreni, solo su autorizzazione della Commissione per i masi chiusi di questo comune.

- La volumetria realizzata presso la sede dell'azienda agricola non può essere distaccata dal maso chiuso, salvo deroga motivata. Questa limitazione non si applica alla volumetria realizzata presso la sede dell'azienda agricola con destinazione d'uso residenziale superiore ai 1.500 m3. È norma che suscita notevoli perplessità rendendo possibili elusioni ai principi generali che regolano il maso chiuso.

Alla volumetria presso la sede dell'azienda agricola all'interno dell'area insediabile fino a 1.500 m³ e alla volumetria al di fuori dell'area insediabile non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 38 che riserva il 60% della volumetria realizzata ai residenti. Con la costruzione nasce il vincolo ventennale, intavolato, del divieto di svincolo del maso.

- Nella sede del maso chiuso o nelle sedi di altre aziende agricole l'attività di ospitalità è ammissibile esclusivamente ai sensi della legge provinciale 19 settembre 2008. n. 7

- È consentito lo spostamento della sede di un maso chiuso dall'attuale posizione nel verde agricolo ad un'altra posizione sita nel verde agricolo del medesimo comune; esso è ammesso per motivi di tutela delle belle arti, di tutela del paesaggio e degli insiemi, per ragioni di gestione aziendale e di pianificazione del territorio oppure sulla base di esistenti situazioni di pericolo. La vecchia sede del maso chiuso deve in ogni caso essere demolita. Si applica il comma 4 dell'art. 17. L'intervento è soggetto comunque alla approvazione di una speciale commissione.[115]

- Nelle aziende ortofloricole è consentita la costruzione di alloggi di servizio con la dimensione massima di 110 m2. L'azienda deve disporre presso la sede di una superficie utile di almeno 5.000 m2, di cui almeno 1.000 m2 di serre.

- Nei fabbricati rurali esistenti l'imprenditore agricolo può realizzare, nella misura strettamente necessaria, locali destinati esclusivamente ad alloggio temporaneo dei lavoratori stagionali.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le stime agrarie 

LA VALUTAZIONE DEL MASO

 

È opportuna una premessa che aiuti ad orientarsi sui problemi di valutazione. I casi concreti che si possono presentare sono.

- Valutazione del maso come bene immobiliare; ad esempio in caso di esproprio. L'ente che espropria deve pagare il prezzo di mercato degli immobili, calcolato anche in base alla loro redditività e dovrà liquidare anche gli oneri reali gravati su di essi.

- Valore di assunzione; come esposto più avanti, è un valore calcolato sulla redditività e non su valori immobiliari, il che non esclude una certa convergenza.

- Valutazione del maso in caso di vendita all'asta. Se si può procedere allo svincolo degli immobili, si deve valutare il prezzo di mercato; se il maso viene venduto conservando la sua natura e i suoi vincoli, la valutazione sarà la stessa da utilizzare come valore di assunzione.

- Valutazione di singoli immobili del maso; come per la vendita all'asta. Ai fini della divisione suppletoria (art. 29 L. m.c.) è importante stabilire se si deve fare una valutazione su valori immobi­liari o su redditività e quale sia l'incidenza della vendita sul valore globale.

- Valutazione al momento della costituzione o dello svincolo di un maso per stabilire se siano stati o meno superati i limiti di redditività previsti dalla legge.

 

I metodi di valutazione e la legge

In passato si faceva spesso riferimento alle regole di valutazione fissate per gli espropri. Però, mentre la legge fondamentale sugli espropri del 1865, riconosceva il diritto al risarcimento del valore venale del bene espropriato, il legislatore è poi intervenuto con provvedimenti rivolti a far pagare allo Stato il meno possibile:

- venne fissato il valore di esproprio dei terreni edificabili e dei beni edificati in una ridotta percentuale del valore di mercato (da ultimo art. 5-bis D.L. 333/1992);

- per i terreni agricoli si fissò il valore di espropriazione al valore agricolo medio, come determinato da una Commissione Provinciale degli espropri (art. 16 L. 865/71).

Nel diritto italiano ed europeo, si è poi pervenuti, non senza ritardi e sofferenze, ed a denti stretti, ad affermare il principio che quando l'ente pubblico si appropria di un bene privato, sia pure per soddisfare ad interessi pubblici, ne deve pagare il suo giusto valore, oltre ai danni cagionati dalle nuove opere.

Esproprio parziale di bene unitario

L'art. 33 del D.P.R 08/06/2001 n. 327 (T.U. sulle espropriazioni per pubblica utilità) prevede che nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore e la giurisprudenza ha individuato varie ipotesi con­crete in cui deve essere rimborsato all'espropriato anche il decremento di valore causato al bene residuo dall’espropriazione:

- Espropriazione di immobile a destinazione industriale; si deve tener conto del deprezzamento dei beni mobili facenti parte dell’attrezzatura industriale, ai costi legati alla rimozione e reimpianto ovvero per il fatto di non essere altrimenti utilizzabili.

- Diminuzione dell’azienda agricola per il frazionamento dei terreni e la maggiore onerosità della gestione.

- Diminuzione di valore del fabbricato per la presenza di opere pubbliche e di immissioni di rumore ed inquinamento provocate da essa in misura superiore alla normale tollerabilità.

- Diminuzione del valore dell’immobile per la presenza di vincoli di inedificabilità o di rispetto di distanze dovuti alla realizzazione di sedi stradali.

- Azienda agricola privata di approvvigiona­mento idrico.

- Fabbricato privato di parcheggio o di garage.

- Azienda che perde parte importante del proprio valore e danni da avviamento.

- Villetta espropriata del giardino o del parco.

- Azienda, privata di aree di sgombero o manovra per fabbricati industriali. Ecc.

 

L'indennizzo secondo la Corte Costituzionale e le Corti Europee

La Corte Costituzionale, con sentenza del 30 luglio 1984 n. 231 affermava che, in caso di esproprio, l’indennizzo “pur non dovendo corrispondere all’integrale valore effettivo del bene espropriato, (e perché mai? dove ha preso la Corte questa bella idea?) deve comunque garantire un serio ristoro”. Aggiungeva poi con sentenza 283/93 che “l’indennità non può essere meramente simbolica ed irrisoria, ma deve essere congrua, seria, adeguata”. Essa, continuava la Suprema Corte, non deve basarsi su una valutazione astratta, ma sulla reale connotazione e rilevanza economica del bene espropriato.

Da queste pronunce la Corte di Cassazione traeva lo spunto per ampliare progressivamente i diritti dei soggetti espropriati, affermando che l’indennità di espropriazione deve essere congrua al fine di rispettare la garanzia economica sancita dall’art. 42 comma 3 Cost. (Cass. 24041/2006); ed ancora che l’indennità deve essere seria, attendibile, ed effettivamente commisurata alla natura e al valore dell’immobile, in modo da garantire la facoltà di scelta del proprietario tra l’accettazione dell’indennità offerta pur in misura minore, ma esente da decurtazioni, e il rischio della liquidazione giudiziale (Cass. 21638/2005).

Eppure, fino al 2011, la Cassazione continuava a credere che l’indennità di espropriazione per i suoli agricoli e, come nella specie, per quelli gravati da vincolo di inedificabilità va determinata, ai sensi della normativa vigente all’epoca della cessione, sulla base del «valore agricolo medio del terreno, a prescindere dalla sua destinazione economica, quale si determina in base alla media dei valori, nell’anno solare precedente il provvedimento ablativo, dei terreni ubicati nell’ambito della medesima regione agraria, nei quali siano praticate le medesime colture in opera nel fondo espropriato». Ciò per consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, in applicazione degli artt. 15 e 16 legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni, che devolvono alla commissione provinciale l’individuazione del valore agricolo medio.

È cosa difficile da digerire perché mai il cittadino debba percepire il valore medio quando può dimostrare che il suo bene, per ragioni particolari, non ha affatto caratteristiche "medie"?

Finalmente la Corte Costituzionale, con sentenza n. 181 del 2011, sotto la spinta delle decisioni delle Corti europee, ha dovuto ammettere l'illegittimità costituzionale di ogni norma che faceva riferimento ai valor agricoli medi (VAM), sancendo definitivamente che il valore di esproprio dei terreni agricoli, così come già quello dei terreni edificabili, deve corrispondere al valore di mercato del bene.

Proprio non si capisce perché ci sia voluto tanto a riconoscere il principio generale secondo cui qualunque danno va risarcito.

Sulla questione è dovuta intervenire anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, facendo applicazione dell’art. 1, Prot. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ha più volte affermato che l’indennità di esproprio deve costituire un indennizzo effettivo dei diritti dei proprietari e che l’interesse collettivo non può determinare una lesione del diritto individuale della proprietà. Si è in particolare affermato che solo circostanze eccezionali di ricostruzione economica e sociale di uno Stato, possono giustificare un’indennità inferiore al valore di mercato del bene.

Particolarmente esaustiva e decisiva sul punto è stata la sentenza relativa alla Causa Scordino contro Italia (Nr. 1), Richiesta n. 36813/97. Il ricorrente lamentava un inadeguato indennizzo in ordine all’espropriazione di un terreno agricolo per la realizzazione di una strada. La Corte ha chiaramente affermato che un indennizzo inferiore al valore venale del bene è possibile solo allorquando vi siano particolari esigenze di riforma economica e di giustizia sociale (pr. 96-97) (ad esempio sono state riconosciute cause valide di compressione dei diritti degli espropriati la riunione della Germania, il cambio Costituzionale in Grecia, i provvedimenti di nazionalizzazione degli anni ’80 in Inghilterra, l’introduzione della Repubblica in Polonia a seguito della caduta del regime comunista).

In particolare la Corte ha statuito che: Una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve predisporre un “giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altri, Sporrong e Lönnroth, sentenza precitata, p. 26, § 69). La preoccupazione di assicurare un tale equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 tutto intero. [116]

Attualmente si può affermare con certezza che l’indennità di esproprio dei terreni agricoli[117] deve essere pari al valore di mercato degli stessi e che vanno altresì risarciti i danni derivanti ai beni residui per effetto della loro diminuzione di estensione o a causa delle nuove opere confinanti.

E questa è una regola generale che non può essere sminuita da nessuna norma particolare o speciale perché deriva direttamente dall'art 23 della Costituzione: Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. E la legge deve rispettare il principio, ancor più generale, dell'eguaglianza.

 

La tassazione dell'indennità

Su di un punto la nostra giustizia è ancora carente e cioè riguardo alla tassazione delle indennità in caso di espropriazione. In base all'articolo 35 del DPR 8 giugno 2001, n. 327 anche il privato espropriato è soggetto ad una tassazione del 20% perché l'indennità viene considerata una plusvalenza, vale a dire come un reddito conse­guito. Poi la L. 23 dicembre 2005, n. 266 ha disposto che tale tassazione si applica solo ad immobili posti in particolari zone urbanistiche, ma ciò non cambia i termini del problema.

È una pura idiozia giuridica, anch'essa del tutto contraria ai principi generali della Costituzione, perché non può esistere un "reddito coatto" creato dallo Stato con un suo atto di imperio. L'esproprio è un atto straordinario, che viola le regole sulla proprietà privata e sulla libertà di iniziativa economica, con cui lo Stato sostituisce la propria volontà a quella del cittadino, costretto a subire. Giustamente le regole generali prevedono che una simile lesione delle regole generali costituisce un danno che deve essere risarcito. E il risarcimento non è mai un reddito, ma sempre e soltanto un reintegro del patrimonio, depauperato per factum principis. Il risarcimento deve consentire di comperare un bene equivalente a quello sottratto; se lo Stato si appropria del 20%, è chiaro che l'espropriato potrà ricomprare solo un bene che costa il 20% in meno e che il risultato finale è una minusvalenza e non una plusvalenza!

Vi è quindi ampio spazio per contrastare una simile pretesa sul piano costituzionale, ed è difficile comprendere come mai il problema non sia mai stato sollevato.

 

La stima del valore del maso chiuso [118]

Così inquadrata la situazione attuale della indennità di esproprio, si può meglio affrontare il problema del maso chiuso, che ci riguarda, in quanto non si può prescindere dalla regola generale: qualunque sacrificio patrimoniale imposto al cittadino in via particolare e concer­nente beni immobili, deve essere valutato tenendo conto del valore attuale del bene e di eventuali ulteriori conseguenze dannose sul resto dei beni. Parametri generali, valori catastali, medie statistiche, possono essere utilizzate per stime che riguardano la generalità degli interessati, ad esempio per l'applicazione di imposte, ma non quando al cittadino deve essere corrisposto il giusto controvalore dei suoi beni.

Si tratta, quindi, di applicare le usuali regole della scienza dell'estimo che ha lo scopo di insegnare ad esprimere giudizi circa la somma di moneta che si può attribuire, in vista di un determinato scopo, ad un qualsiasi bene economico oggetto di stima.

Anche se abbiamo evitato di parlare di valore di mercato (prezzo), del valore che nasce dallo scambio e si attua con il reale pagamento di un dato prezzo, bensì di attribuzione di valore, cioè di somma di moneta che si può attribuire, per dati scopi, al bene da stimare di fatto però nella maggior parte dei casi la valutazione si riduce proprio a stabilire il prezzo di mercato.

Importante criterio di stima è quello basato sul prezzo di surrogazione, vale a dire il prezzo che si dovrebbe pagare per acquistare beni equivalenti a quelli da valutare. In altri casi si tratta invece di valutare il valore attribuibile ad una sola parte del bene che viene separata dal bene principale. Il prezzo complementare è dato dalla differenza fra il più probabile prezzo di mercato dell’intero bene economico e quello che avrebbe la parte complementare di quella stimata, concepita staccata dal bene economico e separatamente vendibile. Già la legge del 1865 stabiliva che l'indennità (= prezzo complementare) deve essere uguale alla differenza del valore dell’intero immobile (probabile prezzo di mercato dell'intero bene economico) e del valore della parte residua dopo l'espropriazione (= prezzo di mercato della parte complementare a quella da stimare).

Si ricorre pure al prezzo complementare ogni qualvolta è necessario determinare l'incremento di reddito che ne viene ad un terreno dall'incor­porazione di un altro vicino (è il caso delle cosiddette terre segregate, che tendono a entrare in combinazione con le vicine oppure dei relitti di terreno, derivanti dall’esecuzione del piano regolatore e attribuiti, secondo quanto dispone la legge urbanistica, alle proprietà confinanti). Né è da dimenticare un'altra applicazione, e cioè la determinazione dei danni occorsi ad un bene in rapporto di complementarità con un altro bene eliminato.

 

Metodo analitico e sintetico

I metodi base da applicare sono principalmente due: quello sintetico e quello analitico, da combi­nare assieme. In entrambi si parte dall'acquisizione di dati di fatto che vengono poi elaborati in base a regole di esperienza e a regole matematiche. Siccome il metodo analitico ha bisogno, alla fin dei conti, di controllare se i conti tornano è abbastanza normale che si adattino un po' i parametri per farli tornare. La realtà deve sempre prevalere sull'astrazione.

La stima analitica è fondamentalmente basata sul criterio di stima per capitalizzazione dei redditi. È però opportuno premettere che. quando viene richiesto al perito il probabile valore di mercato di un fondo, possono essere implicite anche domande del tipo seguente: che somma posso pagare per quel determinato fondo per percepire almeno un interesse del x% ?; oppure: pagando per quel determinato fondo la somma di y euro quale sarà il saggio d'interesse dell’investimento?

Per rispondere soltanto a queste ultime domande non è necessario che lo stimatore percorra interamente la strada della capitalizza­zione dei redditi: basta che egli compia la stima del reddito che si può in media ricavare dal bene oggetto di stima. L'utilità di questa nozione è evidente: essa rappresenta un fondamentale punto di riferimento per chi cerca impiego conveniente al proprio risparmio.

 

La valutazione del prezzo di assunzione

Ben diverso è il problema della valutazione del maso chiuso ai fini della assunzione: il maso è equiparato ad una azienda di cui bisogna stabilire accuratamente la redditività. Il legislatore ha indicato alcuni parametri generali che vanno ovviamente applicati a singole situazioni, da studiare caso per caso, senza generalizzazioni.

L'art. 19 della Legge sui m.c., regolando i casi di esclusione dei legittimari del defunto dall' assun­zione del maso, stabilisce che: Qualora nella designazione dell'assuntore venissero preferiti eredi non legittimari rispetto ai legittimari del defunto, la valutazione del valore del maso chiuso ai fini della determinazione delle quote di legittima è effettuata in base ai valori agricoli medi stabiliti annualmente ai sensi della legge provinciale 15 aprile 1991. n. 10. e successive modifiche, senza applicare i coefficienti di rivalutazione; nella valutazione sono già compresi il valore dell'annesso rustico e la cubatura residenziale utilizzata per scopi agricoli.

L'articolo 20, comma 2, della legge sul maso chiuso stabilisce:

Ai fini della stima del valore di assunzione del maso si tiene conto del reddito medio netto annuo presunto in base alla conduzione del maso secondo gli usi locali. Con riguardo all'attività agricola, tale valore è capitalizzato al tasso annuo del cinque per cento e, con riferimento alle attività connesse di cui al terzo comma dell'articolo 2135 del codice civile, e successive modifiche, il valore è capitalizzato al tasso annuo del nove per cento. Con il regolamento di esecuzione di cui all'articolo 49 vengono definiti i criteri per la determinazione del valore di assunzione.

(3) In caso di cessione di un maso chiuso i diritti connessi con la conduzione del maso così come le pertinenze di cui all'articolo 12, passano a titolo gratuito all'assuntore del maso.

(4) Beni utilizzati a scopi non agricoli vengono stimati separatamente; fanno eccezione quei beni che sono di minore rilevanza economica e che sono connessi al maso in modo tale che un eventuale distacco comporterebbe grave pregiudizio per la conduzione del maso, oppure beni la cui permanenza al maso sia necessaria per altri motivi.

(5) Se il maso chiuso è gravato da diritti di usufrutto, uso o abitazione, da servitù o da oneri reali, essi sono stimati separatamente e il loro valore è defalcato dal valore di assunzione calcolato.

 

Nel cap. X della raccolta degli usi locali si trova scritto che: Il principio di calcolo ai fini della determinazione del valore di assunzione di un maso chiuso ("valore del reddito”) determina il presunto reddito medio netto annuo in base ad una conduzione secondo gli usi locali da parte di un conduttore dotato di capacità medie. Il presunto reddito medio netto annuo corrisponde, secondo i principi generali della stima del valore del reddito dei masi chiusi, all'interesse sul capitale fondiario (“beneficio fondiario”).

 

Queste norme fanno sorgere numerosi interrogativi e, senza dubbio, devono essere ritoccate dal legislatore, nella misura in cui non consentono una interpretazione costituzionalmente corretta. Andiamo con ordine:

- Non si comprende perché si debba distinguere fra assuntore scelto fra i legittimari e quello scelto fra i non legittimari. Il valore di stima può essere uno solo, in entrambi i casi. Se vi sono particolari situazioni familiari di cui tener conto (e da ben individuare), lo si farà in sede di divisione, ma non nella valutazione dei beni.

- Non si comprende perché nella valutazione del maso non si debba tener conto del valore effettivo degli edifici, senza presumere che esso sia correlato al valore dei terreni. Il valore del capitale investito, la previsione della necessità di futuri investimenti, sono essenziali per la valutazione. Gli edifici possono essere vecchi e fatiscenti oppure nuovi, possono essere adeguati alle esigenze del maso o dover essere interamente ristrutturati, possono servire o meno per ospitare turisti, ecc. Perciò non si può prescindere da una loro valutazione concreta. Inoltre, non è vero che nelle tabelle dei valori agricoli medi dei terreni agricoli, si tenga conto anche degli immobili; le tabelle sono redatte ai fini degli espropri e non delle assunzioni dei masi.

- Il sistema delle tabelle, che contengono i valori dei terreni minimi e massimi, in relazione alla posizione geografica ed al tipo di cultura è senz'altro utile, ma deve essere adattato alla specifica situazione di un maso, in cui ogni terreno fa un tutt'uno con gli altri, nonché alle specifiche caratteristiche del terreno. Si consideri ad esempio quanto sia essenziale tener conto della sua pendenza e consistenza, che complicano o impediscono l'utilizzazione di macchine, che comportano il dilavamento di terra fertile, che creano situazioni di pericolo per i lavoratori. Si consideri che le stesse dimensioni di un appezzamento influiscono sul valore unitario per metro quadrato. Si consideri l'importanza delle risorse idriche disponibili, ecc. Perciò sarebbe del tutto illegittima una valutazione basata solo sulle tabelle senza un adeguato controllo sul campo della reale situazione.

- Non si comprende il senso della disposizione secondo cui si procede senza applicare i coefficienti di rivalutazione. Le tabelle sono aggiornate ogni anno e ovviamente si devono utilizzare le più recenti. Poi vi possono essere dei problemi nello stabilire a quale momento va riferito il calcolo della valutazione (data dell'assunzione, data della domanda giudiziaria, data della decisione del giudice), ma sono problemi processuali, distinti rispetto alla stima del valore di mercato.

- Il ricorso a tassi di capitalizzazione stabiliti a priori, non dà la minima garanzia che il risultato sia equo.

- È ormai superata la regola scritta negli "usi locali" della provincia di Bolzano secondo cui Il presunto reddito medio netto annuo corrisponde, secondo i principi generali della stima del valore del reddito dei masi chiusi, all'interesse sul capitale fondiario (“beneficio fondiario”). Non vi è spazio per presunzioni e il metodo del beneficio fondiario è stato abbandonato perché bello sul piano matematico, ma lontano dalla realtà.

 

I problemi sorgono sia nella determinazione del reddito, sia nella determinazione del saggio di capitalizzazione. Ne parliamo in estrema sintesi e semplificazione.

Il beneficio fondiario indica una cosa molto semplice: se si prende la produzione lorda di terreni agricoli e si detraggono i costi per il lavoro manuale svolto (che indicativamente incidono per un 25%), gli stipendi (compensi per il lavoro intellettuale svolto, che indicativamente incidono per un 6%), le spese varie (per prodotti e servizi extra aziendali, come concimi, sementi, carburanti, diserbanti, ecc…), le spese di assicurazione e necessarie per la manutenzione e le sistemazioni interne, le imposte e contributi (mediamente incidono per l’8 %), gli interessi sui captali investiti, ciò che rimane è il beneficio fondiario.

Come si vede, ogni voce è incerta. Si consideri, ad esempio come, con l’avvento del mercato comune europeo, il prezzo dei prodotti agricoli è sottratto in buona parte alla logica del mercato, ma dipende da un complesso sistema di aiuti al reddito, condizionati da altrettanto complessi vincoli alla produzione (OCM, organizzazione comune dei mercati), che rendono aleatoria la determinazione del reddito ordinario per fini estimativi.

