In questo mio sito ho creato il
Corpus o Thesaurus della facezia e della novellistica italiana in
prosa, dal XI al XVI secolo; mi sono fermato alla Controriforma
che spense per almeno un secolo la libertà di pensiero del
Rinascimento.
Questa è la più grande opera di recupero di testi sull' argomento
tentata dopo l'Ottocento. Vi si possono leggere 2300
Facezie di 15 autori per 1564 pagine e 2017
novelle di 34 autori per circa 16.000 pag. Ho aggiunto
poi 13 testi complementari, essenziali per chi volesse
approfondire l'argomento, per 6400 pagine. In totale sono
24.000 pagine comprese le varie prefazioni originali, spesso molto
approfondite.
I testi sono tutti integrali ed ho conservato anche le introduzioni e
presentazioni originali. Non sono riuscito a trovare l'intera raccolta
delle 81 novelle di Piero Fortini e perciò pubblico solo ciò che ho
trovato.
I testi originali sono stato trascritti o restaurati.
Trascriverli ha significato trasformarli in formato testo con un
programma di OCR, correggere gli inevitabile errori, e poi salvarli in PDF.
Il restauro è stato fatto sui testi di bassa qualità di stampa, la cui
lettura con il programma di OCR avrebbe dato risultati
inaccettabili. Perciò, usando programmi di grafica, ho restituito
il colore bianco alle pagine ingiallite, ho tolto macchie, graffi,
sottolineature e note di sciagurati lettori, ho tolto i timbri che
altrettanto sciagurati bibliotecari imprimevano sul testo,
cancellandolo, al fine di evitare il furto dei libri, ho rinforzato i
caratteri sbiaditi. In sostanza le pagine sono ritornate allo stato
originario, fresche di stampa. Non ho potuto eliminare ì difetti
dovuti a caratteri scadenti a o inchiostratura non perfetta.
Tutti i volumi salvo due, sono stati trasformati in un formato pagina
moderno di 14,5x27,5 cm. Spesso il formato originario era da
libro "tascabile", oppure il riquadro del testo era piccolo, ma con
grandi margini attorno.
Nel fare queste operazioni su alcuni libri digitalizzati da Google è
sparita la relativa filigrana. Era cosa inevitabile e me ne scuso.
Ringrazio Google, Archive.org., Gallica e la Bibliotèque Nationale de
France per aver messo a disposizione del mondo una massa
imponente di testi del passato. È triste pensare che molti
dei testi li ho trovati tradotti in inglese, francese o tedesco e, solo
con difficoltà, in italiano, e che le nostre biblioteche sembrano
pensare che il patrimonio culturale sia formato da volumi da guardare
ma non toccare, invece che dal loro contenuto da fornire senza limiti a
tutti!
Ed è ancora più triste vedere che il diritto d'autore, mal pensato da
gente che guarda solo ai propri interessi personali, consenta che sia
vietato di riprodurre opere interessanti per la cultura, ma che
sicuramente non hanno più alcun valore economico per il loro autore e
che mai più verranno ristampate.
Le opere riportate hanno contribuito al miglioramento della lingua
letteraria italiana, introducendovi modi e dire del popolo, in
contrasto con quelle sciocche teorie (ad es. del Bembo) che volevano
vincolarla a Dante e Boccaccio.
INTRODUZIONE
Mieulx
est de ris que de larmes escrire,
pource que rìre est le propre de
l’homme
RABELAIS
Nel Rinascimento ritorna la libertà di pensiero dell'uomo colto,
gli uomini prendono conoscenza della potenzialità dell'individuo,
sciolto da medievali opprimenti strutture e delle possibilità che
ciascuno ha di farsi strada come principe, politico, capitano di
ventura, commerciante, artista. È l'epoca dell'individualismo che tanto
slancio darà allo sviluppo della società e della cultura. Peccato che
il destino dell'individualismo sia di essere sopraffatto dal
predominio ondivago e incontrollabile delle masse.
La letteratura si slega dai molti schemi retorici del passato e si apre
ad una specie di realismo: la vita quotidiana di nobili e
borghesi diventa oggetto di narrazione; facezie e novelle sono una
specie di mezzo di comunicazione dell'epoca per trasmettere fatti
dilettevoli, battute, scherzi. Le lunghe serate da passare assieme
richiedono che vi sia chi sa narrare, chi sa intrattenere gli altri
anche per ore raccontando cose interessanti e possibilmente allegre.
Argomento d'elezione è quello scandalistico e finalmente la nuova
libertà consente di parlare di corna e di sesso e dei peccati del
clero. La chiesa cattolica, non sapendo come spiegare il male presente
nel mondo, non aveva saputo far di meglio che attribuire tutti i mali
al sesso: questo si poteva fare solo per procreare e senza troppo
godere, ma ogni altra attività era peccato di cui non si doveva parlare
se non con il confessore, per non indurre altri in tentazione! Il sesso
ovviamente si praticava in tutte le sue forme, ma si faceva finta che
non ci fosse. Il fatto che l'essere umano avesse scoperto (unico
con le scimmie bonobo) che il sesso non significa solo riprodursi una
volta all'anno era solo una invenzione del diavolo per fregare un po'
di anime a Dio.
Ma una cosa deve essere chiara: né nelle facezie né nelle novelle non
vi è nulla di pornografico; semplicemente si raccontando le cose come
sono nella realtà, con parole usate dal popolo, dai commercianti, dai
soldati, dai nobili. Si potrebbe parlare di un atteggiamento
goliardico. Non vi è nulla che attualmente un bambino di 10 anni non
senta e veda tranquillamente in televisione. Il fatto di parlare di
sesso e di clero è solo un modo per sbattere in faccia ai censori la
ritrovata libertà di pensiero espressione. Non vi è nessuna intenzione
di lubricità o di ricerca dell'oscenità (salvo rarissimi casi come nei
sonetti lussuriosi o nei dubbi amorosi dell'Aretino) e quindi solo
un'ottusa volontà di censura poteva trovarvi qualche cosa di
riprovevole o di dannoso per la società. Eppure questa mentalità
censoria è sopravvissuta fino ai tempi nostri con processi a Flaubert
per Madame Bovary, a Nobile per "Quelle Signore" , negli anni 20, ad un
giornalista che negli anni 50 si era permesso, in periodo di Anno
Santo, di fare lo schizzo del sedere di una ballerina chiamandolo "Ano
Santo", fino agli anni 60 in cui in televisione si evitava di parlare
delle gambe del tavolo o delle poltrone! Fino ad allora imperava la
regola che tutto ciò che poteva provocare una erezione al giudice o al
censore era osceno e vietato!
Però, in base a questa regola, la facezia e la novella italiana,
importantissime della storia letteraria italiana ed europea, diffuse
oralmente fra il popolo, sono state letteralmente boicottate e si è
dovuti arrivare all'800 perché si osasse ripubblicare queste opere in
forma integrale, ma sempre in edizioni ristrette per amatori. Anche il
Decamerone usciva in edizioni ampiamente ritoccate per non turbare i
giovani prima del servizio militare e le ragazze prima del matrimonio.
Ho quindi cercato di riproporre queste opere, alcune delle quali già
ampiamente note, altre che correvano il rischio di diventare
introvabili.
LA
FACEZIA
Questa è la più ampia raccolta di facezie, burle e motti del
rinascimento italiano che sia mai stata tentata. Essa ha come unico
scopo quello di fornire agli studiosi della storia della facezia o
della barzelletta tutto il più importante materiale disponibile.
Il riso è un fenomeno tipico ed esclusivo dell’uomo perché richiede la
consapevolezza di essere un individuo diverso dagli altri componenti
del branco e con una propria individualità. Di sicuro i primi uomini
radunati attorno ad un fuoco si divertivano a prendere in giro i più
giovani o gli inetti e ridevano se a qualche loro consimile capitava un
qualche cosa che consentiva all’osservatore di sentirsi superiore ad
esso. E questa è forse la chiave per comprendere lo sviluppo delle
facezia: il fatto di attribuire ad una persona un pensiero od una
azione intelligente rende omaggio a quella persona, ma fa anche sentire
il narratore compartecipe di tale intelligenza e superiorità, così come
ci immedesima con uno sportivo o un attore di successo e si tifa per
loro.