L'unico calcolo serio che si può fare è quella sulla base di una “buona contabilità” che copra un numero di anni sufficienti per prevedere l’ammontare e la tendenza dei ricavi futuri.

La pretesa di corrispondere l'indennità agli eredi in base a valori medi non è legittima; se il maso era gestito bene non si vede perché essi debbano sostenere l'incapacità del nuovo assuntore di ottenere eguali ricavi; se il maso era gestito male e, ad esempio, richiede investimenti, è giusto tenerne conto nella valutazione.

Il ricorso al beneficio fondiario funziona un po' meglio per fondi dati in affitto: si prende conoscenza del canone di affitto concreto ed attuale del fondo; si giudica se esso possa ritenersi equo o continuativo, in base ai dati di mercato della zona, modificandolo opportunamente, se tale non è; dal canone si ricava, quindi, il beneficio fondiario.

Quanto alla condizione della continuità, certo, è verissimo che i redditi da capitalizzare sono sempre i redditi futuri; ma i redditi futuri non possono essere che previsti in base ai presenti. Il prezzo d'uso della terra da capitalizzare va dunque, nei riguardi della continuità, trattato come ogni altro prezzo nelle stime.

Per passare dal canone d'affitto alla nozione del beneficio fondiario, bisogna determinare le spese e gli oneri che sono a carico della proprietà, già visti.

Accertata la misura media annua delle spese sostenute dal proprietario, si toglie dal canone di affitto e si stabilisce così il beneficio fondiario, che sarà poi capitalizzato.

La base di una buona valutazione analitica, che fornisca un valore reale e non medio, è sempre quella di una accurata raccolta ed analisi di tutti i dati catastali, geografici, ambientali, storici, agrari passati e presenti.

Come si vede sono procedure complesse e costose, spesso non giustificate dal valore del bene.

 

La determinazione indiretta del saggio di capitalizzazione

Alcuni Autori ipotizzano una determinazione indiretta del saggio di capitalizzazione e cioè con riferimento al rendimento di beni analoghi (per sicurezza, durata ecc.) per i quali esiste invece un mercato. I beni analoghi a un fabbricato o a un fondo rustico potrebbero essere, per esempio, gli strumenti finanziari di lunga durata ed elevato grado di sicurezza. È tuttavia evidente che tale analogia non può che essere parziale, oltreché discutibile (il mercato dei beni immobili ha dinamiche del tutto diverse da quelle degli strumenti finanziari).

 

Ma anche questo metodo della Stima analitica o per capitalizzazione dei redditi, che consiste nello scontare all'attualità i redditi futuri, ha i suoi punti deboli.

Il criterio di stima per capitalizzazione dei redditi viene applicato specialmente nel caso in cui si debba stabilire il più probabile valore di mercato dei beni rustici; ed è in relazione a questa precisa finalità che viene studiato dall'estimo rurale.

È però opportuno ricordare quanto già detto sopra e cioè che per rispondere ai quesiti più semplici, non è necessario che il perito percorra interamente la strada della capitalizzazione dei redditi: basta che egli compia la stima del reddito che si può in media ricavare dal bene oggetto di stima.

L'utilità del criterio della capitalizzazione è evidente: essa rappresenta un fondamentale punto di riferimento per chi cerca impiego conveniente al proprio risparmio. La notizia fornita dal perito consente di esaminare la convenienza economica comparativa di diversi investimenti e può darsi che al perito stesso venga richiesta una serie di stime sui probabili redditi ritraibili da distinti tipi di beni fondiari.

Il criterio della capitalizzazione dei redditi consiste precisamente nella ricerca del probabile valore di mercato di un bene attraverso l'accertamento dei probabili redditi e la loro capitalizzazione.

 

Di recente è stato sottoposto a serrata critica proprio quello che veniva considerato l'elemento base di ogni stima e cioè il saggio di capitalizza­zione.[119]

 

La capitalizzazione

I criteri di calcolo del prezzo di assunzione non ci sembrano essere più conformi alla evoluzione della normativa italiana ed europea, applicabile in tutti quei casi in cui il cittadino si vede limitato nel percepire il giusto valore di ciò che gli spetta per soddisfare interessi pubblici, e quindi altrui!

È del tutto corretto stabilire che l'erede legittimo, deve pagare l’importo calcolato in base al reddito medio netto annuo presunto in base alla conduzione del maso, secondo gli usi locali. Molto più dubbio che sia corretto capitalizzare questo reddito in base ad un parametro del 5% del tutto fittizio e fissato dal Codice Civile nel 1942! Nel decennio 2010-2020 il tasso medio ufficiale è stato dello 0,80% ed è chiaro che non si può fare un calcolo semplicistico del tipo "il maso vale un milione e rende 100.000 euro all'anno; quindi devo pagare 2.000.000 di euro (capit. 5%) oppure non pago nulla perché il tasso attuale è dello 0,5 %. La capitalizzazione della rendita di immobili non può essere fatta in base al tasso legale per gli importi in danaro perché è un valore fittizio. Chi investe in immobili lo fa proprio per sottrarsi alle perturba­zioni monetarie.

Si può senz'altro ricorrere a metodi più sofisticati di calcolo utilizzando il coefficiente denominato GRM (Gross Rent Multipler), che rappresenta l'inverso del tasso (GRM = 1/r), mediante il quale le eventuali correzioni al tasso medio, positive e negative, possono essere applicate in modo linearmente proporzionale e simmetriche rispetto al valore medio del GRM. Ma questo coefficiente deve essere stabilito in relazione ad una zona più o meno grande ed implica sempre valutazioni soggettive e sistemi di calcolo non ufficiali.

Si può agevolmente concludere che l'espressione usata "capitalizzato al tasso annuo del 5%", può essere solo fonte di valutazioni arbitrarie e lontane dalla realtà: quindi ingiuste e non ammissibili.

In altre parole, il legislatore ha presunto che il reddito medio di un maso è pari al 5% e deduce perciò il valore del prezzo di assunzione da questa presunzione: se il maso rende 50.000 euro all'anno il suo valore è di un milione di euro. Ma è valutazione fittizia e quindi contraria ai principi di equità vigenti. E non si può basare una presunzione su altre presunzioni.

Il problema è stato ben studiato proprio in relazione al mercato immobiliare, utilizzando il metodo della capitalizzazione diretta (direct capitalization) e il metodo della capitalizzazione finanziaria (yield capitalization) secondo gli Standard valutativi internazionali (International Valuation Standards, IVS, 2007, GN1 5.12). Essi prevedono che i saggi di capitalizzazione siano derivati esclusivamente dal mercato immobiliare. Poiché i due metodi presentano differenti ipotesi nella stima del valore di mercato di uno stesso immobile, è verosimile che presentino saggi di capitalizzazione di diverso ammontare. Il calcolo dei saggi di capitalizzazione equivalenti si basa su una legge di conversione.

II metodo della capitalizzazione finanziaria considera la serie dei redditi dal momento dell'acquisto al momento della rivendita dell'immobile, prevedendo un valore di mercato finale (valore di rivendita). La stima del valore finale di rivendita può svolgersi in due modi: 1) in base al saggio di svalutazione/rivalutazione del valore di mercato nel periodo di disponibilità; e 2) in base alla capitalizzazione diretta del reddito dell'anno successivo alla fine del periodo di disponibilità. In quest'ultimo modo il valore finale rappresenta il valore scontato dei redditi futuri con l'impiego di un saggio di capitalizzazione finale.

Il saggio di capitalizzazione finale (coming-out capitalizaztion rate) è differente dal saggio di capitalizzazione finanziaria (going-in capitalization rate). La rivendita è spesso una parte notevole del ritorno complessivo di un investimento immobi­liare e per alcuni investimenti costituisce l'unico ritorno. Ai fini della ricerca del saggio di capitalizzazione finale e necessario considerare, ora per allora, i cambiamenti nelle aspettative di mercato, ossia di che accadrà all'investimento originario o all'immobile da valutare oltre il periodo di disponibilità.

In genere nella stima immobiliare l'applicazione del procedimento di capitalizzazione del reddito riguarda uno solo dei due metodi considerati: il metodo della capitalizzazione diretta o il metodo della capitalizzazione finanziaria, secondo le condizioni teoriche e applicative poste da ciascun metodo. Appare ovvio allora che nella stessa valutazione il saggio di capitalizzazione da applicare in un metodo può differire dal saggio di capitalizzazione da applicare nell'altro metodo. In altri termini se il valutatore adotta ad esempio il metodo della capitalizzazione diretta e fissa un saggio di capitalizzazione, non può applicare lo stesso saggio nel metodo della capitalizzazione finanziaria. I saggi di capitalizzazione equivalenti intendono rappresentare le relazioni tra i saggi netti dei due metodi di capitalizzazione attraverso le leggi di conversione.

Nei procedimenti di stima per capitalizzazione del reddito, gli Standard valutativi internazionali fanno costante riferimento alla necessità di disporre di dati di confronto pertinenti rilevati nel mercato e relativi a immobili concorrenziali e comparabili.

Occorre ricordare che il saggio di capitalizza­zione non è una grandezza naturale espressa spontaneamente dal mercato, come ad esempio il saggio di interesse in un'operazione di prestito, bensì è una grandezza derivata - in prima istanza - dal rapporto tra il reddito e il prezzo di mercato di un immobile: il primo deriva dal canone di affitto rilevato nel segmento di mercato degli affitti, il secondo si realizza nel segmento di mercato delle compravendite.

Conclude l'Autore che generalmente il procedimento di stima per capitalizzazione del reddito si applica in assenza di dati di compravendita dello stesso segmento di mercato dell'immobile da valutare. Di conseguenza la rilevazione degli affitti e delle compravendite si svolge in uno o più segmenti di mercato prossimi, confrontabili con il segmento dell'immobile da valutare, in base ai rispettivi parametri. Questo processo di rilevazione in segmenti di mercato prossimi può essere indicato come processo di ricerca remota del saggio di capitalizzazione e considera le differenze dei parametri ai fini della ricerca del saggio di capitalizzazione dell'immobile da valutare.

Sembra evidente che questi metodi, raffinati da un punto di vista matematico, hanno un punto debole nel fatto che costringono ad usare più parametri di rendimento e capitalizzazione, tutti oscillanti ed opinabili, i quali possono portare solo a valori teorici medi. Non si può fare una buona stima se non si lavora su dati reali raccolti in un ambito ristretto.

 

Criticabile anche la regola stabilita a carico dell'assuntore che non è un erede legittimario: la valutazione di ciò che deve pagare ai legittimari, è effettuata in base ai valori agricoli medi stabiliti annualmente ai sensi della legge provinciale 15 aprile 1991 n. 10. e successive modifiche. Cioè in base a parametri per l'esproprio che sono ormai superati persino in materia di esproprio, in quanto il cittadino ha diritto ad una valutazione specifica del suo bene e non ad una valutazione media.

Una cosa certa emerge dalla prassi: la mancanza di criteri precisi e l'applicazione ottusa di metodi di estimo, portano a risultati assurdi ed ingiusti, del tutto inaccettabili,

Ciò emerge persino dalla sentenza 15/2021 della Corte costituzionale in cui si espongono questi fatti: Al fine della determinazione di tale valore, il giudice del tribunale ha nominato un consulente tecnico d’ufficio che, sulla base del criterio stabilito dall’art. 25, primo comma, del d.p.p. di Bolzano n. 8 del 1962, ha individuato il prezzo di assunzione del maso chiuso in euro 30.768,00. Nello specifico, il consulente ha rilevato l’esistenza di «coefficienti stabiliti dalla Commissione censuaria provinciale» (ai quali fa riferimento il primo comma della disposizione appena richiamata) solo fino all’anno 1984, non essendo stati tali coefficienti da allora più aggiornati. Ad integrazione del quesito originariamente proposto, il giudice ha chiesto, pertanto, al consulente tecnico d’ufficio di determinare anche l’attuale valore di mercato del maso chiuso (quantificato in euro 2.785.270,00) nonché il valore di assunzione, sulla base del nuovo criterio di calcolo previsto dall’art. 20, comma 2, della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001 (determinato in euro 574.905,00) [120].

Come può essere che un perito giunga a dire che un bene che vale (a Bolzano) quanto dieci appartamenti, rende quanto un capitale investito in un garage (600 euro all'anno)? Il valore di 575.000 euro, pari ad un ipotetico reddito di circa 30.000 all'anno, eseguito in base ai metodi di estimo in uso, è corretto, ma ancora lontano dalla realtà. È come affermare che su di un tale maso ci possono vivere a malapena due persone!

Attualmente si è concluso che una stima analitica non può essere una pura esercitazione di bilancio, ma può essere fatta solo se si dispone di una esaustiva raccolta di dati elementari. Si dovrebbe poter disporre di una base-dati adeguata per determinare una media significativa a partire da dati elementari. Cosa ben difficile da realizzare in pratica.[121]

Gli esperti suggeriscono perciò di ricorrere alla stima sintetica che si applica nei casi in cui si debba stabilire il più probabile prezzo di mercato del bene da stimare. Essa ammette un solo criterio: quello del prezzo di compravendita, e ignora i criteri del costo, della capitalizzazione, ecc. Ecco perché tutti i così detti metodi sintetici di stima si basano, indistintamente, sulla conoscenza dei prezzi di mercato dei beni oggetto di stima.

La prima operazione da farsi è quindi quella di prender conoscenza del maggior numero possibile di prezzi; seguirà poi l'esame e l’interpretazione di essi, allo scopo di dedurne, per confronto, il prezzo dell’immobile da stimare. A compiere questa statistica si oppongono però grandi difficoltà. Il mercato (fondiario ha delle caratteristiche tutte proprie, fra cui va notato specialmente il limitato numero di scambi; si aggiunga che talvolta i prezzi pagati dipendono da cause tutte proprie a quel singolo caso; che altre volte la compravendita viene nascosta e il prezzo falsato per più o meno giustificati timori o soltanto per amor di segretezza.

I prezzi raccolti dovrebbero riferirsi ad una zona abbastanza omogenea per rendere più facile e meno arbitraria la comparazione, essi devono essersi verificati di recente, poiché il loro valore indicativo diminuisce con il trascorrere del tempo. Anche i prezzi passati possono essere utili, specialmente quando l’economia ha carattere statico, ma in ogni caso, ai fini della valutazione, hanno importanza fondamentale i prezzi attuali, che riproducono fedelmente le valutazioni fatte da coloro che, nel momento della stima, concorrono a formare il mercato.

In ogni caso è indispensabile la precisa conoscenza delle caratteristiche individuali dei fondi di cui si conosce il prezzo di compra-vendita e di quelle del fondo da stimare. I prezzi conosciuti saranno di tanta maggiore utilità quanto più i fondi venduti saranno simili a quello da stimare: quindi i fondi predetti potranno essere idealmente classificati in base alla natura agrogeologica del terreno, alla giacitura, all’ampiezza, alla frammentazione, alla distanza dal mercato e dalle strade, ai comodi che offrono, alle possibilità di edificare, ecc. Il numero di categorie da distinguere, essendo numerosissimi i fattori che influiscono sui prezzi e diversa la loro importanza e svariate le loro combinazioni, in pratica non avrebbe un limite; ma questo limite viene segnato dalla esiguità del materiale statistico, poiché per fissare i limiti entro cui oscillano i valori dei fondi di ogni categoria, occorre un minimo di prezzi. Anche i canoni di affitto pagati per i fondi di cui si conosce anche il valore di mercato, possono servire a perfezionare la classificazione ricordata.

 In sostanza tutte le stime sintetiche per essere tali debbono essere a vista, ad impressione, comparative, ecc., perché il giudizio estimativo viene necessariamente fatto per confronto, poiché si tratta, in ogni caso, di inserire in una determinata scala di valori il bene da stimare.

 

Concludendo[122]

Si può concludere che il principio adottato dal legislatore, di valutare l'azienda agricola in base al reddito, è corretto e non incostituzionale; è invece sbagliato ogni metodo di stima basato su parametri prefissati e opinabili, che non portano ad accertare l'effettivo valore di mercato e l'effettiva redditività potenziale del maso, sia pure in un periodo di tempo piuttosto lungo. Non sarebbe male di cominciare a pensare ad interventi normativi, prima che intervenga la Corte costituzionale.

In seguito alla evoluzione della legislazione della giurisprudenza è necessario che la stima di un bene porti ad accertarne il valore di mercato reale, senza correttivi e supposizioni o valori prefissati.

Attualmente il metodo base di stima (a cui si possono affiancare metodi analitici di controllo) è quello sintetico.

Nella stima di un fondo secondo il criterio del valore di mercato il perito deve giudicare la quotazione che il fondo potrebbe spuntare in una libera contrattazione di compravendita con riferimento al momento in cui viene effettuata la stima. Indispensabile è quindi la conoscenza del mercato: cioè occorre che si verifichino le seguenti condizioni:

- che esistano fondi simili di recente oggetto di compravendita;

- che di questi fondi simili si conoscano i prezzi di vendita (recenti e realmente pagati).

Per fondi simili si intendono immobili aventi analoghe caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Non esistendo fondi uguali, si tratterà di giudicare se i fondi presi per confronto hanno caratteristiche paragonabili, equivalenti, a quelle del fondo oggetto di stima. Essendo tali caratteristiche numerose e di vario genere (ubicazione, destinazione produttiva, terreno, miglioramenti fissi, ecc.), si deve esprimere un giudizio globale sulla base delle sue conoscenze tecnico-economiche, da ponderare con immediatezza e imparzialità.

Il Procedimento sintetico si basa sulla comparazione diretta tra il fondo da stimare e i fondi simili presi per confronto sulla base di un parametro comune.

Il valore unitario, ottenuto dal rapporto Somma Valori/Somma paramentri potrà essere corretto, all’occorrenza, di un’entità stabilita dal perito, nel caso che il fondo manifestasse differenze, rispetto ai fondi presi per confronto, che non possono essere considerate in altro modo, cioè apportando aggiunte o detrazioni al valore ordinario. Tali differenze sono i comodi positivi o negativi. Per esempio, potrà essere giudicata una svalutazione dell’x% per la suddivisione in più corpi o per un terreno svantaggiato (per giacitura, fertilità, esposizione, ecc.). l’entità della correzione viene giudicata dal perito in modo empirico e perciò in modo soggettivo e opinabile; deve quindi essere di modesta entità e limitata ai casi di effettiva necessità.

Quando invece le differenze tra il fondo da stimare e i fondi simili sono dovute a circostanze momentanee, individuabili e quantificabili singolarmente, l’importo, adeguatamente calcolato, sarà sommato o detratto dal valore ordinario (aggiunte e detrazioni). Si otterrà così il valore reale.

 

Parametri di confronto

Il parametro tecnico impiegabile nella stima dei fondi rustici è la superficie (espressa in ettari).

I parametri economici possono essere: il reddito dominicale, il beneficio fondiario, la PLV[123] ecc. (meno affidabili rispetto alla superficie).

Fasi di svolgimento di una stima sintetica:

- Introduzione riportante le finalità della stima, le parti in causa, l’aspetto economico individuato, il procedimento che si intende seguire, le indagini svolte, le fonti dei dati acquisiti, ecc.

- Descrizione del fondo nelle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche.

- Ricerca e analisi dei prezzi recenti e realmente pagati per fondi simili che, per essere identificati come tali, dovranno essere succintamente descritti. Tali prezzi potranno essere resi omogenei per particolarità che abbiano contraddistinto la compravendita (scorte comprese nel prezzo, facilitazioni di pagamento, ecc.).

- Determinazione del valore ordinario sulla base del parametro di confronto. Tale valore ordinario potrà essere corretto in presenza di comodi positivi o negativi.

- Determinazione del valore reale apportando le eventuali aggiunte o detrazioni dal valore ordinario.[124]

Quindi, per quante acrobazie verbali si facciano, non si potrà mai prescindere da una precisa valutazione dei terreni per calcolare concretamene, in base a estensione e posizione e possibilità di irrigazione, quanto vino, patate, segale, mele, ortaggi, si possono produrre, quante vacche, maiali e pecore possono mantenere i prati e i pascoli, quanta legna si può tagliare nei boschi, quanti turisti si possono ospitare d'estate, se vi è possibilità di vendita di prodotti alla frasca, ecc.

È cosa ovvia che il calcolo va fatto in base al contadino medio, senza tener conto di sue ridotte o amplificate capacità, e sulla base dei metodi usuali di coltivazione e relativo livello di investimenti richiesti. Se uno si inventa come coltivare i tartufi, e ci riesce, non è che aumenta il valore dei masi della zona! Però se ne deve tener conto nella valutazione del suo maso.

Con questo non si vuol sostenere affatto che il metodo analitico vada accantonato; esso è del tutto valido di fronte a coltivazioni diffuse, su terreni uniformi, con precide documentazione su costi e ricavi. Ma quando la situazione è frammentata e variabile da caso a caso, conviene partire dalla valutazione sintetica (ben diversa da quella a naso o a spanne!), basata sulla verifica diretta dei beni e sulle informazioni commerciali raccolte nella specifica zona, per poi controllare i suoi risultati con quelli della valutazione analitica; se vi è troppo divario bisogna scoprirne la causa.

 

Considerazioni specifiche sul maso chiuso

Il maso è indivisibile e quindi il calcolo sul valore deve essere necessariamente globale e trascendere il valore delle singole particelle ed edifici.

Se il maso è un'azienda, una specie di società, che ha lo scopo di dare abitazione e vitto e lavoro ad un certo numero di persone, sfruttando un certo numero di beni che non possono essere sottratti a tale destinazione, deve essere chiaro che gli eredi non hanno alcun diritto individuale sui beni o su di una quota di beni. Essi sono solo titolari di quote di una società da cui possono uscire quando ancora capofamiglia vive, senza nulla ricevere, e senza speranza di ricevere qualche cosa, perché il capofamiglia può cedere tutto; quando il capofamiglia muore, la società deve continuare, un soggetto nuovo diventa il proprietario unico e perciò gli eredi legittimi hanno diritto solo al valore della quota della società.

 Questo non contrasta con la ratio del maso perché anche in caso di vendita il maso continua ad esistere e perciò per la collettività poco importa di chi sia purché sia un coltivatore. Se però la legge ha accettato che l'assuntore può essere un soggetto non coltivatore che poi può anche affittare il maso, che il proprietario può vender il maso a chi vuole, che è venuto meno principio per cui il maso deve restare in famiglia, che l'assuntore non è necessariamente predeterminato, ma che lo può diventare un erede qualsiasi o un coniuge entrato da pochi anni della famiglia, si dovrebbe dare atto che sul punto non vige più nessuna regola tradizionale: il maso è un bene indivisibile e, se gli eredi non si accordano sull'assuntore sul prezzo non vi è nulla di male a procedere con la vendita all'asta. Molto più logico stabilire requisiti per chi acquista al fine di evitare operazioni commerciali: chi acquista deve essere una persona fisica in grado di coltivare il maso.