Per lungo tempo la barzelletta ha dovuto cedere il campo all’aneddoto;
ben di rado si concepiva un fatto o una battuta che non avesse la forma
di una piccola novella, con nome e cognome dell’interessato, luogo di
svolgimento dell’azione. Vale a dire che non si concepiva la
barzelletta astratta, quella basata su di un fulmineo accostamento di
idee, talmente fuori dal tempo da divenire universale,
Eppure abbiamo la prova che questo tipo di barzelletta esisteva fin
dall’antichità.
Possediamo un testo del III secolo dopo Cristo, il Philògelos
(cuorcontento) scritto in greco antico, e che contiene 248
barzellette, quasi tutte nello stile che noi chiameremmo «sui
Carabinieri »; solo che invece di essi, hanno come personaggio lo
scolastico (l’intellettuale testa d’uovo), l’avaro, gli abitanti di
varie città ( noi diremmo « di Cuneo »), ecc.
Non ci vuole molto a comprendere che già all’epoca era cosa usuale
sfottersi a vicenda e che nei convivi, se non c’era riso ed allegria,
ci si divertiva poco. La stessa storia letteraria greca e romana ci ha
tramandato illustri esempi di comicità: Aristofane, Luciano, Plauto,
Terenzio, gli Epigrammi di vari autori, farse popolari fliaciche e
atellane, ecc.; viene riportato che a Roma, nei teatri, si
organizzavano gare di battute ed aforismi. La comicità popolare è
continuata per tutto il medioevo con farse popolari e canti
studenteschi e con quell’umorismo salace di cui è rimasta un’importante
modello nel Dialogo di Salomone e Marcolfo o nel Testamento del maiale.
Nel medioevo si assiste ad una certa censura nei confronti della
comicità a sfondo sessuale, spesso rivolta contro gli eccessi del clero
Con l’Umanesimo e il Rinascimento l’umorismo adotta il modello
novellistico con i fablieaux francesi e tutte le infinite raccolte
italiane di novelle e novellette dal Sacchetti in poi. Avviene così che
la battuta lascia il posto all’aneddoto, detta facezia, che termina con
un finale più o meno arguto. Ma spesso vengono mescolate assieme
facezie con burle, truffe, risposte taglienti. Lo scopo di queste opere
non è solo il riso dell’uditore, ma il suo divertimento: il fatto di
rappresentare persone che prevalgono per la loro intelligenza,
arguzia, risposta pronta, suscita ammirazione e simpatia, narratore ed
uditore si identificano con il personaggio, così come ci si identifica
con l’eroe, e ne traggono soddisfazione.
Non bisogna dimenticare la duplice funzione di questi libri: da un lato
sono un repertorio per chi in società sperava di migliorare la sua
prontezza nel parare le battute altrui, ma dall’altro lato servivano
per intrattenere i familiari e gli amici nelle lunghe serate invernali
attorno al focolare. Il che spiega come attorno a una semplice battuta
si costruisse talvolta una novella.
Non può certo stupire il fatto che il cuore della facezia italiana sia
nella Toscana: il dialogo toscano è stato da sempre arguto, beffardo,
provocatorio, scurrile, ricco di in-venzioni verbali; tradizione che
ancora oggi prosegue ineguagliabile nel periodico livornese “Il
Vernacoliere”, curato da Ettore Borzacchetti (pseudonimo di Giorgio
Mar-chetti).
Nel rinascimento è ancora raro il meccanismo delle barzelletta
moderna, astratta e talvolta surreale in quanto svincolata da persone,
tempo e luoghi, basata su di una fulminea associazione di idee o di
parole che suscita la risata per la sua originalità. Ampio spazio trova
quindi attualmente il gioco di parole (del tipo: alcuni lavorano per i
posteri, altri per i posteriori) che ottiene il massimo della
sinteticità ed “esplosività”. Il Poliziano eccelle in questo genere
sintetico, forse perché il suo quaderno di appunti era destinato ad un
uso personale, per ricordarsi le battute.