Questa però non è la soluzione richiesta dalla tradizione in base alla quale si voleva favorire non solo la continuità del maso ma anche quella della famiglia, aiutando l'assuntore a pagare agli eredi somme sopportabili. Soluzione ottimale per equità perché il valore reale è dato dalla legge della domanda e dell'offerta e non dai calcoli e dalle formulette.

Queste esigenze, di cui avrebbe dovuto farsi carico il legislatore, non sono state recepite con la dovuta chiarezza e quindi si è generato un sistema in cui non si riesce bene a capire qual è lo scopo che si vuole ottenere. Si è cercato di rimediare usando differenti metodi di calcolo secondo le diverse situazioni, ma sono metodi inconsistenti ed ingiusti sul piano della realtà. Unico rimedio trovato è stato quello della divisione suppletoria rivolta ad evitare che l'assuntore si vendesse il maso. Però se egli deve pagare somme troppo alte non si ottiene davvero lo scopo voluto.

Inoltre nel momento in cui si accerta che gli eredi hanno diritto al valore dei beni, senza sconti, si deve concludere che l'assuntore non ha diritto ad alcuno sconto e che può essere aiutato solo per altre vie (dilazioni, mutui). Questa soluzione avrebbe il chiaro vantaggio di rendere superflua la divisione suppletoria, come già auspicato.

Attenzione però: tutte le belle teorie esposte non servono a nulla, se il mercato è falsato da situazioni locali; è inutile cercare di stimare un bene agricolo se, come già detto, il suo valore di mercato è decuplicato per la possibilità, più o meno legale, di utilizzarlo per altri scopi speculativi. Secondo le leggi dell'economia, che sono diverse dalle regole dell'estimo, il valore di mercato di un bene lo si ricava … mettendolo all'asta!

 

Alcune riflessioni sul metodo reddituale

Il metodo reddituale fonda il proprio presupposto sulla capacità dell'azienda (anche agricola) di generare un flusso reddituale riproducibile nel futuro. Il valore del capitale economico (W) viene dunque stimato, sul piano quantitativo, come funzione del reddito atteso (R). Per ciò che riguarda l'orizzonte temporale di riferimento, entro il quale si stima che l'azienda sia in grado di produrre reddito, è possibile ricorrere alla durata indefinita solo se si è dell’avviso che l’attività abbia un “futuro certo”.

Il settore dell’agricoltura, in generale, ha questa peculiarità; è difficile ipotizzare che un’azienda agricola non abbia oggettivamente un futuro.

Il valore dell'azienda (W) equivale al valore attuale di una rendita perpetua di rata costante (R), calcolata al tasso (i), determinato in base alla seguente formula:

valore attuale del reddito perpetuo:

W = R/i

R = reddito medio atteso

i = tasso di rendimento normale

La configurazione del reddito (R) rilevante ai fini dell'applicazione del metodo in questione è quello prospettico, idoneo a riflettere le condizioni di redditività attesa dell'azienda; medio, vale a dire che l'impresa è stabilmente in grado di produrre, e normalizzato, ossia depurato dalle componenti straordinarie non ripetibili e comunque estranee alla gestione, e in ogni caso determinato sulla base di soluzioni razionali e comunemente accettate dal punto di vista tecnico. Ciò comporta che nella configurazione del reddito (R) rilevante debba essere eliminata ogni componente negativa che non possa essere considerata ordinaria.

Vediamo un esempio: un’azienda agricola ha sostenuto costi per la sostituzione degli alberi da frutto per un importo di 100. Il reddito complessivo annuo, al netto dei costi di sostituzione, è pari a 500. Nella determinazione del reddito (R) si deve neutralizzare questa posizione contabile “straordinaria” e non ripetitiva (gli alberi da mele “si cambiano” solitamente ogni 20 anni).

 

Il reddito medio normale è calcolato con riferimento a condizioni normali di svolgimento della gestione e, in particolare, a condizioni di indebitamento, "regolari" e non eccezionali, in assenza di situazioni particolarmente favorevoli o sfavorevoli, e consegue da una ridistribuzione nel tempo dei componenti straordinari (plusvalenze e minusvalenze patrimoniali, rettifiche di costi e ricavi di precedenti esercizi, ecc.); il medesimo, inoltre, deve essere determinato al netto degli oneri tributari che gravano seppur potenzialmente su di esso. Si ricorda che la tassazione del settore agricolo in Italia è modesta e non paragonabile con la tassazione ordinaria di società che esercitano altre tipologie di attività.

Il tasso di attualizzazione (i) utilizzato incorpora il compenso derivante dal semplice trascorrere del tempo (sostanzialmente pari al rendimento riconosciuto ad attività prive di rischio), ed altresì l'adeguata remunerazione del rischio sopportato.

In particolare, il tasso di puro interesse, relativo agli impieghi di capitale a rischio nullo, è determinato sostanzialmente in riferimento a titoli di debito pubblico a scadenza non breve; peraltro, in periodi di inflazione, il medesimo deve essere depurato dall'erosione monetaria creata dalla componente inflazionistica e, pertanto, assunto nella sua configurazione di tasso reale.

La maggiorazione del tasso di puro interesse a titolo di premio per il rischio di impresa, è commisurata all’intensità del rischio generale d'impresa gravante sul capitale proprio, la cui stima dipende dalla valutazione dei seguenti fattori.

- condizioni generali: congiuntura economica, inflazione, situazione politico-sociale del paese ecc.

- condizioni settoriali: struttura del mercato di appartenenza, condizioni varie di instabilità del settore, ecc.

- condizioni aziendali: solidità patrimoniale, livello e composizione dell'indebitamento, situazione di liquidità con annesse condizioni di pagamento e di incasso, variabilità dei risultati operativi della gestione, parco clienti, ecc.

Il metodo reddituale, pur trovando un limite nell'aleatorietà delle stime sulle capacità reddituali dell'impresa che non sono altrettanto riscontrabili quanto le verifiche di valore corrente dei cespiti che compongono il patrimonio sociale, è indispensabile ad integrazione e confronto di stime effettuate con altri metodi, che spesso attribuiscono, ingiustificatamente, maggior rilievo al capitale investito piuttosto che alle capacità reddituali future di quel medesimo capitale.

L’applicazione del metodo reddituale nel settore dell’agricoltura, in particolare in Alto Adige, sconta i limiti legati alla limitata redditività del capitale investito. L’investimento in terreni non sempre trova una propria giustificazione nella redditività degli stessi; il ragionamento seguito dall’Investitore (in questo caso l’agricoltore) è di semplice mantenimento del valore patrimoniale del cespite (un terreno non perde solitamente di valore) e non di redditività.

 

Un esempio pratico

Il valore capitale della rendita è dato dal prodotto dell'importo della rendita annua per il relativo coefficiente. La capitalizzazione del reddito (rendita perpetua annua) è l'operazione matematica che si compie per determinare l'ammontare di un capitale, dividendo il reddito che il capitale produce per un saggio d'interesse (ad es, reddito annuo / 5%)

Se alcuni immobili rendono 30.000 €, il capitale che rende tale importo ad un dato tasso dal 2 al 5% è pari ad €:

30.000 / 0,02 = 1.500.000

30.000 / 0,03 = 1.000.000

30.000 / 0,04 = 750.000

30.000 / 0,05 = 600.000

Se gli immobili fossero degli appartamenti in affitto (3 appartamenti del valore di un milione di euro, con una rendita netta annua di 2500 € mensili, pari a 30.000 € annui, si vede che il corretto indice di capitalizzazione sarebbe il 3%.

Lo stesso calcolo relativo a terreni agricoli deve tener conto del fattore lavoro e perciò dai ricavi si devono detrarre i costi, e poi va ulteriormente dedotto il costo del personale, ivi compresi titolari e suoi familiari (salari, contributi, alloggio, vitto, ecc.), al fine di ottenere l'utile netto dell'azienda agricola.

In sostanza l'utile netto si avvicina a quanto si potrebbe ricavare affittando l'azienda, tenendo conto che l'affittuario deve spesso fare costosi investimenti per il cambio di culture, protezioni antigrandine, ecc., da ammortizzare per gli anni di durata del contratto, di solito 20-25 anni; essi quindi diminuiscono il canone annuo.

I terreni migliori per coltivazione di mele e uva raggiungono quotazioni di 400-500.000 € all'ettaro e due ettari di tali vigneti rendono almeno 50.000 €; quindi il tasso di capitalizzazione adeguato è quello del 5%.

Il calcolo è di difficile applicazione ad un maso di montagna in cui il reddito da allevamento di bestiame, latte, prodotti agricoli non pregiati, occasionale attività agrituristica, è modesto ed appena sufficiente a retribuire chi vi lavora.

Se il maso vale 1.000.000 sul mercato libero, ma rende solo 20.000 € una capitalizzazione al 5% porterebbe ad un valore di 400.000 € per l'assuntore, contro il corretto valore di un milione di € se si capitalizza il reddito al 2% .

Appare chiaro che il metodo di valutazione adottato per indennizzare gli eredi esclusi, non è più adeguato all'attuale mercato dei masi, il cui valore non è più puramente agricolo. Proprio per lo stretto rapporto fra reddito del maso e prestazioni lavorative di chi vi ha lavorato, l'indennizzo di "buona uscita" dall'azienda dovrebbe tener conto (ad esempio) anche della durata e qualità del lavoro svoltovi.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

REGIME FISCALE DEI TERRENI

DI UN MASO

 

 

I terreni generano redditi fondiari che si distinguono in redditi dominicali e redditi agrari; quello dominicale è la parte di reddito fondiario che remunera la proprietà, mentre quello agrario è la parte di reddito fondiario attribuita al capitale di esercizio e all'organizzazione nell'attività agricola. L'importo di questi redditi è indicato in catasto. Le variazioni nel reddito dominicale (ad es. per cambio di coltura) devono essere denunziate all'Ufficio Tecnico Erariale.

Detti redditi sono soggetti alla imposta diretta Irpef, ma attualmente esenti, almeno fino a tutto il 2021.

I terreni agricoli godono di particolari facilitazioni ed esenzioni per altre imposte indirette.

 

Trasferimento di terreni agricoli [125]

L'imposta di registro ordinaria è del 9%, per tutti i trasferimenti immobiliari, ad eccezione della casa adibita ad abitazione principale non di lusso, cui si applica l'aliquota del 2 per cento. Se però si tratta di terreni agricoli l'imposta è pari al 15% del prezzo del terreno (con un minimo di 1.000 euro) a cui si aggiungono le imposte ipotecarie e catastali per complessivi 100 euro. Pare che la maggiore imposta sia stata prevista per scoraggiare l’acquisto di terreni agricoli da parte di chi non intende dedicarsi all’agricoltura.[126]

Ed infatti queste imposte si applicano solo a chi non può avvalersi del regime agevolato previsto a favore degli agricoltori. Infatti, sia gli imprenditori agricoli professionali (comprese le società agricole di ogni tipo), sia i coltivatori diretti, possono avvalersi dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina (che è piccola solo di nome, perché non prevede un limite alla dimensione dei terreni acquistati), e pagare pertanto solo un’imposta dell’1% sul prezzo di acquisto.

Inoltre nel 1973 era stato introdotto un regime agevolato per gli acquisti di fondi rustici in territori montani, (all'art. 9, 2° comma, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 601), così formulato:

Nei territori montani i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto - coltivatrici, singole o associate, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e sono esenti dalle imposte catastali. Le stesse agevolazioni si applicano anche a favore delle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni.

Queste agevolazioni erano venute meno a partire dal 1° gennaio 2014. Ora la legge L.11 dicembre 2016, n. 232, art. 1 comma 47, le ha ripristinate e quindi si è ritornati alla tassa fissa.

A sensi del primo comma del medesimo art. 9 DPR 601/1973 sono considerati territori montani;

- i terreni situati ad una altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare e quelli rappresentati da particelle catastali che si trovano soltanto in parte alla predetta altitudine;

- i terreni compresi nell’elenco dei territori montani compilato dalla commissione censuaria centrale;

- i terreni facenti parte di comprensori di bonifica montana.

Le agevolazioni non sono applicabili ad ogni trasferimento, ma solo

a) nel caso di trasferimenti di fondi rustici nei territori montani a favore di un coltivatore diretto (persona fisica o società) (in quanto trasferimenti fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate);

b) nel caso di trasferimenti di fondi rustici nei territori montani anche a favore di un imprenditore agricolo a titolo professionale (persona fisica o società, per effetto dei rinvii operati dall'art. 1 , co. 4 e dall'art. 2 comma 4 D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 modificato con D. Lgs. 27 maggio 2005, n. 101, in base ai quali all’ I.A.P. iscritto alla gestione previdenziale ed assistenziale ed alla società qualificabile come I.A.P. sono riconosciute le agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta stabilite dalla normativa vigente a favore dei coltivatori diretti, e quindi anche le agevolazioni sopra viste).

Per espressa previsione normativa dette agevolazioni si applicano anche alle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni.

      Queste agevolazioni sono autonome, stante i diversi presupposti, rispetto a quelle a suo tempo dettate dalla legge 6 agosto 1954 n. 604 in tema di agevolazioni per la formazione e l’acquisto della piccola proprietà contadina ora prevista dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25). La normativa della legge montana ricomprende ogni e qualsiasi acquisto posto in essere da un coltivatore diretto, anche al di fuori delle condizioni poste dalla previgente legge 604/1954.

Per effetto della riviviscenza delle agevolazioni già previste dall’art. 9, comma secondo, DPR. 601/1973, prevista dalla legge di stabilità 2017, per la registrazione di atti comportanti il trasferimento di fondi rustici siti nei territori montani, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici a favore di soggetti (persone fisiche o società agricole) che rivestano:

-     la qualifica di coltivatore diretto

-     la qualifica di imprenditore agricolo professionale (I.A.P.)

ovvero a favore di cooperative agricole che conducono direttamente i terreni si applicano le seguenti imposte:

Imposta di registro      Fissa (attualmente € 200)

Imposta di trascrizione Fissa (attualmente € 200)

Imposta catastale      Esente

 

Ricordiamo che se non si gode di agevolazioni, le imposte di registro per l’acquisto di terreni agricoli si applicano, in prima battuta, sul prezzo concordato tra le parti per la compravendita. L’amministrazione finanziaria può verificare la congruità del valore dichiarato rispetto al valore normale (cioè al valore di mercato) ed eventualmente accertare un maggior valore su cui applicare l’imposta. Oggi non è più previsto alcun limite a questo potere di verifica (come invece avveniva fino al 2006, quando era in vigore il meccanismo noto come valutazione automatica, che precludeva l’accertamento di un maggior valore del terreno agricolo quando il prezzo dichiarato era superiore al valore che si otteneva moltiplicando la rendita catastale per i coefficienti stabiliti dalla legge).

 

Norme speciali per il maso chiuso

Nel caso del maso chiuso si applicano comunque anche le agevolazioni della piccola proprietà contadina (art. 2, comma 4-bis, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25[127], che prevede l’applicazione dell’imposta di registro ed ipotecaria nella misura di euro 200 ciascuna e dell’imposta catastale dell’1% a condizione che detti soggetti si dedichino abitualmente alla coltivazione del maso chiuso (Agenzia delle entrate - Risoluzione 01 febbraio 2017, n. 15/E).[128]

Al citato primo periodo del comma 4-bis, l'art. 1, comma 906, della Legge n. 208 del 2015 (Legge di stabilità 2016) ha aggiunto il seguente: Le agevolazioni previste dal periodo precedente si applicano altresì agli atti [129] di trasferimento a titolo oneroso di terreni agricoli e relative pertinenze, posti in essere a favore di proprietari di masi chiusi di cui alla legge della provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17, da loro abitualmente coltivati. Gli onorari dei notai per gli atti suindicati sono ridotti alla metà. I predetti soggetti decadono dalle agevolazioni se, prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente.[130]

Con riferimento all’applicazione di tale disposizione, l’Amministrazione ha pertanto ritenuto che la norma in argomento abbia inteso estendere le agevolazioni anche ai proprietari di maso chiuso, a prescindere dalla circostanza che gli stessi rivestano la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale e risultino iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale.

La norma prevede, infatti, quali condizioni cui subordinare l’agevolazione in esame, che l’acquirente sia proprietario di un maso chiuso, di cui alla legge della provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 e che si dedichi alla coltivazione abituale dello stesso. Si tratta di requisiti soggettivi differenti rispetto a quelli previsti per la piccola proprietà contadina, e, dunque, con la norma in argomento il legislatore ne ha inteso garantire l’applicabilità altresì ai proprietari di maso chiuso.

La norma non richiede che i terreni che godono della agevolazione fiscale, siano aggregati al maso; possono rimanere fondi volanti.

 

A queste agevolazioni, tanto per fare un po' di confusione, se ne è affiancata una ulteriore; infatti, il legislatore, come già anticipato, con la Legge 232/ 2016, la cd. legge di Bilancio per il 2017, a sorpresa, ha reintrodotto un’ulteriore agevolazione precedentemente abrogata, ancor più favorevole al contribuente, essendo previsto, ai sensi dell’articolo 9, D.P.R. 601/1973, l’assolvimento, per le compravendite di fondi ubicati in determinate zone montane, dell’imposta di registro e di quella ipotecaria in misura fissa, mentre per quella catastale nulla è dovuto. L'agevolazione si applica:

a) ai proprietari di masi chiusi , da loro abitualmente coltivati (comma 906) e

b) al coniuge e ai parenti in linea retta [del titolare del maso], purché già proprietari di terreni agricoli e conviventi di soggetti aventi i requisiti richiesti per l’applicazione delle norme sulla piccola proprietà contadina (comma 907).

Il comma 907 stabilisce poi che le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, sono applicabili anche a favore del coniuge o dei parenti in linea retta, purché già proprietari (o comproprietari) di terreni agricoli e conviventi di soggetti aventi i requisiti di cui al medesimo articolo 2, comma 4-bis. Vale a dire che il familiare coadiuvante, quale soggetto dedito alla coltivazione, è a sua volta, e semplicemente per tale motivo, coltivatore diretto e non un mero prestatore d’opera. Non si capisce se l'ipotesi di decadenza in caso mancata coltivazione del terreno, si applichi anche in questo caso. In questo modo viene data la possibilità, soprattutto pensando alle previsioni di cui al comma 907, di creare e sviluppare, anche senza obbligatoriamente essere impegnati lavorativamente nell’impresa, un’azienda strutturata.

Nel caso dei masi chiusi, tale intento è insito nella stessa norma regolatrice, il cui scopo è prioritariamente quello di preservare l’unitarietà e la continuità aziendale.

E proprio in tale contesto, si è innestata, a decorrere dal 2016, quest’ulteriore agevolazione, operante sul piano fiscale, che consente di applicare le previsioni di cui all’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009 integrandone il contenuto.

Vi era il dubbio se fossero sufficienti i requisiti introdotti dal comma 906 o se, al contrario, debbano ricorrere anche quelli ordinariamente previsti dal comma 4-bis. L’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, prevede infatti le agevolazioni esclusivamente per gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, posti in essere a favore di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale.

L’Agenzia delle Entrate, in maniera più che condivisibile, stante il dato letterale della norma, ha avuto modo di precisare come lo scopo sia quello di estendere le agevolazioni anche ai proprietari di maso chiuso, a prescindere dalla circostanza che gli stessi rivestano la qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale (IAP) e risultino iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale.

I requisiti soggettivi richiesti si differenziano pienamente rispetto a quelli previsti per la piccola proprietà contadina, con la conseguenza immediata che il Legislatore ne ha inteso garantire l’applicabilità “altresì” ai proprietari di maso chiuso. Non è richiesto, in particolare, che i terreni siano in zona montana.

Quindi: esenzione anche per l'imposta catastale!

 

Una ulteriore esenzione è contenuta nel comma terzo dell'art. 35 della L. 24 novembre 2000, n. 340 in cui si stabilisce che Tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi ai procedimenti, anche esecutivi, cautelari e tavolari relativi alle controversie in materia di masi chiusi, nonché quelli relativi all'assunzione del maso chiuso, in seguito all'apertura della successione, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro, da ogni altra imposta e tassa e dal contributo unificato.

 

È appena il caso di ricordare che per l'art. 19 della Legge n. 74/1987 tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970 n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa. Ciò vale quindi per ogni trasferimento, concessione o rinunzia relativi ad immobili, a diritti reali e a oneri reali, in relazione a divorzio o separazione.

 

Trattamento degli atti di ricomposizione e riordino fondiario (L. 28 dicembre 2015, n. 208 Art. 1 comma 57). Tutti gli atti e i provvedimenti emanati in esecuzione dei piani di ricomposizione fondiaria e di riordino fondiario promossi dalle regioni, dalle province, dai comuni e dalle comunità montane sono esenti da imposta di registro, ipotecaria, catastale e di bollo.

 

Imposta di successione

In base all'art. 3, c.4-ter del D.Lgs. 346/1990 4-ter, i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse[131], di quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta di successione. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l'esercizio dell'attività d'impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all'atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell'imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall' articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l'imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata.

 

Scambio di manodopera tra piccoli imprenditori agricoli.

L'argomento non è propriamente fiscale, ma concerne comunque i contributi sociali. Lo scambio di manodopera tra piccoli imprenditori agricoli è un istituto regolato dall’art. 2139 del codice civile, che recita: Tra piccoli imprenditori agricoli è ammesso lo scambio di manodopera o di servizi secondo gli usi. Gli usi sono quelli concretamente seguiti in un determinato ambiente agricolo e poco importa che siano o meno riconosciuti ufficialmente, come erroneamente si scrive in alcuni testi. Per piccolo imprenditore si intende, ai sensi dell’art. 2083 c.c., il coltivatore diretto che esercita un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.

Non è consentita la corresponsione di compensi, ma solo lo scambio di lavoro. Non occorre il pagamento di contributi o di assicurazioni.

Secondo l'INPS, le parti dovrebbero fare un contratto scritto con data certa! È una pura sciocchezza non prevista dalla legge e contraria allo spirito di essa. Figurarsi se due contadini che all'osteria si mettono d'accordo per aiutarsi il giorno dopo per mettere il fieno nel fienile, devono fare contratti scritti e con data certa!

Gli usi locali regolano alcune di queste situazioni. Il cap. VII, Raccolta Usi Camera di Commercio regola:

Art. 21 - Aiuto sporadico e occasionale durante la vendemmia.

Per "aiuto sporadico e occasionale durante l'attività di vendemmia" si intende l'attività non retribuita di vendemmia manuale. L'elemento motivante è il legame (di parentela o di conoscenza) tra il fornitore delle prestazioni e l'azienda agricola. Di norma ciò avviene in occasione di un evento tradizionale e culturale, o della sistemazione del raccolto dell'anno. L'aiuto durante il raccolto comprende per lo più anche il ristoro con pasti comuni, e si conclude con un momento in compagnia.

Art. 23 - Scambio di attività lavorative tra piccole imprese agricole.

È generalmente consentito lo scambio di manodopera tra piccoli imprenditori agricoli, sia coltivatori diretti che imprenditori agricoli che svolgono l'attività agricola anche in via accessoria purché non occasionale e non finalizzata al mero consumo personale.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

IL SISTEMA TAVOLARE

 

 

Per chi non vive in Sudtirolo, o in altre zone ove vige il sistema tavolare, è importante comprendere come funziona il sistema dei registri immobiliari in provincia di Bolzano (nonché di Trento, Trieste, Gorizia, e in 21 comuni delle provincie di Udine, Belluno e Brescia). In tale sistema, il titolo recante trasferimento o costituzione di diritti reali, produce effetti obbligatori immediati, mentre l'iscrizione nel libro fondiario rappresenta il modo d'acquisto, il momento costitutivo, che determina l'effetto traslativo o costitutivo del diritto e fornisce la prova certa della titolarità e consistenza dei diritti.

 

Il sistema delle Conservatorie

Nel resto di Italia vige il sistema delle conservatorie immobiliari e della trascrizione degli atti.

La gestione dei Registri Immobiliari è di competenza dell’Agenzia delle Entrate, Ente Pubblico non economico istituito nel 2001 e sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che mantiene la responsabilità di indirizzo politico. L’Agenzia agisce in piena responsabilità gestionale e gode di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria.

A seguito dell’incorporazione dell’ Agenzia del Territorio, avvenuta il 1° dicembre 2012, l’Agenzia delle Entrate ha aggiunto ai suoi tradizionali compiti istituzionali in materia di entrate tributarie, la gestione delle attività e dei servizi fino ad allora svolti dall’Agenzia incorporata ed in particolare, oltre al complesso sistema di pubblicità immobiliare, la gestione del patrimonio cartografico catastale, la rilevazione ed elaborazione delle informazioni tecnico-economiche relative ai valori immobiliari, al mercato degli affitti e ai tassi di rendita (Osservatorio del Mercato Immobiliare), i servizi estimativi nonché l’istituzione e l’aggiornamento dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, creata allo scopo di attestare, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati catastale ed ipotecaria col fine di individuare, per ciascun immobile, il soggetto titolare di diritti reali.

Tale sistema si fonda sul principio posto dall’art. 1376 c.c. secondo cui i diritti reali si trasmettono e si acquistano al momento in cui si constata che vi è il consenso delle parti. La trascrizione del titolo ha quindi la funzione di rendere opponibile ai terzi la nuova situazione e consistenza e di un diritto reale immobiliare, risolvendo in tal modo possibili conflitti tra diversi acquirenti dello stesso bene. Anche una ipoteca si costituisce solo mediante l'iscrizione che fissa il grado della ipoteca. Modifiche o estinzioni di trascrizioni e annotazioni si eseguono mediante annotazioni.

I registri immobiliari sono gestiti da un Conservatore che esegue il controllo giuridico dei titoli e delle domande presentatigli.

I registri sono tenuti facendo le dovute scritture in capo ad una persona fisica o giuridica; ciò significa che le trascrizioni, iscrizioni o annotazioni sono eseguite a favore del soggetto che acquista il diritto e contro il soggetto che lo perde.

La trascrizione si effettua presso l’ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni immobili.

Attualmente mediate l'informatizzazione dei dati, si procede ad abbinare i dati della Conservatoria con quelli del catasto e quindi dai dati catastali si potrà risalire ai soggetti che hanno diritti su una data particella. È prevedibile che ci vorrà molto tempo per completare l'opera con inserimento dei vecchi registri scritti a penna e con la creazione di un catasto che rispecchi la realtà. Una volta esso era uno strumento finalizzato solo al calcolo della rendita, e cioè della imposizione fiscale, e non aveva (e non ha!) alcun valore giuridico. Nessuno si preoccupava degli errori del Catasto, neppure lo Stato, in quanto il suo unico interesse era nella determinazione della rendita. E il privato aveva spesso interesse a nascondere le variazioni di consistenza. Si é calcolato che l'85% dei dati fosse sbagliato!

Attualmente si sta cercando di rimediare mediante l'obbligo per i notai di non stipulare atti senza aver prima verificato la perfetta identità tra i dati dei registri immobiliari relativi a beni immobili e le schede catastali che riportano gli stessi tipi di dati.[132]

L’istanza (nota di trascrizione) da presentare in Conservatoria dovrà contenere tutti i dati che sono previsti dal legislatore nell’art. 2659 c.c. (cognome e nome, luogo data di nascita delle parti, natura e situazione dei beni cui si riferisce, ecc.). Deve inoltre allegare il titolo di cui si chiede la trascrizione, da produrre in copia autenticata (se si tratta di atti pubblici, sentenze o domande giudiziali) o in originale se si tratta di scritture private. Solo per acquisti mortis causa, si richiede il certificato di morte del defunto e una copia o un estratto autentico del testamento ove presente.

 

Il sistema del libro tavolare

Nel sistema tavolare i negozi giuridici sopra visti, anche se stipulati di fronte ad un notaio, hanno solo valore obbligatorio fra parti. Diventano efficaci (effetto costituivo) solo nel momento in cui vengono prenotati e trascritti nei registri tavolari. La trascrizione fa stato fra le parti e verso i terzi e non sono trascrivibili altri atti incompatibili con il primo (ad esempio una seconda vendita ad un diverso acquirente; una ipoteca verrà iscritta con un grado inferiore). Ogni iscrizione può avvenire solo con decreto del giudice tavolare, previo controllo del titolo in base al quale è richiesta l'iscrizione. Egli controlla anche che vi sia continuità fra i soggetti: non si può iscrivere un diritto se il cedente non risulta essere iscritto come proprietario (e così analogamente, per ogni diritto intavolabile). Tutto ciò che viene iscritto è efficace nei confronti di chiunque e tutto ciò che non è iscritto è come se non esistesse.

Al tavolare, chiunque vanti diritti ereditari può ottenere l’intavolazione del diritto di proprietà o altro diritto reale pervenuto a titolo di successione; è necessario presentare un certificato di eredità, ovvero un decreto emesso dal Tribunale secondo le regole dettate in materia di volontaria giurisdizione. Il certificato di eredità così emesso, fa presumere ad ogni effetto la qualità di erede (art. 21 R.D.), ovvero stabilisce, a seguito di un accertamento giudiziario, una presunzione legale della qualità di erede. Analoghe disposizioni valgono per l’emissione del certificato di legato.

Caratteristica fondamentale del sistema tavolare, e che lo rende superiore a quello dei registri immobiliari, è la concordanza tra i dati catastali e quelli tavolari.

Il fatto che la iscrizione abbia effetto costitutivo fa sì che i terzi non devono controllare ciò che dice l'atto stipulato fra le parti, ma per loro vale ciò che è intavolato: il decreto tavolare equivale al dispositivo di una sentenza. Da ciò l'importanza che l'istanza tavolare venga redatta con la massima accuratezza e che il Conservatore controlli bene il contenuto dell'atto. Se un privato subisce un danno, notaio e/o conservatore sono responsabili per esso.

 

Il sistema tavolare in Tirolo (comprendente l'attuale Regione Trentino-Alto Adige), fu regolamentato dalla legge austriaca17 marzo 1897, B.L.P. n. 9, e relative norme di attuazione. Era stato già recepito dal codice civile universale austriaco nel 1811, che lo rendeva obbligatorio per tutte le province dell’Impero, disciplinandolo poi con la Legge generale 25 luglio 1871 B.L.I n. 95; legge richiamata, con modifiche nel nostro ordinamento giuridico dal R.D. 28 marzo 1929, n. 499 (Disposizioni relative ai libri fondiari dei territori delle Nuove Provincie). Questa legge è stata ampiamente rimaneggiata, dalla L. 29 ottobre 1974, n. 594 e, da ultimo con la L.17 giugno 2021, n. 87, per adeguarla ai cambiamenti della legge civile[133].

Importante la legge regionale 8 maggio 1982 n.6, mod. dalla l.r. 16 maggio 1991 n.12 che ha introdotto una procedura semplificata (c.d. procedimento provocatorio) per contestare iscrizioni tavolari relative ad escorpori o a servitù non più esercitate.[134]

 

Come si utilizzano i libri tavolari

Riportiamo qui le informazioni essenziali su come utilizzare i libri fondiari e relative visure, precedenti alla informatizzazione del catasto e del tavolare; informazioni utili per consultare vecchi documenti o per controllare che i dati informatici siano corretti. Si tenga presente che fino al passaggio all'Italia i registri erano compilati a mano in Kurrentschrift tedesca, ormai leggibile da ben pochi!

Nel sistema tavolare della Provincia di Bolzano (unica in cui si deve tener conto dei masi chiusi) un immobile viene identificato con una stringa di dati che lo identifica con sicurezza. Sono i dati contenuti nel libro maestro che per ogni comune catastale raccoglie le partite catastali.

Col nome libro fondiario o tavolare si designa quel complesso di registri, d’atti e documenti, condotti in lingua italiana e tedesca, che raccoglie e riporta per ogni comune catastale tutti gli immobili e lo stato giuridico con espressa menzione delle variazioni di fatto e di diritto.

Il libro tavolare[135] è suddiviso in partite tavolari, destinate a contenere le iscrizioni relative ad una o più particelle, il cosiddetto corpo tavolare.

Per indicare un immobile si inizia con l'indicazione del numero della Partita tavolare PT, che può essere nella parte I (masi chiusi) o seconda II (immobili non inseriti in un maso). Quindi, per un maso si avrà, ad es., PT xxxx/I. La PT riunisce i beni di proprietà di uno o più soggetti (ad esempio, la P.T. 1 può riunire tutti i beni di sola proprietà di Tizio, mentre se Tizio è comproprietario di altri beni con Caio, vi sarà una P.T. 2 che li riunisce.

Segue poi l'indicazione del Comune Catastale CC il quale non corrisponde necessariamente al comune amministrativo; si avrà quindi, ad es. C.C. Bolzano con i numeri delle particelle catastali suddivise in particelle fondiarie (p.f.) per i terreni e particelle edificiali (p.ed.) per gli immobili. Perciò la stringa finale diventa, ad esempio

PT 5432/II in C.C. Bolzano, p.f. 24, 25, 26 e p. ed. 18; si può anche invertire e scrivere:

P.f. 24, 25, 26 e p.ed. 18, in C.C. Bolzano, PT 5432/II

Per i masi chiusi tutti gli immobili vengono elencati in uno o più fogli di mappa numerati. In un condominio vi è una particella fondiaria entro cui vi sono le p. ed. delle singole unità immobiliari. Con la digitalizzazione del catasto e dei libri fondiari, i dati sono stati riuniti e compaiono anche i dati relativi a coltura, estensione e rendite degli immobili; sono dati teorici privi di valore probatorio.

Il libro maestro, suddiviso in due ripartizioni, è formato per ogni singolo comune catastale ed è la parte più importante del Libro fondiario.

Nella ripartizione contrassegnata con il numero romano “I”, sono compresi tutti gli immobili formanti i masi chiusi e che pertanto soggiacciano, per qualsiasi modifica della loro composizione, alle disposizioni della legge sui masi chiusi. In Sudtirolo, pertanto, tutte le partite tavolari dei masi chiusi sono contraddistinte nei Libri fondiari con il numero romano “I”.

Nella ripartizione del libro maestro contrassegnata con il numero romano “II”, sono contenuti tutti i rimanenti immobili, non costituiti in maso chiuso. Ogni partita tavolare si articola in tre fogli contraddistinti da una lettera dell’alfabeto: A, B e C.

Il foglio A è detto foglio di consistenza ed è a sua volta distinto in due sezioni:

a) foglio A1 riportante l’intestazione della partita tavolare con indicazione del numero, della sezione, del comune catastale, del distretto (già mandamento giudiziario), del numero della o delle particelle costituenti il corpo tavolare, del numero del foglio di mappa contenente le singole particelle, della località, della designazione della coltura del fondo e della qualità dell’edificio;

b) foglio A2 o foglio dei movimenti che riporta le iscrizioni che giustificano le modifiche delle particelle, la descrizione di tutte le porzioni e relative parti comuni quando un edificio viene suddiviso in porzioni materiali (p.m.), nonché le evidenze dei diritti attivi, le consortalità fra particelle, le proprietà congiunte, relative alle particelle iscritte nel foglio A1. Ogni movimento riceve un numero progressivo e viene detto posta e vengono segnalati i collegamenti con altre annotazioni tavolari (art. 103 L. Tav.).

Vi è quindi il foglio B, detto foglio della proprietà, o foglio di proprietà, che riporta il nome del proprietario o dei proprietari con la rispettiva quota e le annotazioni relative ad eventuali limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà quali l'interdizione o il fallimento. Indica l'atto con il quale è stata intavolata la proprietà in capo al titolare, il numero di G.N. dell'atto e la sua tipologia (contratto, donazione, certificato di eredità, ecc.). Degli atti viene conservata copia autentica.

L’ultima parte è rappresentata dal foglio C detto foglio degli aggravi. Nello stesso sono riportate le iscrizioni dei diritti reali che gravano il corpo tavolare (servitù passive, diritti di usufrutto, uso, abitazione, ecc.), nonché le ipoteche, sequestri, vincoli.

Tutte le partite tavolari in un comune catastale concorrono a costituire il libro fondiario di quel comune. La partita tavolare può subire delle variazioni sia soggettive (es. cambio di proprietario) che oggettive (ad es. escorporazione di una particella) o può essere creata ex novo proprio a causa di una di queste variazioni.

Gli atti da inserire vengono registrati in rigido ordine cronologico attribuendo loro il numero di libro giornale (G.N.) in base a cui si determina il momento di efficacia costitutiva dell'atto.

Per alcuni atti che produrranno effetti costituivi solo se confermati da successi eventi, eventi che non devono essere pregiudicati da annotazioni intermedie, come i contratti preliminari o le annotazioni di lite, si procede alla prenotazione con l'attribuzione di un G.N. con una numerazione autonoma annuale; è detto, in gergo, il piombo.

È pure tenuto per ogni comune catastale il registro reale che riporta, in due distinti elenchi, le particelle edificiali e le particelle fondiarie con indicazione per ognuna della superficie e del numero della partita tavolare in cui è contenuta.

Il sistema tavolare è un sistema a base tipicamente reale, esso ha riguardo non alle persone dei proprietari o dei creditori, bensì sempre ed unicamente all’immobile che forma oggetto dei diritti. È quindi semplice e sicura la consultazione, facilitata dagli indici delle particelle (registri reali), dei proprietari, dei creditori. Pertanto, per conoscere le vicende giuridiche di un immobile (chi ne è o ne è stato il proprietario, di quali ipoteche o servitù sia gravato, ecc.), sarà sufficiente conoscere il numero della relativa particella e quindi risalire attraverso il succitato Registro Reale alla partita tavolare che la contiene, venendo così immediatamente a conoscenza di tutte le iscrizioni che la riguardano. L’operazione risulta tanto semplice quanto sicura, ed esonera l’utente da quelle complesse e poco affidabili ricerche condotte partendo dal nome del proprietario, come avviene presso le Conservatorie dei registri immobiliari del sistema della trascrizione. Quando sarà completata l'informatizzazione del catasto italiano e dei registri immobiliari la ricerca nei due sistemi sarà sostanzialmente simile.

 

Tipi di iscrizioni

Nel libro fondiario non vengono iscritti dei titoli giuridici, ma solamente dei diritti e cioè i diritti reali, tranne alcuni diritti personali ammessi espressamente dal libro fondiario (ad. es. il cosiddetto Ausgedinge). La L. 24 novembre 2000, n. 340, art. 34 ha introdotto le regole per l'intavolazione dei contratti preliminari (artt. 60 bis e segg. L. tavolare).

Nelle iscrizioni tavolari si distingue tra intavolazione, prenotazione ed annotazione.

Le intavolazioni sono acquisti incondizionati di diritti oppure cancellazioni incondizionate od estavolazioni che hanno per effetto l’acquisto, la modificazione o l’estinzione di diritti tavolari.

Le iscrizioni sottolineate in rosso significano la cancellazione dell’iscrizione stessa, mentre la sottolineatura tratteggiata in rosso indica una litispendenza.

L’intavolazione avviene, come visto, nel libro maestro.

La prenotazione (acquisto condizionato di diritti o cancellazione condizionata), di cui abbiamo già detto, ha per effetto l’acquisto, la modificazione o l’estinzione di diritti tavolari, a condizione che vengano in seguito giustificate e impedisce che un diritto reale già esistente, ma che non può essere ancora intavolato, venga vanificato dall’iscrizione di un terzo.

 

Oggetto della intavolazione e della prenotazione

I diritti elencati in modo vincolante dall’art 9 della legge generale sui libri fondiari e qui sotto riportati, rappresentano i diritti che possono essere oggetto di un’intavolazione o di una prenotazione se si riferiscono a beni immobili:

• diritto di proprietà,

• servitù (servitù di passo ecc.),

• diritto di usufrutto, salvo quello previsto all’ articolo 20, lettera a.) della legge generale sui libri fondiari (si tratta dell’usufrutto legale spettante all’esercente la patria potestà),

• diritto d’uso,

• diritto di abitazione,

• diritto di enfiteusi,

• diritto di superficie,

• diritto di ipoteca,

• i privilegi per i quali leggi speciali richiedano l’iscrizione nei registri immobiliari,

• oneri reali

Pertanto nel libro fondiario sono registrati i diritti di proprietà e tutti diritti reali sia di godimento che di garanzia, purché correlati ad un’immobile come pure le servitù reali.

L’unica eccezione è rappresentata dall’usufrutto legale previsto dall’art. 324 c.c. (che però ai sensi dell’art. 20 lettera a. della legge generale sui libri fondiari può essere oggetto di un’annotazione).

 

Annotazioni

Oltre alle iscrizioni degli acquisti condizionati oppure incondizionati di diritti di proprietà e di diritti reali di godimento o di garanzia, soggiacciano alla pubblicazione nel libro fondiario anche altri atti e fatti giuridici. Con la loro annotazione questi atti e fatti si fanno valere nei confronti di terzi e non possono essere ignorati. Si tratta di una forma di pubblicità-notizia molto simile al sistema della pubblicità immobiliare.

Con le annotazioni però non si costituiscono dei diritti reali sui beni immobiliari. L’unica funzione delle annotazioni tavolari è quella di informare i terzi circa l’esistenza di determinate situazioni giuridiche, limitanti la libera disponibilità dei diritti iscritti nel libro fondiario.

Le disposizioni della legge generale sui libri fondiari prevedono una lunga serie d’atti e fatti giuridici, che sono oggetto d’annotazione.

Sia il legislatore statale che quello locale usa le annotazioni tavolari per evidenziare la presenza di vincoli. Come per esempio nei casi seguenti:

• Annotazioni del vincolo storico artistico sulla base di una deliberazione della giunta provinciale nel caso che un edificio abbia particolare valore artistico o storico.

• Annotazioni dei diritti d’uso civico con l’esatta indicazione delle particelle gravati da usi civici.

Limitazioni per la vendita d’immobili che sono stati acquistati con contributi pubblici (edilizia agevolata).

• La L.24 novembre 2000, n. 340 ha regolato l'annotazione dei contratti preliminari e dei contratti sottoposti a condizione.

L'art. 20 L. tavolare contiene l'elenco completo delle situazioni giuridiche da annotare: i fatti giuridici relativi allo stato ed alla capacità delle persone o quelli da cui derivano limitazioni alla facoltà di disporre del patrimonio, come la minore età, con l'indicazione, quando occorra, dell'usufrutto legale spettante all'esercente la patria potestà ai sensi dell'articolo 324 del codice civile, l'interdizione, l'inabilitazione, l'emancipazione, la dichiarazione di fallimento, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo o all'amministrazione controllata, la liquidazione coatta amministrativa, la giacenza di eredità, la revoca del certificato di eredità o di legato, la revoca della procura, con l'effetto che i terzi non possono opporre l'ignoranza di tali circostanze, ecc. ecc.

 

Le formalità

Presso ogni tribunale e sezione distaccata di tribunale è costituito un ufficio tavolare, incaricato della conservazione dei libri fondiari, cui è preposto un giudice (giudice tavolare) designato dal presidente del tribunale.

Ogni ufficio è competente alla conservazione dei libri fondiari riguardanti gli immobili che sono situati, in tutto o nella loro parte preminente, nella rispettiva circoscrizione. Il procedimento è alquanto semplice.

La domanda di iscrizione presentata al Giudice Tavolare, deve esattamente indicare la Partita Tavolare con la stessa designazione che risulta dal libro fondiario e, occorrendo, l’indicazione delle particelle relativamente alle quali deve eseguirsi l’iscrizione.

 Il giudice può ordinare l’iscrizione solo nei limiti di quanto chiesto con la domanda anche se il titolo possa giustificare una domanda più ampia (caso questo che può verificarsi, ad esempio, quando il contratto contenga il trasferimento di più particelle e la domanda non le comprenda tutte).

Il giudice tavolare ordina l’iscrizione con decreto solo se concorrono le seguenti condizioni:

1) se dal libro fondiario non risulta alcun ostacolo alla richiesta iscrizione;

2) se non sussiste alcun giustificato dubbio sulla capacità personale delle parti di disporre dell’oggetto a cui l’iscrizione si riferisce, o sulla legittimazione dell’istante;

3) se la domanda risulta giustificata dal contenuto dei documenti prodotti;

4) se i documenti prodotti hanno tutti i requisiti di legge per l’iscrizione richiesta.

Nella prassi il soggetto principale non è il giudice, che fa il passacarte, ma il Conservatore che prepara il decreto; il giudice firma tutti quelli per i quali il Conservatore o il richiedente non gli segnala problemi o dubbi. Di questa finzione ha preso atto il legislatore che con L. 24 novembre 2000, n. 340 ha stabilito che Il giudice tavolare, qualora lo ritenga opportuno, può delegare ai conservatori dei libri fondiari preposti ai relativi uffici, l'emissione del decreto tavolare per determinati atti o categorie di atti.

Emanato il decreto, il conservatore tavolare procede all’esecuzione dell’iscrizione secondo il contenuto del provvedimento, indicando il giorno, il mese e l’anno della domanda nonché il numero progressivo col quale la domanda è stata contraddistinta al momento della sua presentazione. Detto numero progressivo (normalmente indicato con “GN ……”) determina il grado della iscrizione nel senso che tutte le formalità, eventualmente pregiudizievoli e riferite allo stesso bene, richieste con “GN” successivo non producono effetto alcuno, essendo successive in grado. A tal fine al momento della presentazione della domanda, il conservatore tavolare, oltre ad apporre sulla stessa la data e il “GN”, appone lo stesso “GN” nella Partita Tavolare corrispondente (in gergo si dice che è stato apposto il piombo).