Questo tipo di barzelletta “moderna”, basata sui doppi sensi non è
nuovo e questi si ritrovano ampiamente nel Gargatua e Pantagruel di
Rabelais o ne Il mezzo per far fortuna di Beroaldo di Verville e nei
poeti giocosi italiani, dal Pulci al Berni, ma di rado esso viene
presentato al di fuori di un certo contesto.
Per lo studioso della storia della barzelletta è interessante vedere
con quale facilità esse si diffondano da un paese all’altro (in
Germania molte facezie italiane vennero tradotte dal Bebel che vi
aggiunse farse (Schwänke e Mären) tedesche e in Francia le raccolte di facezie
italiane venivano usate per l’insegnamento dell’italiano. Ed è notevole
con quale facilità esse risorgano di tempo in tempo come battute nuove.
Cito, fra quelle che ho riascoltato nell’ultimo anno, quella del
Philògelos: Perché i peti puzzano? Affinché anche i sordi li possano
sentire; oppure le due del Polizano Dice una donna al vecchietto che
non riesce a compiere l’atto “vuoi che vada sopra io”? E il vecchietto
“ non ci riesco in discesa, figurati in salita”, e quella nella stessa
situazione, Cara di faccio male? No, vai tranquillo, la punta è rivolta
dalla tua parte. Ed il Zabata Il tutore non deve allargare la pupilla.
O, infine, da Beroaldo: Dottore, ho un disturbo strano; quando faccio
sesso con mia moglie una volta sudo tutto e un’altra volta ho i
brividi. Interviene la moglie: dottore non ci faccia caso, lui tromba
una volta a Ferragosto e una volta a Natale.
Per comprendere come le battute seguano dei percorsi popolari
sotterranei che affiorano nella letteratura anche dopo secoli, si
pensi alle battute degli studenti medievali sui gay a cui venivano
accostate parole allusive come auriculum (orecchio) e feniculum
(finocchio); quest’ultima riaffiora per la prima nel Pulci mentre la
prima riappare solo nel dialetto napoletano come recchione.
Aggiungo alcune notizie sulla storia della facezia negli altri paesi
europei che traggo liberamente dall’opera di Paul English, Geschichte
der Erotischen Literatur (Storia della letteratura erotica),1927,
trad. di Marina Montanari, ed. Sugar, Milano 1967.
FRANCIA
I francesi sono sempre stati amanti dello scrivere e del riso. Essi
amano la loro lingua come nessun altro popolo al mondo e ne hanno
fatto, attraverso i secoli, uno strumento duttile e docile. In
francese è possibile esprimere qualsiasi cosa, e tutto assume un suono
piacevole ed armonioso che non può offendere nemmeno l’orecchio più
pudico, poiché la magia della lingua fa dimenticare persino il
significato delle parole. Eduard Engel, Psychologie der französischen
Literatur, Berlino, 3“ ed., 1904, giustamente afferma:
« Il fatto che il sesso abbia nella letteratura francese una parte
preponderante non è da attribuirsi tanto ad una sensualità sfrenata,
quanto al piacere del riso. I francesi non sono tanto passionali del
sesso, quanto spiritosi del sesso. Nel Medioevo le scene e le
avventure d’amore, co-nosciute sotto il nome di fabliaux non
contenevano la minima traccia di una autentica, ardente sensualità.
Sono storielle maliziose, faunesche, dal contenuto ambiguo. In queste
storielle eterno bersaglio è il marito tradito... e anche nelle più
recenti commedie da boulevards il marito fa le spese dell’allegria
generale, persino da parte del pubblico maschile. Anche Rabelais, che
non scrisse pagina che non fosse pervasa di allusioni di carattere
sessuale, ha trattato il rapporto sessuale o in modo crudo, senza alcun
secondo fine, e semplicemente per soddisfare il proprio gusto del riso
o quello del lettore. Non c’è traccia di secondi fini seri o
lubrichi... La stessa cosa si può dire di uno dei libri antichi
peggiori di questo genere: Centonove novelle di Antoine de la Sale
(circa 1450). Una sfaccia-taggine senza limiti, un umorismo scanzonato
e irriguardoso, ma nulla che faccia pensare ad una partecipazione
sessuale nei confronti delle persone e delle cose. »
Ma le argomentazioni di Engel sono valide solamente per una parte della
letteratura erotica francese. Basterà pensare agli scrittori erotici
del XVIII secolo (Sade, Restif, Dulaurens) ed agli scrittori del XLX
secolo, particolarmente Maupassant, Zola, Flaubert, Gautier, Vcrlaine,
per concludere che essi trattarono il tema del sesso con la massima
serietà, proponendosi di raggiungere veri e propri effetti artistici.