L’indagine che il giudice tavolare deve compiere è di carattere formale (non potendo entrare nel merito) del tutto analoga a quella compiuta dal Conservatore dei Registri Immobiliari, con la sola differenza che quest’ultimo non è tenuto – né sarebbe in grado di farlo – a controllare la cd concordanza tavolare, cioè vedere se l’alienante è veramente investito del diritto negoziato relativo al bene negoziato.

Contro i decreti del giudice tavolare è ammesso il reclamo al tribunale in composizione collegiale, del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato. Il reclamo è un vero e proprio mezzo di gravame per far valere, davanti al giudice collegiale, eventuali vizi del provvedimento impugnato.

Il collegio delibera con decreto in camera di consiglio, sulla base degli atti presentati al giudice tavolare. Il procedimento sul reclamo è pertanto, un procedimento rigorosamente documentale; non è prevista la presenza delle parti. Il decreto camerale, con il quale il tribunale decide sul proposto reclamo, è comunicato d'ufficio al giudice tavolare che ha pronunciato il provvedimento impugnato, per eseguire le notifiche del decreto a tutti gi interessati. Contro il decreto del tribunale, quando non sia conforme a quello del giudice tavolare, è ammesso reclamo alla corte d'appello nel termine di trenta giorni dall'avvenuta notifica.

 

Piccolo glossario

accatastamento

Katastereintragung

aggravio

Belastung, Last

annotazione

Anmerkung

annotazione dell' ordine del grado

Anmerkung der Rangordnung

annotazione di lite

Streitanmerkung, Klageanmerkung

apertura della nuova partita tavolare

Eröffnung der neuen Grundbuchseinlage

arativo

Acker

cancellazione delle iscrizioni

Löschung der Eintragungen

certificato di eredità

Erbschein

comune catastale "C.C."

Katastralgemeinde "K.G."

conservatore tavolare

Grundbuchsführer

consultazione del libro fondiario

Einsichtnahme in das Grundbuch

contemporaneità di grado

Ranggleichzeitigkeit

corpo tavolare

Grundbuchskörper

decreto tavolare

Grundbuchsdekret

domanda tavolare

Grundbuchsantrag

estratto tavolare

Grundbuchsauszug

foglio degli aggravi

Lastenblatt

foglio degli aggravi comuni

gemeinsames Lastenblatt

foglio di consistenza

Gutsbestandsblatt

foglio di evidenza

Evidenzblatt, Hinweisblatt

foglio di mappa (F.M.)

Mappenblatt (M.Bl.)

frutteto

Obstwiese

giornale numero (G.N.)

Tagebuch-Zahl (T.Zl.)

giudice tavolare

Grundbuchsrichter

impianto del libro fondiario

Grundbuchsanlegung

intavolazione

Einverleibung

iscrizione tavolare

Grundbuchseintragung

numero partita (P.T.)

Einlagezahl (E.Zl.)

onere reale

Reallast

p.ed. (particella edificiale)

B.p. (Bauparzelle)

p.f. (particella fondiaria)

G.p. (Grundparzelle)

particella catastale

Katasterparzelle

particella edificiale (p.ed.)

Bauparzelle (B.p.)

partita

Einlage

partita tavolare (P.T.)

Einlagezahl (E.Zl.), Grundbuchseinlage

pascolo

Weide

piombo

Plombe

piombo definitivo

endgültige Plombe

piombo provvisorio

vorläufige Plombe

planimetria (C.E.U.)

Grundriss (Gebäudekataster)

porzione materiale (P.M.)

materieller Anteil (m.A.)

prato

Wiese

proprietario intavolato

einverleibter Eigentümer

reclamo tavolare

Grundbuchsbeschwerde

subalterno (sub.)

Baueinheit (B.E.)

ufficio tavolare

Grundbuchamt

unità immobiliare urbana U.I.U.

städtische Liegenschaftseinheit St.L.E.

visura

Einsichtnahme

visura /certificato)

Auszug:

Z.C. (zona censuaria)

T.Z. (Tarifzone)

 


 

Esempio di estratto tavolare prima

dell'informatizzazione[136]

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

L'USUCAPIONE NEL SISTEMA TAVOLARE

 

Nel sistema tavolare si è posto il problema di conciliare il rigido sistema formale, secondo cui i diritti reali intavolati non sono contestabili, con il riconoscimento delle situazioni di fatto, altrettanto degno di tutela, come l’usucapione della proprietà o le servitù [137].

Il problema era però mal posto: non si trattava di stabilire se nel sistema tavolare era possibile l'usucapione ventennale, cosa indubbia perché è nell' interesse di tutti formalizzare situazioni di fatti consolidatesi nel tempo; il problema era se un atto di vendita intavolato prima che il ventennio fosse compiuto, interrompeva o meno il possesso.

La risposta dei giudici italiani fu, come vedremo, che tale atto non interrompeva il possesso se non era accompagnato anche da atti formali di contestazione e che andava tutelato chi continuava a possedere in buona fede. È però abbastanza chiaro che i giudici hanno ragionato in base alla situazione di fatto esistente nel regime dei registri immobiliari e non di quella nel regime tavolare.

Nel primo sistema l'atto di vendita, avente effetto costitutivo, non era necessariamente pubblico ed anche se veniva trascritto, la sua conoscenza da parte di terzi, possessore del bene compreso, era puramente casuale. Nel sistema tavolare l'atto viene al più presto intavolato in un registro pubblico, munito di fede pubblica e che è facilmente accessibile a tutti; è l'unico strumento che accerta chi è il proprietario da un certo momento in poi. Di conseguenza l'intavolazione è ufficialmente l'atto che rende noto al pubblico il passaggio di proprietà. Come può essere in buona fede il possessore che sa, o deve sapere, per presunzione di legge, che il proprietario è cambiato? Come può presumere, in buona fede, che il nuovo proprietario non è interessato, come minimo, ad interrompere l'usucapione?

In materia di usucapione non si può ragionare secondo le regole del diritto romano, in cui la prova della vendita era data per testimoni e mancava ogni tipo di pubblicità! Ed invece, nel sistema tavolare, l'intavolazione è un perfetto atto interruttivo.

Nel caso di una servitù apparente è indubbio che la intavolazione di un atto di vendita non può contemplare la servitù, non ancora accertata, ed esso non è atto idoneo ad interrompere l'usucapione se non vi sono atti concreti di negazione del possesso della servitù; quindi l'intavolazione non può impedire al possessore ultraventennale di invocare l'usucapione. Però dal momento che scade il termine ventennale, vige il principio tavolare secondo cui chi "primo arriva meglio alloggia" e chi ha usucapito può solo ringraziare se stesso, se non si è precipito a richiedere una annotazione di lite.

Si potrebbe obiettare che spesso il problema dell'usucapione nasce quando il possessore si vede spossessato e neppure lui sapeva di aver usucapito. Questa è la dura lex del sistema tavolare che ha fatto la scelta, riconosciuta da legislatore di far sempre prevalere la certezza dei diritti e di avvantaggiare i soggetti diligenti.

 

Vedremo ora come, per sostenere il contrario, i giudici hanno dovuto arrampicarsi sugli specchi.

 La giurisprudenza ha dovuto occuparsi ripetutamente di questi problemi, che riguardano tutti i beni immobili, compresi i masi chiusi.

I quesiti giuridici a cui rispondere sono perciò è seguenti:

a) In Sudtirolo si può usucapire un bene immobile?

b) La sentenza che accerta l'usucapione è opponibile a chi ha acquistato sulla base della situazione tavolare?

c) Vi sono norme particolari se l'usucapione riguarda immobili costituti in maso chiuso?

È appena il caso di dire che la possibilità che venga usucapito un intero maso è utopistica, essendo difficile immaginare una legittima presa di possesso iniziale con trasformazione della situazione giuridica e di fatto esistente.

In linea di principio nulla si oppone alla usucapione ventennale poiché essa non richiede un possesso in buona fede e a nulla serve invocare la violazione dello stato tavolare. Non è di ostacolo il fatto che chi ha preso possesso di un terreno in modo non violento o clandestino, sia a conoscenza della situazione tavolare e di chi sia il proprietario. Ciò vale anche per l'estinzione per non uso ventennale degli oneri reali ed altri diritti intavolati.

Se sorge controversia sulla usucapione, con domanda giudiziaria da annotare a tavolare, e il giudice accerta l'avvenuta usucapione, la sentenza fa stato fra il possessore vittorioso e il proprietario soccombente. Ma che succede se prima della sentenza il bene era stato ceduto dal proprietario ad un terzo?

- Se l'atto di vendita era stato intavolato prima della domanda giudiziaria, l'acquirente assumerà la posizione di convenuto e la questione dovrà essere decisa solo in base al fatto se vi sia o meno stato un possesso ventennale ininterrotto. Se l'atto non era stato intavolato, è privo di qualsiasi efficacia verso i terzi.

La Cassazione aveva stabilito che: La intavolazione di un acquisto per atto tra vivi a titolo particolare non ha di per sé efficacia interruttiva dell'usucapione che vada maturandosi in favore del terzo possessore di buona fede, atteso che anche per i beni soggetti al regime della pubblicità tavolare l'usucapione resta regolata nelle sue modalità dalle norme generali del codice civile che enumerano in modo tassativo le cause di interruzione della prescrizione. Sent. 12/06/1991 n. 6636 e 22/07/1993 n. 8193.

 

Sugli effetti dell'usucapione la Cassazione aveva iniziato a volerli ampliare già a partire dalla Sent. 20/10/1967 n. 2564. Poi nella sent. 10/07/1987 n. 6024 ha scritto: Nel regime tavolare, l'acquisto per usucapione opera indipendentemente dalla iscrizione, ed è opponibile a chi è in grado di apprendere, con le indagini imposte dalla normale prudenza, della intervenuta prescrizione acquisitiva. E con la sent. 09/06/2008 n. 15196: In tema di usucapione di beni soggetti al regime "tavolare", la mancata "intavolazione" della sentenza di acquisto del diritto di proprietà per usucapione è inopponibile a chi abbia acquistato sulla fede del libro fondiario, a meno che non risulti provata la conoscenza effettiva o la conoscibilità dell'avvenuta usucapione anteriore.

Vale a dire che l'acquisto per usucapione poteva prevalere di fronte all'acquisto per atti fra vivi di soggetti non in buona fede. Una vera sciocchezza perché nel sistema tavolare l'unico atto di doverosa prudenza è di leggere che cosa c'è scritto nel libro tavolare, ed è proprio questa la bellezza del sistema che garantisce i diritti di chi acquista, il quale non ha certo alcun dovere o possibilità di trasformarsi in un investigatore. È il possessore, semmai, che non appena trascorso il ventennio deve avere la prudenza e diligenza di depositare una domanda giudiziaria.

Decisione confermata successivamente, fino a diventare principio consolidato, scrivendo: Nel regime tavolare, l'efficacia costitutiva della iscrizione o intavolazione è limitata agli atti fra vivi, e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria o agli acquisti a titolo originario, come l'usucapione: la mancata iscrizione del diritto usucapito, in forza di sentenza che accerti l'usucapione medesima, rende quest'ultima inopponibile ai soli terzi che abbiano acquistato in buona fede diritti sulla base dei libri fondiari, e non anche, pertanto, a quelli che, nonostante la mancata iscrizione del diritto usucapito, conoscevano o dovevano conoscere, con l'impiego dell'ordinaria diligenza, della compiuta usucapione. Sent.17/04/1993 n. 4564; Sent. 06/12/1997 n. 12428; Sent.17/06/1999 n. 6019; Sent. 26/11/1999 n. 13198.

L'art. 5 R.D. 28 marzo 1929 n. 499, recante il nuovo testo della legge generale sui libri fondiari, regola il conflitto fra un diritto extratavolare acquistato per usucapione, indipendentemente dall'iscrizione tavolare, ed un diritto tavolare acquistato per atto "inter vivos" con il concorso di detta iscrizione, dando la prevalenza a quest'ultimo se acquistato sulla fede del libro fondiario, ossia ivi iscritto anteriormente all'iscrizione del diritto acquistato per usucapione giudizialmente accertato o all'annotazione della relativa domanda, ma la tutela derivante dal principio della pubblica fede cui è informato il sistema tavolare non può estendersi a chi ha intavolato il suo acquisto versando in mala fede, nel senso che conosceva o avrebbe dovuto conoscere l'esistenza di altro diritto reale prima acquistato da altri, poiché in tal caso la conoscenza che si ha o si dovrebbe avere sulla situazione reale esclude che si sia acquistato sulla fede del libro fondiario. Sent. 22/07/1993 n. 8193.

E ancora: Poiché nel regime tavolare soltanto l'acquisto del diritto, iscritto, avvenuto sulla fede del libro fondiario prevale sull'acquisto extratavolare dello stesso diritto a titolo originario, nel giudizio instaurato per il riconoscimento dell'avvenuta usucapione sono rilevanti le prove testimoniali volte a dimostrare la malafede di chi ha intavolato il suo acquisto malgrado la conoscenza - o la conoscibilità, usando l'ordinaria diligenza - della compiuta prescrizione acquisitiva a favore di terzi. Sent. del 10 febbraio 1997 n. 1215.

Correttamente in questa sentenza si precisa che l'onere della prova della mala fede incombe su chi invoca l'usucapione.

 

Il caso concreto, estremo è quindi il seguente: è divenuta esecutiva una sentenza di accertamento di usucapione e il giorno dopo il proprietario tavolare del bene usucapito lo vende e intavola la vendita, prima che venga intavolata la sentenza. La vendita è opponibile all'usucapiente? La Cassazione dovrebbe dire che non è opponibile per il semplice motivo che l'usucapiente doveva intavolare la sua domanda giudiziaria; se non lo ha fatto è colpa sua ed è lui a non aver usato la dovuta diligenza.

Vediamo ora il caso meno estremo in cui, dopo che è già trascorso un ventennio, il proprietario venda il terreno con atto intavolato e il possessore si svegli e corra a far causa. Secondo la Cassazione prevale la successiva sentenza che riconosce l'usucapione perché l'acquirente doveva avere tanta diligenza da capire che l'immobile era stato usucapito!

Affermazione veramente assurda perché viene a far prevalere una realtà sostanziale incerta rispetto a quella formale, garantita dal sistema della pubblicità tavolare. Inoltre, salvo casi rarissimi, come può un terzo conoscere i rapporti fra proprietario e possessore? Come fa a sapere quando è iniziato il possesso e se vi sono stati o meno atti interruttivi?

Evidentemente la Cassazione ragiona solo in base alla sua esperienza del sistema dei registri immobiliari, in cui può risultare come proprietario un soggetto emigrato e scomparso un secolo prima ed ignora che il sistema tavolare ha proprio voluto superare questo tipo di problemi! Il continuare ad aggrapparsi a nozioni indefinibili come buona fede e diligenza vuol dire non aspirare ad un diritto certo e geometrico.

 

In realtà, la lettura, anche superficiale, dell'art. 5 della legge tavolare, come aggiornato con L. 29 ottobre 1974, n. 594, convince del fatto che la Cassazione, sorda ad ogni cosa che esca dagli schemi tradizionali del codice civile, ha preso un madornale abbaglio, perché l'art.5 stabilisce esattamente il contrario di quanto ritenuto dai giudici e la buona fede non c'entra nulla.

Dopo aver stabilito nei commi 1 e 2 che chi pretende di aver acquisito un diritto per usucapione o per altro modo di acquisto originario, deve intavolare la relativa sentenza, stabilisce al comma terzo:

Restano però salvi in ogni caso i diritti dei terzi acquistati sulla fede del libro fondiario anteriormente alla iscrizione o cancellazione, o all'annotazione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l'iscrizione o la cancellazione.

E il primo comma dell'art. 6 aggiunge: Se lo stesso immobile è stato successivamente alienato a più persone, ne acquista la proprietà chi prima ha domandato l'iscrizione nel libro fondiario. Se ci fosse una tutela della buona fede, essa dovrebbe valere in ogni caso.

 

L'art. 7 aggiunge:

L'opponibilità ai terzi delle cause di invalidità o inefficacia di una intavolazione, sulla quale siano stati conseguiti ulteriori diritti tavolari, è regolata dagli articoli 61 e seguenti della legge generale sui libri fondiari.

Non sono perciò applicabili, in quanto si riferiscano a tali diritti, le disposizioni del codice civile incompatibili con dette norme, e in particolare gli articoli 534, 561, 563, 1445 e 2652, salvo quanto è disposto dall'articolo 20 della legge generale sui libri fondiari circa l'annotazione delle domande di impugnativa [138].

 

L'art. 61 recita:

Chi impugna in via contenziosa un'intavolazione, dalla quale apparisca leso il suo diritto tavolare, e chiede il ripristino dello stato tavolare anteriore, può domandare al giudice tavolare l'annotazione di tale domanda.

Per effetto di questa annotazione la sentenza che definisce la lite sarà efficace anche nei confronti di coloro, che abbiano conseguito diritti tavolari dopo la presentazione della domanda di annotazione.

Anche in questo caso, nessuno spazio alla buona fede: chi per primo annota o intavola, prevale. Ciò trova ulteriore categorica conferma nel secondo comma dell'art. 61 in cui si stabilisce:

Chi impugna in via contenziosa un'intavolazione, dalla quale apparisca leso il suo diritto tavolare, e chiede il ripristino dello stato tavolare anteriore, può domandare al giudice tavolare l'annotazione di tale domanda.

Per effetto di questa annotazione la sentenza che definisce la lite sarà efficace anche nei confronti di coloro, che abbiano conseguito diritti tavolari dopo la presentazione della domanda di annotazione.

Più chiaro di così si muore!

La norma secondo cui non si applicano le norme del codice civile incompatibili con il regine tavolare, ed in particolare gli articoli 534, 561, 563, 1445 e 2652, indica che non vi è tutela per chi ha acquistato, sia pure in buona fede, dall'erede apparente (534), che rimango salve le cessioni i vincoli imposti su di una donazione soggetta a riduzione (561, 563), immediatamente, senza che sia trascorso il periodo di 20 anni, che non vi è tutela del terzo in buona fede, di fronte allo annullamento dell'atto, se la domanda di annullamento non è stata annotata (1445).[139]

È facile concludere che i giudici, nel 1967, prima delle modifiche del 1974, hanno letto ad orecchio la legge tavolare nel testo originario e non hanno proprio capito che la legge tavolare ha una sua ragion d'essere e una struttura, espressamente concepite dal legislatore, senza eccezioni, incompatibili con le regole del codice civile, e che, quando hanno letto nell'art. 5 u.c. legge tavolare, che restano salvi in ogni caso i diritti dei terzi acquistati sulla fede del libro fondiario, hanno creduto (o voluto credere, incredibile dictu) che il legislatore avesse voluto ricollegarsi al concetto di buona fede! Nulla di più errato perché il legislatore ha chiaramente uso il termine nel significato di affidamento ed infatti nel testo austriaco (L. 2. febbraio 1955) si legge im Vertrauen e cioè fidandosi. Termine già presente nella legge austriaca del 25 luglio 1871. In essa, l'art. 28 stabiliva che la misura in cui possono essere contestati i diritti che un soggetto ha acquisito sulla fiducia nei pubblici registri, è stabilito negli artt. 63 e segg. e l'art. 63 prevedeva una procedura per contestare iscrizioni effettuare contro la buona fede (nicht in gutem Glauben) [140], ma non è stata ripresa delle nostre norme. Nel sistema tavolare il cittadino ha diritto di fare totale affidamento sulle iscrizioni assistite da fede pubblica, le quali sono atti di un giudice e non del privato. La buona fede non è richiamata da nessuna norma del sistema tavolare italiano, che anzi dichiara inapplicabili norme che fanno riferimento ad essa!

Eppure nella sentenza del 05/07/2002 n. 9735, la Cass ha proprio incredibilmente scritto che l'art. 5 della legge tavolare prevede il principio di pubblica fede che assiste le risultanze dei libri fondiari, per cui l'acquisto effettuato in base a dette risultanze si presume avvenuto in buona fede, ed è onere del terzo che sostiene di aver acquistato il bene per usucapione provare che colui che ha acquistato dal titolare del bene in base al libro fondiario era in malafede, essendo stato a conoscenza della sussistenza dell'usucapione maturata ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta, o essendo stato in grado di apprenderlo facendo uso della ordinaria diligenza.

Idem per la sentenza 21/03/2011 n. 6393 in cui si legge che nei territori in cui vige il sistema tavolare basato sul principio della pubblicità costitutiva, il conflitto tra l'acquirente per atto fra vivi dall'intestatario tavolare che abbia proceduto per primo ad iscrivere il suo diritto e chi abbia acquistato il bene per usucapione si risolve in base all'art. 5 della legge tavolare, che prevede il principio di pubblica fede che assiste le risultanze dei libri fondiari, per cui l'acquisto effettuato in base a dette risultanze si presume avvenuto in buona fede, ed è onere del terzo che sostiene di aver acquistato il bene per usucapione provare che colui che ha acquistato dal titolare del bene in base al libro fondiario era in malafede, essendo stato a conoscenza della sussistenza dell'usucapione maturata ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta, o essendo stato in grado di apprenderlo facendo uso dell'ordinaria diligenza.

Prova certa che nell'art. 5 i giudici hanno letto fischi per fiaschi e che nessuno è mai andato a rileggersi le nuove norme del 1974!

 

Anche la distinzione della legge tavolare fra atti di acquisto tra vivi e atti di acquisto a titolo originario, come la successione e l'usucapione, è stata fatta dal legislatore solo per tener conto della diversità formale della procedura. Per un atto fra vivi o una sentenza, si richiede che abbiano i requisiti di forma prescritti per accertare la loro autenticità. Un atto di successione o legato può essere iscritto solo se, prima di tutto, si è ufficialmente stabilito chi è il soggetto a carico del quale si fa l'iscrizione, cosa che avviene mediante intavolazione del certificato di eredità. I giudici non lo hanno capito ed è nata così questa distinzione sostanziale dei trasferimenti fra vivi e dei trasferimenti per successione, a cui poi si è aggiunta l'usucapione (che rileva per il tavolare solo se accertata con sentenza) del tutto al di fuori della logica tavolare. Correttamente, sul punto l'Ord. 18/05/2021 n. 13273 scrive che la sola intavolazione del certificato di eredità compiuta su iniziativa di un determinato soggetto non può determinare l'acquisto di un bene alla massa ereditaria, dichiarando l'inefficacia e l'inopponibilità nei confronti degli eredi legittimi dei successivi suoi trasferimenti. E ovviamente non preclude la prenotazione di atti di acquisto sull'immobile, in un sistema su base reale e non personale.

Particolari problemi sono sorti su questioni connesse.

Con Sent. 23/03/1995 n. 3370 la Cassazione dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimità della persistenza del sistema tavolare con differenti soluzioni di casi eguali. Decisione del tutto corretta e ovvia, ma con motivazione del tutto sbagliata.

È manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 5 R.D. 28 marzo 1929 n. 499, in relazione all'art. 3 della Costituzione, per il differente regime della pubblicità immobiliare che essi prevedono nelle provincie ex austroungariche, ove l'usucapione di un bene non può essere opposta all'acquirente in buona fede per atto tra vivi che abbia iscritto per primo il suo diritto, perché questo particolare regime giuridico è giustificato dalle esigenze legate alle peculiari tradizioni giuridiche delle provincie ex austroungariche e si conforma sia all'art. 6 della Costituzione, che, riconoscendo, con formula aperta, la più ampia tutela delle minoranze, non esclude il sistema singolare di acquisto dei diritti immobiliari consacrato, presso le stesse minoranze, da modi e forme storicamente consolidati, sia all'art. 4 n. 5 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, che riserva alla regione la competenza per la disciplina dell'impianto e la tenute dei libri fondiari, legittimando così la possibilità di un regolamento particolare e diverso da quello vigente sul restante territorio nazionale.

Pare proprio che i giudici ignorassero che il sistema tavolare non è stato conservato solo in Sudtirolo, a tutela di minoranze e della loro lingua, ma è stato conservato in più province, da Gorizia, a Trieste, a Trento, e in comuni di Belluno e Brescia, per il semplice motivo che era migliore di quello italiano, dava più garanzie al cittadino, e non era proprio il caso di lavorare e spendere soldi per peggiorarlo!

È un vero peccato che ben di rado i giudici seguano i sacrosanti quattro principi di logica scientifica del rasoio di Occam, già fissati nel XIII secolo. In pratica: non complicare le cose semplici![141]

La Sent. 07/12/1994 n. 10500 ha affrontato il problema della servitù creata per destinazione del padre di famiglia. La motivazione è un po' contorta ma afferma giustamente, che per riconoscerla non occorre che essa sia descritta in atto negoziale. È una situazione di fatto in cui occorre solo dimostrare che il dante causa aveva creato una situazione con il contenuto di una servitù, la cui ragion d'essere permaneva anche dopo la cessione del bene servente.

Con la Sent. del 14/02/2006 n. 3177 veniva affrontato il problema della accessione del possesso di una servitù stabilendo che: In tema di acquisto per usucapione, l'acquirente - che invochi, ai sensi dell'art. 1146 secondo comma cod. civ., l'accessione del possesso per unire il proprio a quello del dante causa - deve fornire la prova di avere acquistato con un titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto oggetto del possesso (ancorché invalido o proveniente "a non domino"). Pertanto, ai fini dell' acquisto per usucapione di un diritto reale limitato come quello di servitù, tale titolo non può essere costituito dal contratto di vendita del fondo (preteso) dominante che non contenga la specifica menzione della servitù che si assume usucapita, operando l'accessione nei soli limiti del titolo traslativo titolo, sicché il trasferimento del fondo (preteso) dominante può essere sufficiente a trasferire la servitù nel solo caso in cui il relativo diritto già sussista a favore del fondo alienato (e, nel caso del sistema tavolare, la sussistenza è connessa alla iscrizione nel libro fondiario) ma non lo è nel caso in cui ne sia in corso il "possesso ad usucapionem" da parte del cedente.

La decisione lascia un po' perplessi. Tizio acquista un terreno su cui il dante causa esercita una servitù e vorrebbe unire il possesso del dante causa al possesso proprio, ai fini dell'usucapione ventennale, maturata dopo l'acquisto. La Cassazione dice che non ne ha diritto. Credo che trascuri il fatto che il possesso è una situazione di fatto e che l'usucapione rimedia ad una situazione di inerzia di un soggetto; perciò, una volta accertata la continuità ventennale dell'inerzia, è sufficiente la prova della continuità dei trasferimenti del fondo dominante nel tempo e la continuità del possesso da parte dei soggetti succedutisi nel tempo. È ovvio che la servitù non usucapita non può essere menzionata negli atti di trasferimento.

Più aderente alla realtà la Sent. 14/06/2013 n. 15020 secondo cui nel sistema tavolare, la mancata intavolazione della servitù comporta l'inefficacia del trasferimento successivo sotto il profilo del difetto di titolarità in capo all'autore, ma tale inefficacia rientra nella fisiologia dell'istituto dell'accessione del possesso, che presuppone un titolo (non idoneo, bensì) solo astrattamente idoneo al trasferimento. Ne consegue che, intavolato l'acquisto della proprietà, si trasferisce per accessione il possesso della servitù attiva, abbia o no già determinato l'acquisto del relativo diritto per usucapione.

Per un caso particolare si veda la Sent. 4 ottobre n. 19788 secondo cui l'istituto dell'accessione del possesso, ex art. 1146, comma 2, c.c., è compatibile con il sistema tavolare anche ai fini dell'usucapione del diritto di proprietà a condizione che il trasferimento, perché operi il trapasso del possesso e il successore a titolo particolare, possa unire al proprio quello del dante causa, trovi la propria giustificazione in un titolo idoneo a trasferire la proprietà sul bene, sicché, in caso di diritto "pro indiviso" di una strada tra una pluralità di titolari del bene, è necessario che la destinazione all'uso esclusivo trovi la sua attribuzione nel titolo.

 

Per completezza riportiamo un estratto della sentenza Cass. 04/10/2016 n. 19788 in cui sono chiaramente esposte le problematiche, giuste od errate che siano, sopra trattate.

Deve anzitutto premettersi che nei territori delle provincie di Trento, Bolzano, Gorizia e Trieste, in cui vige il sistema tavolare, ai sensi dell'art. 2 del R.D. 28 marzo 1929 n. 499, il diritto di proprietà e gli altri diritti reali immobiliari non si acquistano per atto fra vivi se non con l'iscrizione nel libro fondiario. Per contro gli acquisti a titolo derivativo (mortis causa oppure originario) non sono soggetti a tale regola, con la conseguenza che la loro eventuale pubblicità non ha efficacia costitutiva, ma solo dichiarativa [142].

L'esistenza di diritti extra tavolari, come tali sottratti al principio dell'iscrizione, importa che la certezza della pubblica fede del libro fondiario in ordine alle vicende traslative ivi iscritte non si estende alla completezza delle sue informazioni, visto che un diritto extra tavolare può sorgere e sussistere senza che se ne dia pubblicità. In base all'art. 5, comma 3, R.D. cit., restano però salvi in ogni caso i diritti dei terzi acquistati sulla fede del libro fondiario anteriormente all'iscrizione o cancellazione, o all'annotazione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l'iscrizione dell'usucapione o la cancellazione dei vincoli. Tale norma disciplina il conflitto fra l'acquirente per atto tra vivi e colui che abbia acquistato un diritto extra tavolare incompatibile, e lo risolve dando la prevalenza alla priorità dell'intavolazione, purché assistita dalla buona fede del soggetto a favore del quale è effettuata [143].

Gli acquisti a titolo originario non resi pubblici sono, dunque, precari, potendo essere persi in favore di chi acquisti dal titolare intavolato diritti incompatibili. Sorge, pertanto, il problema del conflitto tra titolare extra tavolare ed avente causa dal titolare iscritto: si dibatte, in particolare, se il principio sostanziale di salvezza del diritto acquisito a non domino sulla base delle risultanze delle pubbliche tavole subisca deroghe nei confronti del terzo di mala fede, del terzo cioè che, al momento della domanda di iscrizione, fosse a conoscenza della reale situazione extra tavolare e se, in caso affermativo, basti per integrare la mala fede la colpa (grave) del terzo acquirente.

Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, poiché per il principio della pubblica fede che assiste le risultanze dei libri fondiari, l'acquisto in base a dette risultanze si presume avvenuto in buona fede, per cui spetta al terzo, che intenda superare la prevalenza che il citato articolo 5 accorda ai diritti dei terzi acquistati sulla fede del libro fondiario, provare che colui che ha acquistato dal titolare del libro fondiario era in malafede, essendo a conoscenza, o essendo stato in grado di apprenderla con l'uso della normale diligenza, della sussistenza dell'usucapione maturato ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta (Cass. 1997 n. 12428; negli stessi termini Cass. 1995 n. 3370 e Cass. del 1997 n. 1215). In altri termini, è onere di chi sostiene di aver usucapito un immobile provare che colui che ha acquistato il medesimo bene dal titolare in base al libro fondiaria era in mala fede, essendo stato a conoscenza della sussistenza dell'usucapione maturata, ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta, o essendo stato in grado di apprendere ciò facendo uso dell'ordinaria diligenza (cfr. Cass. 2011 n. 6393; Cass. 2008 n. 15196; Cass. 2004 n. 20873 e Cass. 2002 n. 9735).

 Un tema controverso - che con la critica formulata da parte ricorrente assume specifico rilievo - è quello della compatibilità o meno con il regime tavolare dell'istituto dell'accessio possessonis di cui all'art. 1146, comma 2, c.c. ed in particolare della necessità di un titolo "astrattamente idoneo", ripreso dal par. 1460 del codice civile generale austriaco (nel testo in vigore alle novelle di riforma del 1916, per il quale il possesso ad usucapionem doveva essere non solo di buona fede, ma anche legittimo — oltre che non vizioso e continuato — e legittimo era il possesso che fosse stato "fondato sopra un titolo che sarebbe sufficiente per conseguire la proprietà, se questa fosse appartenuta a quello che l'ha ceduta"), elemento che ha una forte somiglianza non con il possesso previsto dall'art. 1158 c.c., ma con l'usucapione decennale ex art. 1159 c.c., che per espressa esclusione normativa (art. 12 R.D. n. 499 del 1929) non trova applicazione nel sistema tavolare.

 La problematica è stata oggetto di un ripensamento ad opera di questa Corte che con le sentenze del 2008 n. 20287 e del 2012 n. 18909 - discostandosi dall'orientamento tradizionale — ha ammesso l'applicabilità dell'accessione, quantomeno con riferimento alle servitù, anche in regime tavolare, stante il carattere accessorio di tale diritto reale minore, il quale si trasferisce assieme alla titolarità del fondo dominante anche a prescindere dalla espressa sua menzione nell'atto di trasferimento, "sicché non può negarsi che un titolo (ad es. contrattuale) di trasferimento della proprietà di un bene sia astrattamente idoneo a trasferire altresì il connesso diritto di servitù, afferente al medesimo bene, pur in mancanza di espressa menzione".

E poi prosegue sottolineando che: "la disciplina tavolare interferisce con l'istituto di cui all'art. 1146, comma 2, c.c, per il carattere costitutivo dell'intavolazione dei diritti acquistati per atti tra vivi (e solo di essi), previsti dall'art. 2 R.D. 28 marzo 1929 n. 499. Posto tale carattere, senza dubbio la omessa intavolazione del diritto trasferito, per atto tra vivi, dal dante causa al successore a titolo particolare, impedisce il verificarsi dell'accessione del possesso, dato che in mancanza di essa il diritto non può dirsi trasferito, e dunque manca un elemento della fattispecie traslativa: in altri termini, difetta il requisito dell'astratta idoneità dell'atto a trasferire il diritto....Non può affermarsi, invece, che la mancanza di intavolazione del diritto acquistato (per atto tra vivi) dal dante causa impedisca l'accessione del possesso. Quella mancanza, infatti, rileva solo nel senso che comporta l'inefficacia del trasferimento successivo, sotto il profilo del difetto di titolarità in capo all'autore; ma tale inefficacia rientra nella fisiologia dell'accessione del possesso".

 Con la conseguenza che resta aperta la generale questione dell'applicabilità dell'istituto dell'accessione con riferimento al diritto di proprietà, non essendo stata esclusa - in astratto - la possibilità di sommare i possessi ai fini dell'usucapione, ma richiedendosi, perché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà sul bene, per non avere la comproprietà le caratteristiche dell'accessorietà. In altri termini, pur vero che trattandosi di diritto "pro indiviso" della strada di cui si discute, vige il principio della comunanza d'interessi tra tutti i contitolari del bene medesimo, ma essendo in discussione la stessa comunione del bene, per avere la controversia come oggetto proprio la comunione di esso, pur in considerazione delle obiettive caratteristiche strutturali del bene medesimo, funzionale alla viabilità, ed in presenza di più servitù di passaggio sul medesimo fondo, la destinazione all'uso esclusivo deve necessariamente trovare la sua attribuzione nel titolo.

 


 

 

 

 

 

 

USUCAPIONE E MASO CHIUSO

Il problema dell'usucapione assume un aspetto particolare quando i beni immobili fanno parte di un maso chiuso perché i beni sono vincolati e vi sono regole speciali per il loro distacco.

Esaminiamo la casistica in base alle decisioni dei giudici.

L’assuntore può usucapire terreni poiché può cumulare, ai fini dell'usucapione, il possesso esclusivo conseguito per effetto della divisione a quello esercitato di fatto in qualità di compossessore prima della divisione stessa. Infatti il regime successorio dei masi chiusi si distingue da quello ordinario solo in virtù della tutela dell'indivisibilità dell'unità immobiliare, ma non incide su altre situazioni giuridiche. [144] In questa usucapione non è richiesto alcun parere della Commissione; questo verrà richiesto dall’interessato solo se intende aggregare il fondo al maso e non conservarlo come fondo volante [145]. Sul punto vi era stata un po' di confusione da parte dei giudici perché erano sempre partiti dal punto di vista che il bene usucapito dovesse essere aggregato ad un maso; invece il problema base era solo se un bene di un maso poteva essere usucapito in danno dell'assuntore. Cosa poi fare del bene, era cosa da decidere in base ad altre norme. Ed era chiaro che l'autorizzazione della Commissione all'aggregazione del fondo ad un maso era solo un problema successivo [146], irrilevante ai fini della perdita del possesso di un bene.

 

È possibile che un terzo usucapisca un terreno facente parte di un maso chiuso, ma il legislatore si è preoccupato di limitare la possibilità che l’assuntore e chi pretende di aver usucapito, utilizzino la procedura giudiziaria di usucapione per aggirare le norme sui distacchi. L’art. 4 stabilisce pertanto che nel procedimento giudiziario di accertamento dell'avvenuta usucapione su una parte del maso chiuso deve essere sentita la Commissione locale competente (si noti: ai fini della usucapione, non ai fin della aggregazione) e che non sono ammessi i mezzi di prova della confessione e del giuramento decisorio; il giudice può deferire giuramento suppletorio[147] se già ha raggiunto una prova ragionevole a favore della parte chiama a giurare. Ma è cosa da fare con estrema cautela per non favori trucchi.

È intuitivo che anche la prova dell’usucapione di parte di un maso richieda una prova più severa di quella usuale. Si consideri che nel maso convivono talvolta l’assuntore, coeredi, beneficiari di prestazioni, i quali, di fatto, tengono comportamenti confondibili con atti di possesso [148], La norma sul parere della Commissione, è chiaramente inadeguata e non garantisce un bel nulla perché la Commissione può esprimere solo un parere, neppure vincolante. Non si capisce neppure su che cosa debba vertere il parere. L’usucapione deriva dal decorso del tempo e da atti di possesso e, raggiunta la prova dei fatti costitutivi, l’usucapione è una conseguenza inevitabile. La Commissione potrebbe far presente, se del caso, che l’usucapione entra in conflitto con le norme su distacchi e aggregazioni.

Se la Commissione è a conoscenza di fatti ostativi (ad es. simulazione), questi dovranno comunque essere provati perché il giudice non saprebbe che farsene di meri sospetti o voci pubbliche. Quindi il parere è previsto nell’interesse pubblico e può servire solo per orientare il giudice verso una migliore comprensione della situazione di fatto. Forse sarebbe stato opportuno dire chiaramente che il parere ha lo scopo di impedire che venga aggirata la norma sui distacchi e che la confessione del convenuto non può aver valore processuale determinante. Era forse più coerente al sistema la norma del progetto di legge che prevedeva l’autorizzazione della Commissione e, in caso di diniego, solo il pagamento al pretendente del valore del terreno, se provata l'usucapione.

 

 

 

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[1] Il termine maso chiuso è tipico del Sudtirolo; in Germania ed Austria viene chiamato Erbhof. La legge tirolese vigente usa semplicemente il termine Hof. In Tirolo il termine Erbhof indica il maso avito già negli anni venti, con un po' di confusione; quindi si suggeriva il termine Stammhof; in Sudtirolo è ufficiale dal 1982.

[2] In realtà, siccome non è essenziale essere eredi, sarebbe più chiaro parlare di “assuntore” (Übernehmer) senz’altra specificazione, ed usare il termine Anerbe solo per gli eredi. È rimasto il termine Anerbe, perché le varie leggi si sono preoccupate principalmente di regolare gli aspetti eredi­tari, richiedendo che l'assuntore fosse possibilmente uno degli eredi e per il fatto che l'estraneo assuntore non ha una posizione molto diversa dall'erede assuntore e conserva alcuni dei suoi doveri. Attenzione a non confondere il termine con Ahnenerbe che è l'eredità ancestrale della razza pura, secondo il nazismo!

[3] Sulla evoluzione di questo sistema, e relative leggi, si veda l'ottimo testo di Josef M. Baernreither, Stammgüter-System und Anerbenrecht in Deutschland, Wien 1882. Si veda anche Hartknoch, Versuch einer Abhandlung vom Eigenthum der Bauern, Riga 1770. La legge più chiara in materia era quella della provincia di Hannover del 2 giugno 1874, poi più volte aggiornata.

[4] Il sistema agrario era molto frammentato e fluido, anche in una stessa valle. Perciò quanto scriviamo è puramente orientativo. Per la comprensione della situazione in Sudtirolo, ove convivevano usi romani e germanici ed ove erano molti i contadini liberi, rinviamo all'opera fondamentale di Armi Tille, Die bäuerliche Wirtschafterfassung des Vintschgaues in der zweite Hälfte des Mittelalters, Innsbruck 1895.

[5] Kurt Heinricher, L’istituto del maso chiuso nel diritto consuetudina­rio dell’Alto Adige, in Atti del II Convegno di Arti e Tradizioni Popolari, 1936. Si veda anche Arno Borst, Lebensformen in Mittelalter, Landwirtschaft, 1973. Nel Sachsenspiegel, mezza Hufe era il guidrigildo da pagare per la vita di un uomo libero (si veda Ed.Mori, Manuale del diritto sassone, trad. 2022).

[6] Una certa analogia si riviene nella cultura contadina dei Walser, provenienti da popolazioni alemanne tedesche giunte nel centro della Svizzera (Cantone Vallese), insediatisi in alta montagna, fra i 1300 e i 1500 metri di altezza, dopo l'XI secolo; un unicum all’epoca, per quanto attiene agli insediamenti permanenti in altitudine, favoriti però da un periodo caldo di quel secolo. Con una serie di migrazioni, esportano poi, a sud delle Alpi, i1 loro bagaglio di esperienze vissute in condizioni proibitive. Tipiche le loro costruzioni in pietra e legno poste nel podere, abbastanza simili a quelle tirolesi. Loro caratteristica era di avere, al piano terra, in muratura, un univo vano che ospitava la stalla e il soggiorno per gli abitanti, spesso divisi solo da un basso muretto. Sopra vi erano le camere da letto e sopra ancora il fienile; la stalla serviva a produrre calore, ben trattenuto dal fienile in alto. Va detto però che gli antichi ladini abitavano oltre i 1800 metri fin dall'età del bronzo (nei Grigioni, St. Moritz), ragione per cui i Walser non occuparono terre disabitate.

[7] Anda Malia, Rivista italiana di dialettologia, pag. 319, Bologna 2004

[8] In ted. Allod, Eigengut, Erbgut, freies Eigen

[9] Nelle antiche lingue germaniche vi è una identità di radici per le pa­role erede, orfano, lavoro e sofferenza.

[10] Erano attività che spesso venivano svolte in forma nomade da persone che venivano poco tollerate dagli stanziali. Si veda F. Bianco, La frontiera come risorsa, in Riv. Histoire des Alpes-Storia delle Alpi-Geschichte der Alpen , 1983 e Marta Villa, Ambulanti e girovaghi, Etnografia di un rito in Val Venosta in http://storieinmovimento.org/, 2016.

[11] Vedi: Andrew McCall, I reietti nel Medioevo, trad. it. 2008. Nel 1500, in una cittadina di diecimila abitanti, vi erano circa 30 esecuzioni all'anno; il boia era itinerante e il giudice veniva pagato con i soldi pagati dai condannati!

[12] Istituto medievale basato sulla servitù della gleba e sulle concessioni feudali, sopravvissute in parte fino al settecento; i beni erano del latifondista, che li dava in conduzione al contadino secondo istituti giuridici del tempo (enfiteusi e Freistift. Una concessione questa, annuale, senza certezza di rinnovo; a San Martino il contadino spesso se ne deve andare, senza saper dove).

[13] Anticamente detto anche Wandelacker; forse la traduzione più cor­retta sarebbe “fondo mobile” visto che nel medioevo terreni affitta­bili al contadino temporaneamente, invece che a vita, venivano designati con il termine Feudum mobile. Si veda anche H. Wopfner, Bergbauernbuch: von Arbeit und Leben des Tiroler Bergbauern in Vergangenheit und Gegenwart, Tyrolia Verl., 1951 e la voce Walzende Gründe in L. von Westenrieder, Glossarium Germanico-latinum vocum obsoletarum primi et Medii Aevi inprimis Bavaricarum, 1816.

[14] Territorio del Brennero, Foresta Nera; Pfronten in Baviera al confine con il Tirolo, Immenstadt im Allgäu, Grafschaft Ravensberg (Bielefeld), Wesermarsch. Anche in Tirolo, fino al 1787, vigeva il minorascato. Si veda Georg Michael von Weber: Darstellung der sämmtlichen Provinzial= und Statutar= Rechte des Königreiches Bayern, 1840. Karl Gudauner. Südtiroler Erbhöfe, Bolzano, 2013. Paul Rösch, Südtiroler Erbhöfe. Menschen und Geschichten. Bolzano, 1994.

[15] Hartmut Boockmann: Einführung in die Geschichte des Mittelalters, München 1981.

[16] Oberweis, Die Tiroler Landesordnung vom Jahre 1526, auch genannt Bauerlandesordnung, Wien 1865. Armi Tille, Die bäuerliche Wirtschafterfassung des Vintschgaues in der zweite Hälfte des Mittelalters, Innsbruck 1895.

[17] Per un quadro della vita al tempo delle Guerre dei contadini e della guerra dei Trent'Anni (1618-1648) è interessante la lettura del romanzo di Grimmelshausen, Simplicissimus,1668, tradotto in italiano nel 1928.

[18] Si discute se parte della Tiroler Landesordnung del 1526 fosse opera di Michael Gaismair. Vedi Girgensohn, Die „Landesordnung“ von 1526, in Geschichte und Region/Storia e regione (GRSR), pagg. 367-379

[19] Beda Weber, Das Thal Passeier und seine Bewohner, 1852.

[20] Hartwig, Briefe aus und über Tirol, Berlin 1846. Franceschini I. Le paludi dell’Adige, Diritti di sfruttamento e tentativi di bonifica tra XIII e XV secolo.