In linea di massima le affermazioni di Engel sono valide, ma
generalizzate porterebbero a conclusioni errate.
I FABLIAUX
È noto che i moderni poeti faceti dell’Occidente, particolarmente gli
italiani ed i tedeschi, debbono molto ai fabliaux francesi. L’influenza
che hanno esercitato è evidente, e sarebbe interessante delineare le
loro evoluzioni e i loro sviluppi. Che cos’è un fabliau o una
Fabel? In sostanza è « rappresentazione poetica di un’avventura
», che generalmente si svolge entro i limiti della vita comune. Il
fabliau appartiene quindi alla poesia epica o epico-didattica. Suo
scopo principale è divertire, far ridere, e a questa caratteristica
generale alludono parecchie delle definizioni che i poeti aggiunsero ai
loro racconti, come : une trufe, une bourde, une risée, un gab.
Gradualmente il racconto assunse anche un aspetto didattico. Con poche
eccezioni i fabliaux sono scritti in distici ottonari.
I fabliaux erano la poesia della borghesia nascente, in
contrapposizione agli ideali di una poesia sentimentale e aulica. Tre
furono gli elementi che cooperarono alla loro formazione: la corrente
della narrativa orientale, con la concezione buddistica del disprezzo
della donna, la bassa condizione degli attori, e gli ecclesiastici
corrotti moralmente.
La concezione buddistica negava alla donna ogni diritto e dignità
personale, e la considerava un peso inevitabile per l’uomo, che essa
tiene lontano dalla vera vita, incatenandolo alla terra con i sensi. Il carattere decisamente ascetico
di questa dottrina tende ad affermare i privilegi del celibato. Queste
idee riaffiorano nei fabliaux e si concretizzano nel disprezzo per il
matrimonio e nella tendenza ad attribuire alla donna ogni errore, ogni
insuccesso dell’uomo. Inoltre il disprezzo per la donna è da
attribuirsi anche all’’influenza funesta degli ecclesiastici, dalla cui
penna derivano alcuni fabliaux. Anche il celibato e le sue conseguenze
divennero oggetto di satire.
Nella maggior parte dei fabliaux, l’intero racconto è imperniato su una
situazione, su un fatto erotico, e non manca mai l’umorismo erotico.
Più divertenti di tutti erano appunto i racconti in cui si trovavano
riuniti tutti i difetti della donna, dipinti a tinte fosche. Si può
dunque concludere che tutte queste farse venivano lette o rappresentate
in assenza del sesso tanto tartassato. Molte di queste farse sono
decisamente oscene.
Si può dire comunque che il carattere libertino della maggior parte dei
fabliaux era da attribuirsi per lo più all’immoralità delle donne. Esse
mostravano una particolare predilezione per le parole oscene, scherzi
volgari, ciniche ambiguità, e usavano spesso e volentieri parole
ingiuriose. I poeti Preine e Bedier dimostrano con numerosi esempi che
le donne assistevano alla lettura di farse e racconti osceni. Jean de
Condé non si vergogna di far dire ad una fanciulla nobile, parole
oscene, e di farla scherzare su cose e fatti di cui oggi si evita
accuratamente di parlare.
Della materia di questi racconti burleschi e dei fabliaux di cui si può
trovare traccia in tutte le letterature europee si è spesso indagato.