[21] C. v. Hartungen, Gli argini del Talvera e dell'Isarco: una difesa contro le inondazioni, 2015.

[22] In Austria vi sono una legge generale sulla eredità dei masi (Anerbengesetz, legge federale del 21 maggio 1958) e due leggi statali particolari, per il Tirolo e la Carinzia; quella tirolese è riportata in appendice.

[23] Spesso viene indicata come fonte la Landesordung del 1526; ma è un errore, perché questa, nel libro I, parte 3a, contiene solo sette articoli (titoli) riferibili alle successioni, per casi particolari di legati ed eredità giacenti. Invece il libro III della Landesordnung del 1573 dedica bel 60 articoli a questioni ereditarie e familiari. Si veda: Pauser J., Die Tiroler Landesordnungen von 1526,1532 und 1573, Wien 2018. Molto interessante la Tiroler Policeyordnung del 1573 che è una vera e propria legge di pubblica sicurezza e la Tiroler Malefizordnung del 1499, che il primo codice penale tedesco. Una buona sintesi del provvedimento del 1526, orientato a migliorare i diritti dei contadini, si trova in Oberweis, Die Tiroler Landesordnung vom Jahre 1526, auch genannt Bauerlandesordnung, Wien 1865.

[24] L'art. 761 stabilisce che le divergenze nell'ordine delle successioni fra codice e leggi in materia di beni agricoli e di eredità di enti ecclesiastici, sono regolate da leggi amministrative. Si riferisce allo Heimfallrecht (ius aventurae, caducazione) di origine feudale che stabiliva i casi in cui un bene ritorna in proprietà all'antico proprietario concedente.

[25] Regole peraltro simili a quelle contenute nel codice austriaco AGBG del 1811, art. 730

[26] Nel diritto germanico non era usuale la regola del ritorno dei beni a genitori e nonni; se non vi erano discendenti, andavano a fratelli e sorelle. Vedi Wasserschleben, Das Prinzip del Erbenfolge, 1870.

[27] È cioè escluso dalla comunione legale fra i coniugi, art, 179 C.C.

[28] Un tempo il mezzadro non sempre tratteneva la metà dei prodotti, ma si doveva accontentare di un terzo; il che significava che poteva sopravvivere, ma non sarebbe mai riuscito a migliorare la propria condizione. Però in Tirolo, nel 1500, il proprietario del vigneto riceveva solo 1/3 del prodotto (Tiroler Landesordnung, 1526),

[29] Francesca Morena, L’istituto del maso chiuso in Alto Adige, tesi di laurea, Torino 2002

[30] Nel 1952 le norme sul maso chiuso erano stato abrogate e perciò anche l'indivisibilità era venuta meno!

[31] L’istituto della minima unità culturale era stato introdotto dal co­dice Civile del 1942, ma poi non sono mai stati indicati dalla P.A. i criteri di valutazione necessari per la sua applicazione. Quindi è ri­masto relegato fra le pie intenzioni. Esso trova richiamo in Alto Adige solo nella legislazione venatoria (DPP 16/2000, art. 7-9) ed indica il podere formato da almeno due ettari di terreno effettiva­mente coltivato a frutteto o vigneto oppure da quattro ettari di terreno effettivamente coltivati come arativo o prato. Questa indicazione dei 2-4 ettari era contenuta nella vecchia legge urbanistica; ora la GP con delibere 30-12-2005 ha fissato identica estensione per il compendio unico di cui al D. Lg.vo 99/2004.

Il Tar, Sent. 28 maggio 2001, n. 140 ha scritto che: La definizione della minima unità culturale, contenuta nel regolamento approvato con delibera della Giunta provinciale di Bolzano 11 febbraio 1977 n. 586, non può essere considerata requisito necessario per la sussistenza di un maso chiuso, data la diversità dei due istituti. Con tale definizione – che ha valore ai fini dell'applicazione della legge urbanistica e in particolare per la regolamentazione dell'attività edilizia nel verde agricolo – si è esclusivamente voluto individuare quali siano i masi chiusi che possono essere considerati minime unità culturali.

[32] Non risulta che vi fossero comunità familiari, né in Tirolo né in Trentino; in Austria se ne parlava con riferimento a paesi slavi del sud. Vedi Berichte über Landwirtschaft - Zeitschrift für Agrarpolitik und internationale Landwirtschaft. Berlino 1929. In Sudtirolo esistono associazioni agrarie (interessenze, vicinie) le quali  sono comunioni private di interesse pubblico, che si riferiscono alla proprietà oppure al mero utilizzo di terreni. I terreni di queste comunioni sono per la maggior parte costituiti da boschi, pascoli e malghe. Sono un residuo storico delle antiche Marktgenossenschaften (Allmende), rette da antichi statuti e rappresentate da un Alpenmeister o Rottmann. Molto diffuse in Tirolo e in Welschtirol. Vedi: Alois Grimm, Das landwirtschaftliche Genossenschaftswesen in Tirol, Un. Zürich 1910.

Le associazioni agrarie (Agrargemeinschaften,(Interessent­schaften, Nachbarschaften, ecc.) sono regolamentate dalla legge provinciale 7 gennaio 1959, n. 2 che le assimila agli usi civici, soggette al controllo della commissione provinciale per i masi chiusi. I diritti sono intavolabili. È materia di competenza primaria della provincia.

[33] Si vedano più avanti i capitoli Determinazione del prezzo di assunzione e L'indennizzo secondo la Corte Costituzionale.

[34] Le tre le ordinanze di rimessione, emesse da un giovane pretore di Brunico, erano di scarso spessore, quasi pretestuose, e furono trattate con sufficienza dalla Corte, la quale, in sostanza, rilevò che non si poteva parlare di incosti­tuzionalità di una norma costituzionale!

[35] Corte Cost. 4/1956: La legge provinciale di Bolzano, dettando la norma che attribuisce al pretore la stessa competenza che, in virtù del paragrafo 19 della Contea principesca del Tirolo del 22 giugno 1900, n. 47, rimasta in vigore fino al 1928, era di spettanza del corrispondente organo giudiziario (Giudice distrettuale), trova la sua legittimità in una fonte costituzionale, e precisamente quella del n. 9 dell'art. 11 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, con la quale fu approvato lo Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, e che pertanto non può considerarsi viziata di illegittimità costituzionale….. Il legislatore provinciale può disciplinare la materia del maso chiuso - che non ha precedenti nell'ordinamento italiano - nell'ambito della tradizione e del diritto preesistente, e con una potestà più ampia, data la natura dell'istituto, che per le altre materie contemplate nell'art. 11 dello statuto speciale.

[36] Sul problema dei debiti dell'assuntore si veda Karl von Grabmayr, Die Agrarreform im Tiroler Landtag, Merano, 1896.

[37] La legge è stata poi abrogata, facendo salvo il solo art. 16.

[38] Nessuno può essere costretto a restare in comunione di beni.

[39] Termine errato; la presunzione non c'entra; forse voleva dire che dai fatti si può dedurre l'esistenza di una consuetudine.

[40] Codice civile (CC) svizzero del 1907, artt. 1, 5, 699, 740 e 767. Il codice tedesco BGB, negli articoli introduttivi, scrive: Legge, nel senso inteso in questo codice, è ogni nor­ma giuridica (Rechtsnorm) e pare dare spazio alla consuetudine. Il codice austriaco ABGB del l811, ancora in vigore, la riconosce in quanto richiamata dalla legge stessa.

[41] E. Mori. La Schlüsselgewalt nel diritto germanico e svizzero e il c. d. mandato tacito alla moglie nel diritto italiano, Genova, 1965.

[42] Karl Tinzl, Il maso chiuso, Bolzano 1952. L’Autore (1888-1964) fu deputato dal 1921 al 1928, prefetto nel 1943 ed infine senatore per la SVP. Come avvocato difese la Provincia nelle cause romane.

[43] Fonte: Ufficio proprietà contadina, Provincia Autonoma di Bol­zano.

[44] Si segnala, quale curiosità, che la Corte Costituzionale con sen­tenza 188 del 1987 riteneva incostituzionale il fatto che la legge provinciale non prevedesse anche la dizione italiana maso avito! Probabilmente era giusta l'obiezione della Provin­cia che il decreto, come titolo onorifico, non era un atto rivolto al pubblico, ma riguardava solo chi lo riceveva il quale, per natura di cose, poteva essere solo di lingua tedesca. Nella stessa sentenza stabiliva che anche il decreto di riconoscimento fosse bilingue; peccato che per trovare un improbabile soggetto interessato ad averlo in lingua italiana, si dovrà attendere almeno fino a 2120!

[45] In Austria hanno incomprensibilmente creato confusione per cui la legge ereditaria chiama Erbhof ogni maso chiuso, mentre in alcuni Länder (Tirolo, Salisburgo, Austria Superiore), il termine Erbhof indica il maso avito.

[46] Nel 1978 la Curia Vescovile aveva sostenuto che se i beni sono “beni personali” ex art. 179 C.C. non possono appartenere ad una persona giuridica e che perciò i beni della Chiesa, in quanto persona giuridica ecclesia­stica, erano sottratti a controllo dello Stato. Le due tesi apparvero subito molto forzate e vennero definitivamente re­spinte dal Tar con sent. 14-4-96. Con sentenza 1° aprile 1996 il C.d.St. ha scritto che il divieto concordatario per lo Stato di intervenire sulla amministrazione dei beni della Chiesa non si applica ai masi caduti in proprietà di essa perché ciò non muta le sue caratteristiche.

[47] Ormai è superata, ma la sent.12903/1998 della Cass. S.U., ha proprio affrontato un problema di prelazione di un mezzadro.

[48] Ipotesi questa molto teorica, espressamente citata dall’art. 38 Legge sul maso chiuso. Si veda sul problema: P. Michaeler, J.L. Rungger, W. Hintner, L’impresa familiare con particolare riguardo alla situazione altoatesina, Bolzano, 2007

[49] La Cassazione ha riconosciuto che non vi è alcun motivo per cui gli atti di designazione dell’assuntore non conten­gano condizioni od altre clausole: La speciale normativa dettata in tema di maso chiuso, per effetto della legge della Provincia di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17, non sottrae il bene alla successione ereditaria, ma impone uni­camente di consi­derarlo, nella divisione del patrimonio ereditario, come unità indivisibile e di assegnarlo ad un unico erede o legatario; i criteri legali di determinazione dell'assuntore operano solo in mancanza di testamento e di un accordo tra i chiamati alla succes­sione legittima. Ne consegue che nulla vieta ai coeredi, nell'esercizio della loro autonomia privata, di inserire nell'accordo divisorio, che porta allo scioglimento della comunione ereditaria ed all'individua­zione dell'assuntore del maso, un elemento accidentale quale una condizione. Nella specie, la S.C., in applicazione di tale principio, ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto l'invalidità di una clausola dell'intercorso accordo divisorio, recante la designa­zione dell'assuntore a condizione che egli sgomberasse i fondi del maso dai veicoli ivi ricoverati entro una certa data e la previsione della sua sostituzione con altro coerede in caso di mancato avvera­mento della condizione, escludendo la S.C. che tale pattuizione com­porti un'attribuzione congiunta del maso, contrasti con la certezza dei traffici o con il divieto di alienazione del diritto di assunzione od in­corra nella nullità sancita dall'art. 475, secondo comma, cod. civ. per l'accettazione dell'eredità. (Cass. n. 2983 del 27/02/ 2012).

[50] Avvertenza: Qui ed oltre, quando si parla di proprietario, coltivatore, erede, figlio, giudice o di altra qualità soggettiva, è chiaro, in base al diritto e alla linguistica, che ci si riferisce non ad una persona fisica, ma al soggetto giuridico astratto il quale, in concreto, può essere maschio o femmina, ma per il diritto e la linguistica, è neutro. Da quasi un secolo il codice penale commina una punizione a chiun­que uccide un uomo, ed a nessuno è mai venuto in mente che sia lecito uccidere le donne! Perciò lo sdoppiamento di ogni termine astratto in un doppio termine al maschile ed al femminile per fa comprendere che si sta trattando sia donne che a uomini (sdoppiamento imposto da una norma locale di una decina di anni fa, ed è stato qui eliminato dalla parte legislativa perché crea tali complicazioni, da rendere il testo scarsamente leg­gi­bile e comprensibile. Cosa che in una lweggwe non si deve mai fare. Il Sindaco, ad es., è un funzionario, un'autorità giuridica astratta che opera mediante atti politici o giuridici, per i quali il suo sesso è del tutto irrilevante. Solo se si tratta di vicende personali del sindaco può essere utile indicarne il genere (indubbiamente in un notiziario invece di usare il termine sindaco, è meglio dire "la Sindaca, alla cerimonia, indossava un tailleur con borsetta firmata e scarpe con tacco alto"; ciò al fine di evitare equivoci!).

[51] La Cassazione si è occupata del requisito della abitualità richiesto qui ed altrove, ed ha scritto: Ai fini del riconoscimento del diritto all'assunzione del maso chiuso per successione legittima, il requisito della abitualità della conduzione e della coltivazione dello stesso, previsto dall'art. 14, comma 1, lett. b, della l.p. Bolzano n. 17 del 2001, va interpretato nel senso per cui essa non è esclusa dalla stagionalità del lavoro svolto dall'aspirante assuntore nel maso (consistente, nella specie, nella concimazione e nella fienagione annuale), che può dipendere dalle caratteristiche del fondo, mentre richiede che l'attività sia replicata ciclicamente, con continuità, nel tempo. Cass. n. 8208 del 22/04/2016.

[52] Nella sede del maso chiuso o nelle sedi di altre aziende agricole, l'attività di ospitalità è ammissibile esclusiva­mente ai sensi della legge provinciale 19 settembre 2008. n. 7. e successive modifiche, ove l'azienda in questione soddisfi le condizioni minime per l'esercizio dell'attività stabilite a livello provinciale e sia iscritta nell'anagrafe provinciale delle imprese agricole ai sensi del decreto del Presidente della Provincia 9 marzo 2007, n. 22. e successive modifiche. Fa eccezione l'attività di ospitalità già legalmente esistente in data 1° gennaio 2020 (Art. 4/bis L. Territorio).

[53] La frase è stata scritta male e può essere intesa nel senso che non si deve superare il reddito sufficiente per venti persone! In realtà volevano dire dieci persone! Sembra che per i giuristi sia impossibile scrivere come mangiano e dire semplicemente "reddito sufficiente s mantenere almeno 2 persone e, al massimo, 10 persone".

[54] Il limite di età è di 40 anni, secondo i regolamenti CEE 797/1985 e 1698/2005 e L. 441/1998; diversa la nozione di “giovane imprendi­tore agricolo”, di età inferiore a 35 anni, di cui al D.L. 35/2005, con­vertito con L. 80/2005. Si veda il Regolamento D.P.P. 3 maggio 2006 n. 19.

[55] Tar Bolzano, 8-1-1996 n. 3: Perciò non è tale, ad es., chi fa l’albergatore. La qualità di coltivatore diretto non è dimostrata dalla appartenenza ad una associazione di coltivatori (ad. es. Bauernbund) poiché ad essa appartengono anche imprenditori agricoli non coltivatori; e non basta la dimostrazione di aver pagato i contributi unificati, per i quali è richiesta solo una autocertificazione.

[56] Che d’ora in poi chiameremo solo Commissione.

[57] Consiglio di Stato 645/1982, in relazione alla normativa allora vi­gente, ora abolita.

 

[58] Consiglio di Stato 169/1993. Tar 76/2018. Ampiamente sui problemi di svincolo, si veda CdSt 3021/2020.

[59] Così si era invece espressa, sorprendentemente, la Commissione provinciale; CdSt. 322/1979.

[60] Consiglio di Stato 600/1979, 500/1979, 501/1979, 306/1983

[61] Contra Cass. 7056/1999: "La prelazione ereditaria, che, come ogni altro diritto di prelazione (urbana o agraria), non trova applicazione quando gli atti di alienazione non sono riconducibili ad una libera determinazione del proprietario non si applica in sede di vendita fallimentare". Idem Cass. 7056/1999 per la vendita fallimentare  Ma non si trova da nessuna parte il motivo di richiedere tale "libera determinazione" e il perché si debba ledere un diritto di prelazione senza necessità. Personalmente ho sempre scritto i bandi evidenziando le possibili prelazioni emerse in sede di stima.    

 

[62] Si veda l'apposito capitolo: Il sistema tavolare - L'usucapione nel sistema tavolare.

[63] Secondo il Tar, sent. 03.02.2005 n. 41, l'aggregazione non deve essere condizionata, ma ha errato. Nel caso specifico si voleva appore la clausola che in caso di rivendita del bene distaccato, il primo veditore godeva di un diritto di prelazione. Non vi era alcun motivo di negare ciò; si veda ora la già citata sentenza, Cass. n. 2983 del 27/02/ 2012.

[64] Di fronte a richieste di distacco si deve tener conto che è principio base quello della conservazione del maso nella sua consistenza. CdSt. 4274/2019

[65] Il Tar, sent. 5 novembre 2002 n.466 ha deciso che il dover dare una abitazione alla moglie separata, non costituisce una grave ragione di natura economico-sociale e non consente il distacco di un immobile o sua parte. E comunque violerebbe il principio di indivisibilità del maso nella sua parte essenziale.

Le disposizioni sono di dubbia legittimità per l’eccessiva indeterminatezza; i termini; notevole, socio-economico, casi eccezionali, implicano valutazioni soggettive e umane, non mo­tivabili e quindi possibili fonti di disparità di trattamento.

[66] Il termine idonei è molto generico; forse sarebbe meglio limitarsi a vietare atti sicuramente controproducenti, non per il richiedente, ma per il maso.

[67] Consiglio di Stato 598/1991.

[68] Le disposizioni sub a) e b) sono di dubbia legittimità per l’eccessiva indeterminatezza; i termini; notevole, socio-economico, casi eccezionali, implicano valutazioni soggettive e umane, non mo­tivabili e quindi fonte di disparità di trattamento.

[69] La differenza rispetto al punto precedente è che in questi casi viene meno il requisito dell’equivalenza economica. La norma è formulata in modo sovrabbondante perché in pratica è sempre richiesta l’aggregazione.

[70] L'autorizzazione da parte di apposita commissione comunale imposta dalla legge della provincia di Bolzano 29 marzo 1954 n. 1 (recepita nel T.U. 7 febbraio 1962 n. 8) per gli atti privatistici che comportino modificazioni dell'estensione del maso chiuso, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, deve precedere l'atto per cui è prescritta e non può utilmente seguirlo con effetti di convalidazione, perché ha l'effetto di rendere commerciabili beni altrimenti non disponibili. Cass .5151/1982. Ed anche: L'autorizzazione da parte di apposita commissione amministrativa, che, ai sensi dell'art. 9 della legge della provincia di Bolzano 29 marzo 1954 n. 1 (recepito nel T.U. Delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della giunta provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978 n. 32), è necessaria, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, per gli atti privatistici che comportino modificazioni dell'estensione del maso chiuso, non svolge il ruolo di mera condicio iuris, ma ha l'effetto di rendere commerciabili beni altrimenti indisponibili e, pertanto, deve precedere l'atto per cui è prescritta e non può utilmente seguirlo con effetti di convalidazione. Cass. n. 5010/1985

[71] Si veda, per analogia, la sent. n. 755/1963, scritta dal grande giurista Stella Richter (Foro It. 1963, I ,903).

[72] Cass. 31-1-2008 n. 2317

[73] Nel testo tedesco Betriebsaufsto­ckung.

[74] Cass. 28 febbraio 2012 n. 3011: Qualora il proprietario di un maso chiuso eserciti il diritto di prelazione agraria acquisendo, in tal modo, la proprietà di terreni confinanti, egli agisce non in detta qualità, bensì in quella di coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti; ne consegue che, al fine di esercitare la prelazione, egli non necessita dell'autorizzazione da parte della commissione amministrativa (dei masi chiusi) di cui all'art. 7 della legge della Provincia di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17, non costituendo il fondo acquistato un ampliamento del maso chiuso. Può quindi rimanere un fondo volante.

[75] Questo diritto di prelazione era già chiaro in base alla Legge 817/1971. A seguito di contrarie decisioni di giudici, il prin­cipio è stato ora espressamente affermato dalla L. P. 10 giugno 2008 n. 4. Nello stesso senso la Cassazione 3011/2012, già riportata. Con sentenza n. 20910 del 17/10/2016 la Cass. ha precisato che sono esclusi dalla prelazione tutti i terreni la cui destinazione sia da considerare urbana, in contrapposizione a quella agricola.

[76] Il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall'art. 732 cod. civ., prevale alla stregua di quanto sancito dall'art. 8, ultimo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, sull'analogo diritto del coltivatore diretto del fondo (sia questi mezzadro, colono o compartecipante), quando anche il coerede sia coltivatore diretto e sia trasferita, a titolo oneroso, la quota di proprietà di un fondo facente parte di una comunione ereditaria indivisa. (Cass, 25052/2013)

[77] Questo argomento era stato affrontato nel Trattato delle successioni e delle donazioni, Giuffré 2009, curato da Giovanni Bonilini, ad opera di Fabio Valenza. Si veda anche C. Frassoldati, Il maso chiuso e le associazioni agrario-forestali dell'Alto Adige nella recente legislazione della provincia di Bolzano, in Rivista Diritto Agrario, 1962, 1, 298.

[78] I legatari e il coniuge che non ricevono una quota del patrimonio, ma solo diritti su di esso, non sono eredi.

[79] La qualità di assuntore di un maso chiuso si acquista direttamente in forza di legge. Pertanto all'erede avente tale qualità spetta un vero e proprio diritto all'assunzione, indipendentemente dal riconoscimento che del diritto stesso facciano comunque i coeredi o il giudice. Cass, 2498/1972

[80] La L.P. non ha tenuto conto che con l'introduzione della figura dello amministratore di sostegno (L. 9 gennaio 2004, n. 6) sono praticamente spariti gli interdetti e gli inabilitati. Sul piano pratico è ovvio che chi riceve un amministratore di sostegno, rientra necessariamente fra gli inabilitati o interdetti, ma sarebbe bene formalizzare questa nozione nella legge provinciale.

[81] La legge del Tirolo, art. 18, forse più opportunamente, ha conservato una precisa elencazione delle cause di inidoneità, ai fini della scelta fra gli eredi. È inidoneo chi:

1. a causa di una malattia mentale, o di una analoga menomazione della sua capacità di prendere decisioni o a causa di una menomazione fisica, è evidentemente incapace di lavorare in azienda in modo permanente;

2. a causa di una evidente e persistente tendenza a sprecare, a bere o ad abusare di stupefacenti, dà motivo di temere che manderà in rovina il maso;

3. è assente per più di due anni senza dare notizia di sé in circostanze che rendono dubbio un ritorno entro un termine ragionevole;

4. esercita una professione che gli impedisce, in modo non saltuario di seguire personalmente la gestione del maso, vivendo in esso.