Le Grand d’Aussy e BarbazanMeon hanno rilevato nelle loro edizioni
degli antichi falbels e contes francesi rimaneggiamenti dello stesso
materiale delle letterature neolatine dei più diversi secoli. Friedrich
Heinrich von den Hagen nell’introduzione alla sua opera sui racconti
medioalto tedeschi ha affermato che essi hanno origine da letterature
orientali e neolatine. F. Liebrecht, Reinhold Kohler ed altri
hanno dimostrato nuovi parallelismi e integrazioni anche con
letterature europee minori. In una serie di lavori specialistici è
stata studiata per determinati motivi o autori, la storia delle fonti.
Bedier ha eseguito uno studio comparato sulle origini dei fabliaux. Ed
è arrivato alle seguenti conclusioni: il materiale grezzo dei fabliaux
viene in realtà in gran parte dall’Oriente, ma i poeti hanno elaborato
questo materiale in modo così prettamente francese, che questi racconti
possono essere considerati come il prodotto più genuino dell’ésprit
gaulois.
LE FARSE
Anche in Francia come in Germania, e nello stesso periodo, venivano
rappresentate farse drammatizzate. Le farse consistevano per lo più di
100-300 versi. Della maggior parte non esiste un testo scritto e
pochissimi sono gli esemplari stampati. Tutto quanto ci è pervenuto
(circa 150 commedie) cade nel periodo dal 1440 al 1450. Un nuovo tipo
di farsa, non molto diverso dalla farsa vera e propria, è la
sotie che
apparve dal 1450 in poi, in cui dei buffoni e dei pagliacci recitavano
la parte più importante.
Non mancano le farse in cui si parla di donne infedeli. Così troviamo
la storia di un marito da un occhio solo, a cui la moglie tiene chiuso
l’unico occhio affinché il suo amante possa introdursi nella casa non
visto; poi la storia del pazzo, la cui moglie ha un parto prematuro,
ecc. Venivano drammatizzate anche le galanterie degli ecclesiastici. Le
astuzie delle donne, sempre pronte ad attirare gli uomini, hanno nelle
farse una parte molto più importante che nelle commedie carnevalesche
tedesche; e l’oscenità non è affatto evitata, tuttavia nelle farse
tedesche accade molto più spesso che l’umorismo consista in un
accumularsi di sudicerie. La letteratura medioevale dei fabliaux
fornisce, stranamente, ben pochi motivi d’ispirazione. Creizenach dice
che fra 155 farse ve ne sono solo 22 che possono essere definite con
certezza fabliaux drammatizzati. Ad ogni modo è innegabile una certa
rozza e vigorosa predilezione per situazioni piccanti e volgari.
Nell’ambito della farsa si distinguono particolarmente due opere: la
Mensa philosophica e le Cent novelles nouvelles. La prima fu scritta
nel 1475. Probabilmente ne fu autore Michael Scotus. Il libro, come
dice l’autore stesso, persegue lo scopo di insegnare come si deve
conversare a tavola. La quarta parte contiene una raccolta di racconti
« allegri e decorosi », adatti per la conversazione da tenersi a
tavola. Vi sono però diverse storie molto scurrili. Bebel ne ha tratto
una gran quantità di facezie. Il Decamerone del Boccaccio (VII, 5, e
IX, 2) vi si ispira, e probabilmente servì da modello alle
conversazioni conviviali di Gargantua. Si possono attribuire con
sicurezza i primi tre trattati a Michael Scotus, che morì nel 1291,
mentre si potrebbe attribuire la quarta parte, che contiene delle farse
erotiche, ad un monaco domenicano. La Mensa servì da modello a molti
narratori farseschi.
Le Cent novelles nouvelles, da non confondersi con le Cento novelle
antiche, scritte verso il 1460 e stampate nel 1468, possono essere
considerate la prima raccolta francese di farse, e furono scritte con
un preciso scopo letterario. Per molto tempo vi furono dubbi circa la
paternità dell’opera, che fu persino attribuita al re Luigi XI. Né la
prima stampa di Verard, né quelle che seguirono, e nemmeno il
manoscritto delle novelle, scoperto da Th. Wright, contengono
all’inizio e alla fine il nome dell’autore. Si può affermare con
certezza che queste novelle sorsero nell’entourage del re. Il marchese
d’Argens afferma che alla tavola di Luigi XI si raccontavano
spesso e volentieri scurrili avventure d’amore e che è possibile che
questi trattenimenti abbiano dato lo spunto alla raccolta. Prima Wright
nella sua edizione e poi Grisebach nella seconda edizione del suo
Weltliteraturkatalog eines Bibliophilen hanno dimostrato che l’Fautore
di queste novelle è Antoine de la Sale. Della sua vita conosciamo ben
poco.
La cornice delle Novelle assomiglia alla finzione del Boccaccio. Si
tratta di novelle molto grossolane, tutte intrise di un erotismo crasso
e succulento, non certo adatte ad un pubblico femminile. Quindici di
esse si ispirano a Poggio, quattro a Boccaccio, per il resto l’autore
trasse spunto dai fabliaux del XII e del XIII secolo. Ma La Sale ha
adattato questo materiale ai gusti del suo tempo, così che esse
costituiscono uno specchio preciso dei costumi di quei giorni.
Cavalieri mondani, donne infedeli, sposi gelosi e spose frivole, monaci
scaltri e suore lussuriose si susseguono davanti ai nostri occhi in una
ridda variopinta. Tutta la loro vita è imperniata sul sesso. Ma anche i
particolari più scabrosi sono descritti con molto garbo, e ci appaiono
con quella grazia che, nel popolo francese, è ereditaria.
Nel XVI secolo appaiono due dei maggiori rappresentanti di ogni genere
di letteratura erotica-umoristica.
Il primo posto spetta indubbiamente a Francois Rabelais (14831553). Per
quanto riguarda il contenuto, il suo romanzo Gargantua et Pantagruel è
senza dubbio il più significativo, poiché non è solo un romanzo
grottescoumoristico. Davanti ai nostri occhi si svolge un quadro
satirico dell’epoca, cui nessun altro può venir paragonato per
grandiosità. Egli non si propone mai di creare un’atmosfera di
sensualità, di eccitare la fantasia del lettore. Usa sempre senza
alcuno scrupolo la parola indecente della lingua per la cosa indecente
che vuole descrivere, sguazza addirittura nel vocabolario della
volgarità, molti capitoli sia del Gargantua che del Pantagruel sono
veri e propri vocabolari pornografici e non potremmo trovarne di più
ricchi nella letteratura francese; ma egli non se ne compiace; si serve
di determinate espressioni solo per caratterizzare nel modo più
realistico possibile uomini rozzi e rozze situazioni.
Nella prefazione in poesia al Gargantua, Rabelais espone con chiarezza
lo scopo del suo romanzo :
Scritti nello spirito di Rabelais, per quanto non possono essere
considerati una vera e propria opera letteraria, sono gli Erreurs
popolaires et propos vulgaires touchant la médicine et le régime de
Laurent Joubert 1578.
Per molto tempo fu considerato imitatore di Rabelais anche Guillaume
Bouchet che visse fra il 1513 e il 1593 e morì a Poitiers, libraio.
Egli scrisse circa nel 1520 le Serées, cinquanta farse galanti che nel
loro stile espressivo fanno l’effetto di aneddoti ben raccontati. Vi si
legge la storia della signora che si siede sul vaso da notte e viene
punta da un granchio nelle sue parti nobili; la storia del famoso
sognatore che sogna oro, ma si trova in mano qualcosa di meno
appetitoso, che proviene dal marito tradito che è in difficoltà perché
non può aprire la porta del gabinetto, dato che sua moglie vi sta
tenendo un’importante conversazione col suo damerino.
Nelle opere di Guillaume Bouchet e Beroalde de Verville l’aneddoto
raggiunge la forma perfetta. Spedito e pungente come una freccia,
condensato in poche parole, tende solo all’effetto finale, evitando
ogni particolare inutile; così nelle Serées e nel Moyen de parvenir,
l’antico fabliau francese ci appare come un moderno racconto francese.
» Ne daremo alcuni esempi.