[82] Cass. 254/1964: Nel procedimento di volontaria giurisdizione si richiede nei soggetti non la stessa capacita richiesta per il processo contenzioso, ma la capacita negoziale, da stabilirsi in base alla natura dell'affare (di ordinaria o straordinaria amministrazione) oggetto del procedimento. Pertanto, il minore emancipato non ha bisogno di assistenza alcuna se il procedimento ha per oggetto un affare di ordinaria amministrazione. Ha natura di ordinaria amministrazione l'affare oggetto del procedimento non contenzioso regolato dagli artt. 25 -25g del t.u. della provincia di Bolzano 7 febbraio 1962 n 8 per determinare il prezzo di assunzione del maso chiuso…. Nei negozi unilaterali recettizi - i quali, a norma dell'art 1334, producono il loro effetto dal momento in cui vengono a conoscenza del destinatario - non e normalmente da esigere in quest'ultimo una capacita più ampia di quella richiesta per gli atti di ordinaria amministrazione e cio almeno nel caso in cui l'atto sia diretto a realizzare un effetto rispetto al quale il destinatario di esso non abbia da compiere alcuna attività, o, se contro l'atto sia consentita reazione, questa sia sempre possibile in quanto dalla recezione del negozio unilaterale non decorrano termini di decadenza al fine di esercitare diritti per cui occorre la capacita piena. Pertanto, per la dichiarazione, di cui all'art. 31 del T.U. della provincia di Bolzano 7 febbraio 1962 n 8 sui masi chiusi, del primo chiamato, secondo l'ordine di preferenza fissato dall'art 18 dello stesso t.u,, di voler assumere il maso (la quale e una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia, in quanto deve essere notificata a mezzo di ufficiale giudiziario agli altri coeredi), basta dal lato passivo, quanto alla sua presa di conoscenza, la capacita limitata propria del minore emancipato.

[83] Con ordinanza 4 ottobre 2018 n. 24216 la Cassazione ha chiarito che in caso di successione per rappresentanza (ad es. i nipoti del de cuius chiamati in luogo del padre premorto) i requisiti devono ricorrere in capo ai nipoti e non in capo al padre premorto.

[84] Cass. n. 8208 del 22/04/2016: Ai fini del riconoscimento del diritto all'assunzione del maso chiuso per successione legittima, il requisito della "abitualità" della conduzione e della coltivazione dello stesso, previsto dall'art. 14, comma 1, lett. b, della l.p. Bolzano n. 17 del 2001, va interpretato nel senso per cui essa non è esclusa dalla stagionalità del lavoro svolto dall'aspirante assuntore nel maso (consistente, nella specie, nella concimazione e nella fienagione annuale), che può dipendere dalle caratteristiche del fondo, mentre richiede che l'attività sia replicata ciclicamente, con continuità, nel tempo.

[85] L'art. 17 è intitolato Legatario o assuntore con atto tra vivi. Ovvio che il legatario può essere designato solo con un atto unilaterale del disponente, avente le stesse forme del testamento.

[86] Il titolo e parte dell'articolo sono stati modificati con la LP 2018 n. 5.

[87] Come visto all'art. 14, l'idoneità ora viene valutata per titoli e non in base a situazioni fisiche o psichiche.

[88] Sul punto si veda anche quanto scritto nell'apposito capitolo dedicato alla valutazione dei masi. La norma, poco chiara, sembra dire che il maso deve essere valutato solo in base alla redditività senza tener conto di consistenza e stato degli edifici. È ovvio però che gli edifici devono essere presi in considerazione tenendo conto di volumi, che potrebbero essere insufficienti o sovrabbondanti, dello stato di conservazione, della possibilità di destinazione ad altri usi consentiti, del fatto se essi richiedano o meno investimenti, ecc.; tutti elementi che influiscono sulla redditività del maso, necessariamente proiettata verso il futuro.

 

vuol dire che non si procede ad una valutazione autonoma degli edifici; essi verranno valutati con diversi criteri di stima ed è importante valutare la loro vetustà, il loro stato di conservazione, gli investimenti che richiedono, le possibilità di ampliamento. Il legislatore è stato troppo sintetico; il problema era già considerato nella legge della provincia di Hannover del 1874, art. 15: gli edifici già esistenti non vengono stimati a parte se necessari come abitazione e per la coltivazione, ma solo in relazione al valore del loro utilizzo il quale può realizzarsi o affittando o in altro modo. Perciò devono essere valutati secondo il criterio della redditività, come previsto per i terreni.

[89] Il terzo comma recita: Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge. (Così modificato dal D. L.vo 18 maggio 2001, n.228.)

[90] Il regolamento non è stato ancora emanato. Esso dovrà indicare che nella valutazione è necessario tener conto della esistenza o meno di un corretto inventario dei beni aziendali, dello stato delle costru­zioni, delle possibilità edificatorie ancora disponibili, del concreto reddito realizzabile, dei pesi e vincoli sui beni, degli oneri che l’as­suntore dovrà assumersi.

[91] La Legge della Provincia di Hannover del 1874 già stabiliva: Il reddito annuo così stabilito e moltiplicato per venti dà il capitale. Quindi già si capitalizzava al 5%. Però attualmente l'indice di capitalizzazione deve essere reale ed attuale.

[92] Cass. 6532/1994

[93] Il significato del termine si rinviene nell’art. 29 della L.P., esposto più avanti.

[94] Corte costituzionale - Sentenza N. 173 del 10.05.2010 - Legittimità di una disposizione statale, che prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione prima di proporre una domanda giudiziale relativa all'ordinamento dei masi chiusi. Osserva la sentenza che si tratta di una misura di carattere processuale con chiari intenti di deflazione del contenzioso, la cui estraneità rispetto alla trama normativa che, conformemente alla sua cristallizzazione nel tempo, regola la figura giuridica del maso chiuso è evidente. Quindi gli ambiti di competenza legislativa provinciale risultano inviolati dalla norma censurata.

[95] Cass. 23 aprile 2015 n. 8306: L'improponibilità della domanda relativa all'ordinamento dei masi chiusi in conseguenza del mancato esperimento del preventivo tentativo di conciliazione, di cui all'art. 35, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340, è rilevabile d'ufficio anche in grado d'appello, ove la questione non sia stata già proposta e decisa in primo grado, ovvero se comunque la stessa non sia preclusa per effetto dell'acquiescenza della parte soccombente o della mancata riproposizione ad opera della parte vittoriosa, dovendosi assicurare effettività all'osservanza di un onere imposto dalla legge in funzione delle finalità di interesse pubblico di favorire la composizione anticipata della lite e di evitare l'aumento incontrollato delle controversie attribuite al giudice civile.

[96] La legge parla, all’art. 21, prima di contenziosi diretti a far valere un diritto in relazione alla applicazione della presente legge per i quali è competente il giudice ove è sito il maso e, subito dopo, di contro­versie in materia di masi chiusi concernenti l’assunzione e la deter­minazione del prezzo e solo per queste prevede il rito speciale del lavoro e il tentativo di conciliazione. Si tratta pertanto di norma ec­cezionale di stretta interpretazione. Era quindi errato l'orientamento del Tribunale di Bolzano di estendere ad altre ipotesi il tentativo di conciliazione e il rito speciale. Una volta deciso il de­stino del maso, non vi è motivo alcuno di privilegiare le liti su diritti reali e di interessare ad esse un ufficio amministrativo.

[97] Le norme sulla conciliazione erano state dapprima regolate dalla L. statale 34 novembre 2000 n. 340. art. 35. Successivamente sono state assorbite nella legge sui masi chiusi.

[98] In precedenza la determinazione del solo prezzo di assunzione era trattata come procedimento di volontaria giurisdizione (art. 25 DPGP 1962 n. 8).

[99] I commi 2, 3, e 4 dell’art. 24, ora abrogati, regolavano il caso in cui chi aveva ottenuto il diritto alla assun­zione, non accettasse nel modo seguente: l’assuntore ha 30 giorni di tempo per decidere se ac­cettare o meno; se accetta o se lascia trascorrere il termine senza de­positare una dichiarazione di non accettazione, diviene l’assuntore. Se rifiuta, vengono convocati i coeredi i quali dichiarano se inten­dono o meno assumere loro il maso al prezzo stabilito, secondo l’ordine di preferenza esposto nell’art. 14. Se nessuno si offre il giu­dice fissa nuova udienza con prezzo diminuito di 1/6 e così via, di udienza in udienza, fino a che qualcuno non accetta.

[100] I frutti maturati prima dell’intavolazione diventano di proprietà dei coeredi ai sensi degli artt. 820 - 821 C. C. (Cass. 17-3-93 n. 3155), salvo ovviamente gli effetti di annotazioni di lite che facciano retroa­gire gli effetti della intavolazione.

[101] Si veda anche l’art. 32 per il caso di assunzione consensuale.

[102] La legge provinciale 4/1970 prevedeva la concessione di contributi all'assuntore per il pagamento del prezzo di assunzione, sia da rimborsare a rate, sia a fondo perduto, ma non è più applicabile. Uniche agevolazioni in vita sono quelle fiscali per la piccola proprietà contadina.

[103] Una sciocchezza perché la vendita all'asta è destinata per legge ad ottenere il miglior prezzo e comporta che vi siano anche debiti da pagare. E se il debito è simulato, non resta nulla da restituire all'esecutato.

[104] Si veda il capitolo dedicato all'argomento degli espropri.

[105] Ad es. se la vendita avviene nell'anno 2000 e il venditore campa fino al 2020, si applica la suppletoria ad una vendita fino a tale anno; se il venditore muore nel 2005 si può procedere a suppletoria solo fino la 2015.

[106] Questo istituto che regola l’assistenza agli anziani e al coniuge prende il nome, in Austria e Sudtirolo, di Ausgedinge o Altenteil (questo solo per gli anziani); in Baviera di Austrag. La casa separata, a loro destinata, prendeva il nome di Korb­haus, Ellerhaus, Austra­ghaus, Ausgedingehaus, Auszughaus, Stöckli (in Svizzera).

[107] Si intende il giudice della volontaria giurisdizione che decide in Camera di Consiglio come da artt. 737 ss. c.p.c.

[108] Tar, Sent. 5 luglio 2004, n. 332 - La liquidazione di un maso è possibile se lo stesso non può più generare un reddito che sufficiente a mantenere due persone. Per valutare questo requisito la legge richiede che debbano esserci circostanze che "riducono in modo permanente il reddito dell'azienda agricola". Sono circostanze oggettive e non soggettive. È irrilevante che il proprietario abbia in concreto realizzato o meno il reddito. Piuttosto, è da valutare se i fondi sono idonei a generare il “rendimento medio annuo previsto". Idem Tar, Sent. 19.01.2000 n. 11: è una valutazione oggettiva; sono irrilevanti le situazioni personali o familiari.

[109] Tar, Sent. 29.05.2006 n. 243. Il confinante di un maso non ha alcun interesse tutelabile al suo scioglimento.

[110] Forse sarebbe stato opportuno prevedere il controllo e la possibilità di ricorso per ogni tipo di atti delle Commissioni locali, stante il pre­valente interesse pubblico.

[111] La Commissione non è un collegio perfetto ed eventuali irregola­rità nella sua composizione non comportano invalidità del parere od autorizzazione. (Tar Bolzano 29-11-2002 n. 530).

[112] Tar, Sent. 5 luglio 2004, n. 334. - Il termine di 30 giorni stabilito dall'art. 44 co. 3 L.P. 28 novembre 2001 n. 17 ai fini della proposizione di un reclamo alla Commissione provinciale per i masi chiusi da parte della Ripartizione provinciale agricoltura, avverso un'autorizzazione alla costituzione o svincolo di maso chiuso rilasciata dalla commissione locale, può essere interrotto unicamente nel caso di incompletezza degli atti che renda necessario l'invio di ulteriori informazioni. Non è quindi idonea ad interrompere il termine di legge la richiesta formulata dal competente ufficio provinciale ad altro ufficio della stessa Ripartizione della Provincia per l'acquisizione di notizie su requisiti oggettivi a fondamento dell'autorizzazione, senza che fosse rilevata l'incompletezza degli atti pervenuti dalla commissione locale.

[113] Tar Bolzano 185/2004. Affermazione troppo categorica; non si comprende perché la commissione non debba precisare i limiti e le situazioni entro cui la sua autorizzazione è valida; il che costituisce una condizione implicita.

[114] Al riguardo si veda la L.P. del 25 luglio 1970, n. 16 sulla tutela del paesaggio.

[115] Non ha un nome; nel linguaggio burocratico tedesco è detta Sonderkommission o Soko.

[116] Dal sito www.tutelaespropri.it

[117] Si definiscono terreni agricoli quei terreni in relazione ai quali il P.r.g. non prevede possibilità di edificazione.

[118] In questi paragrafi non intendiamo esporre come si fa una stima, ma vogliamo comprendere come funziona una stima, come si può pervenire a valori corretti, come deve agire il buon perito, quali sono i pericoli di una perizia che si affida a formulette matematiche. Per la parte più tradizionale sulle stime agrarie si veda il Manuale dell'Agronomo di G. Tassinari, ed. 1942.

[119] Marco Simonotti, Ricerca sul saggio di capitalizzazione del mercato immobiliare, Università di Firenze, 2011.

[120] I periti non si accorgono mai quanto sia ridicolo fare calcoli all'euro o al centesimo in stime approssimate, in cui le variazioni sono di migliaia di euro!). Per inciso la Corte ha dichiarato inammissibile la questione perché non è stata in grado di valutare gli aspetti matematici del problema!

[121] Cfr. M. Polelli, Trattato di Estimo, 1997. Egli scrive: "L’impossibilità di definire un collegamento algoritmico tra reddito e valore" … deriva dalla mancanza sia di un riferimento al reddito ordinario sia di un saggio che leghi tale reddito al valore". Si veda anche Stefano Amicabile, Valore di mercato e capitalizzazione dei redditi, una procedura anacronistica, Rivista di Agraria.org, 2007 n. 35

[122] Queste conclusioni sono prese dalla Rivista Agraria.org, pagina https://www.agraria.org/estimo%20economia/valorefondirustici.htm che ho apprezzato per la chiarezza e linearità.

[123] Produzione Lorda Vendibile. E il valore che si ottiene sottraendo dalla produzione lorda totale (Plt) di una azienda agricola i reimpieghi che vengono effettuati in azienda (definibili come produzione reimpiegata o Pr.

[124] Per completezza riporto le norme parallele della legge tirolese:

Articolo 21 - valore di assunzione

- se il defunto non ha lasciato nessuna disposizione in ordine al valore di assunzione e se gli eredi non riescono a mettersi d'accordo, il giudice delle eredità provvede a stabilire il valore del maso (o della parte lasciata in eredità), secondo una valutazione equa tale che l'assuntore la possa sopportare. Per fare ciò bisogna tenere adeguato conto della redditività del maso, o della sua parte. Si deve tener conto delle pertinenze, che non vanno valutate autonomamente;

- un'azienda che viene esercitata sul maso chiuso e che non è di scarso significato economico deve essere stimata autonomamente, tenendo conto del valore di mercato;

- il giudice delle eredità deve nominare almeno due periti per la valutazione e gli eredi possono partecipare alle operazioni di stima e esporre le loro osservazioni.

[125] Non è ben definita la nozione di agricolo. Si vuol impedire la speculazione edilizia e quindi non sono agricoli i terreni edificabili; al di fuori di essi tutti i restanti terreno sono agricoli perché usabili, nella peggiore delle ipotesi per pascolo e rimboschimento.

[126] Consiglio Nazionale del Notariato, Novità fiscali nel settore agricolo (Studio n. 1-2016/T).

[127] Il comma 4 bis recita : Al fine di assicurare le agevolazioni per la piccola proprietà contadina, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, posti in essere a favore di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, nonché le operazioni fondiarie operate attraverso l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), sono soggetti alle imposte di registro ed ipotecaria nella misura fissa ed all'imposta catastale nella misura dell'1 per cento. Le agevolazioni previste dal periodo precedente si applicano altresì agli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni agricoli e relative pertinenze, posti in essere a favore di proprietari di masi chiusi di cui alla legge della provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17, da loro abitualmente coltivati. Gli onorari dei notai per gli atti suindicati sono ridotti alla metà. I predetti soggetti decadono dalle agevolazioni se, prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 11, commi 2 e 3, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, nonché all'articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni.

[128] Dal sito www.tcnotiziario.it, 2 febbraio 2017

[129] Stante il metodo demenziale di legiferare in modo scoordinato, l’esenzione dall’imposta di bollo, così testualmente disposta per gli atti, rimette in gioco la previsione della tariffa di tale imposta che prevede il trattamento delle copie distinto da quello dell’originale. E poiché la disposizione in esame non replica la formulazione relativa al bollo contenuta nell’art. 21 D.P.R. 642, l’esenzione non può estendersi alle copie! Ma si spera che la cavillosità interpretativa si fermi di fronte a tali assurdità.

[130] La decadenza per alienazione deve necessariamente far riferimento all’acquirente, per il quale può valere, non riscontrandosi alcun motivo per limitarne la portata, quanto stabilito dallo stesso art. 2 comma 4-bis del DL (il quale fa salvo l’art. 11 comma 3 del D.lgs. n. 228/2001, secondo cui non incorre nella decadenza dei benefici l'acquirente che, durante il periodo vincolativo di cui ai commi 1 e 2, ferma restando la destinazione agricola, alieni il fondo o conceda il godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano l'attività di imprenditore agricolo di cui all'articolo 2135 del codice civile, come sostituito dall'articolo 1 del presente decreto. Le disposizioni del presente comma si applicano anche in tutti i casi di alienazione conseguente all'attuazione di politiche comunitarie, nazionali e regionali volte a favorire l'insediamento di giovani in agricoltura o tendenti a promuovere il prepensionamento nel settore.

[131] Nel capitolo dedicato ai patti di famiglia abbiamo visto come essi si applichino alle aziende agricole e a tutti i masi chiusi

[132] Informazioni tratte da uno studio del notaio Massimo d’Ambrosio.

[133] Il codice civile italiano, del 1942, ma già oggetto di R.D, dal 1938 al 1941, non richiama mai la legge tavolare del 1929, consapevole della loro reciproca autonomia.

[134] Sulla evoluzione del sistema tavolare fino al 2016 si legga l'accurato studio dell'Università di Trento: A. Nicolussi e G. Santucci, Fiat Intabulazio, Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza n. 25.

[135] La parte che segue sulla struttura del libro fondiario, è ricavata dalla pagina Web del libro fondiario della provincia di Trento, www.librofondiario.provincia.tn.it, e da quella del Tribunale di Gorizia (www. tribunale.gorizia.giustizia.it), molto chiare e precise Per la provincia di Bolzano si veda www.provincia.bz.it/ agricoltura/ download/ Grundbuch_ita.pdf.

[136] La scelta del maso è stata puramente casuale.

[137] In regime tavolare, l'acquirente da chi non è proprietario dello immobile venduto, non può unire il possesso dell'autore del trasferimento al proprio perché, mancando l'intavolazione a favore del dante causa ed avendo l'iscrizione nel libro fondiario valore costitutivo dell'acquisto della proprietà, viene a mancare anche in astratto il titolo idoneo a trasmettere la proprietà o altro diritto reale che importi come conseguenza la sostituzione nel possesso di un soggetto ad un altro. Cass. 4 agosto 1978 n. 3840. Ma anche: Nel sistema tavolare in vigore nelle ex province austro-ungariche, l'intavolazione ha rilevanza costitutiva solo in ordine ai trasferimenti per atti tra vivi e non per gli acquisti titolo originario, tra i quali e compresa l'usucapione. Cass,18 ottobre 1978 n. 4685.

[138] Per una specifica elencazione di altre norme del codice civile, inapplicabili nel regime tavolare, si veda l'art. 12 L. tavolare.

[139] L'art. 12 L. tavolare, nel testo originale, dichiarava non applicabile l'art. 2137 (c.c. 1865) in cui si stabiliva: Chi acquista in buona fede un immobile o un diritto reale sopra un immobile in forza di un titolo, che sia stato debitamente trascritto e che non sia nullo per difetto di forma, ne compie in suo favore la prescrizione col decorso di dieci anni dalla data della trascrizione. La norma non poteva essere applicata proprio perché richiamava una tutela della buona fede, non conciliabile con il sistema tavolare. Se si intende la parola fede in altri sensi, si potrebbe sostenere che si deve tutelare anche chi ha fede nei Santi!

[140] Si veda Presern, Kommentar zum allgemeinen Grundbuchgesetz, Wien, 1875. Attualmente la legge austriaca (Allgemeines Grundbuchs­gesetz 1955) prevede la possibilità di ricorrere contro l'intavolazione di acquisto dall'apparente proprietario tavolare da parte di un terzo in buona fede (art. 63), ma con brevi termini di decadenza e prescrizione (art. 64). Ciò anche nel caso chi intavolazione originaria fosse frutto di un reato (art. 65).

[141] a) A parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire. b) Non moltiplicare le categorie più del necessario. c) Non considerare la pluralità se non è necessario. d) È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.

[142] La frase è solo apparentemente corretta. È vero che la sentenza che accerta una usucapione ha, fra le parti in causa, valore di sentenza costitutiva, ma se essa non viene intavolata (o se non era stata annotata la lite) non esiste per i terzi. La sentenza sarà esecutiva, ma non si costituisce nulla se non viene intavolata.

[143] Affermazione apodittica.

[144] Cass. 23 luglio 2008 n. 20303; sentenza forse un po' semplicistica. Non è vero che unico principio da osservare sia quello della indivisibilità e se l'assuntore ha posseduto un terreno come se facesse parte del maso, il terreno deve entrare a far parte del maso, non può diventare un fondo volante, e ci vuole l'autorizzazione della Commissione.

[145] In tema di ordinamento dei masi chiusi l'acquisto per usucapione di un bene facente parte di un maso chiuso deve ritenersi possibile, in quanto il riconoscere tutela a chi ha posseduto per il tempo necessario all'usucapione, a scapito di chi invece si è disinteressato del bene, non contraddice il principio dell'indivisibilità del maso chiuso, che è previsto proprio per assicurare le esigenze della produzione e gli scopi di economia familiare, che, invece, quel comportamento di disinteresse non preserva. Cass. 10 giugno 1998 n. 5726.

[146] In tema di acquisto per usucapione di un bene facente parte di un maso chiuso trova applicazione la disciplina di cui all'art. 9 della prima legge fondamentale sui masi chiusi, secondo cui per tutti i cambiamenti nell'estensione di un maso chiuso nonché nella consistenza dei relativi diritti reali, che non siano derivanti da espropriazione per pubblica utilità, è necessaria l'autorizzazione della commissione locale per i masi chiusi). Cass. 19 agosto 2002.

[147] Si veda anche al capitolo; Perdita della qualifica e svincolo del maso

[148] Cass. 20-02-2008 n. 4327: vedi più sotto l'intera massima.