Una donna incinta sente che è arrivato il momento del parto. La
levatrice la prende e la fa sdraiare sul Ietto, ma la donna grida : «
No, non sul letto, è proprio là che mi sono messa nei guai! »
Si parlava della straordinaria agilità delle dita degli zigani che si
esibivano sui mercati, ed un uomo raccontò che essi prendevano una
pietra nel pugno chiuso e facevano sì che tutti potessero vederla, ed
erano così abili nel farla sparire che nessuno sapeva se la tenevano
ancora in mano oppure no. Sua moglie che non era stata attenta, dice
ingenuamente : « Bene, ma non può essere così diffìcile. Io so con
precisione se è dentro o fuori ».
Una coppia di giovani sposi è a letto la prima notte di matrimonio, e
l’uomo loda la sua donna poiché per tutto il periodo del fidanzamento
non gli ha permesso di soddisfare i suoi desideri. Allora lei replica:
« Sì, amico mio, sono stata ben attenta a non lasciarmi andare sebbene
tu mi piacessi molto, poiché avevo avuto anche troppe volte a che fare
con questo genere di cose ».
Anche Desperiers, cameriere particolare, scrivano e paggio di
Margherita di Valois scrisse farse (1557).
Molto più vivo e interessante è il maestro della facezia, Francois
Beroalde de Verville (15581612). Nato e cresciuto protestante, egli,
dopo la morte del padre, si convertì al cattolicesimo e a 35 anni
divenne canonico di SaintGatien de Tours, poiché la chiesa seppe
apprezzare la sua eccezionale erudizione e la sua genialità. Beroalde
pubblicò una quantità di romanzi, fra cui anche una Pucelle d’Orléans,
in cui precorre Voltaire. Tuttavia tutte queste opere non avrebbero
salvato il suo nome dall’oblio, se egli non avesse avuto la geniale
idea di redigere una raccolta di aneddoti piccanti, pervenutaci col
titolo di Moyen de parvenir. Questa apparve verso il 1610, senza il
nome dell’autore e senza il luogo di stampa. L’influenza di Beroalde è
sensibile ancor oggi e molte delle sue facezie si ritrovano nelle farse
e negli aneddoti moderni.
GERMANIA
A partire dalla metà del XIII secolo si trovano in Germania farse in
versi (Mären) che risalgono in parte ai Fabliaux francesi, e in parte fanno
tesoro del materiale leggendario orientale. Nel XIV secolo la loro
produzione si intensifica, nel XV divengono più grossolane e passano
alla prosa. Possediamo centonove manoscritti di queste raccolte di
facezie, che non risplendono certo per originalità. Il loro contenuto è
spesso antichissimo, spesso prendono a prestito la trama da noti
scrittori italiani, da omelie, ecc.; più tardi poi gli editori si
sabotarono l’un l’altro. Lo scopo di queste storielle era di far
passare il tempo durante il viaggio, di ricreare l’ospite a tavola o di
far trascorrere ore oziose. La scarsa originalità di questi libri si
spiega anche con il fatto che il giro degli argomenti era sempre lo
stesso: frizzi fra artigiani, arguzia di contadini e malignità di
mugnai, audaci tiri di ciarlatani girovaghi e inoltre scene di amanti e
ogni genere di rapporti coniugali, beffe sui preti e monaci immorali,
donne infedeli. Tale fu per secoli il contenuto di queste raccolte.
In Germania il primo libro di facezie fu opera di Augustin Tünger.
Contiene cinquantaquattro facezie latine ed è dedicato al conte
Eberhard von Württemberg. E poiché questi non capiva il latino, Tünger
aggiunse anche una versione in tedesco.
In particolare citeremo le opere di Bebel (1506), Schimpf und Ernst
(Fra il serio e il faceto) di Pauli (1522), (Il rozzo) di Dedekind
(1549), Rollwagenbüchlein (Libretto da carrozza) di Wickram (1555),
Gartengesellschaft (La compagnia del giardino), di Frey (1557),
Nachtbuchlein (Il libretto da notte) di Schumann (1559), Wegkürzer
(l’accorciacammino) di Montanus (1557), Katzipori di Lindner (1558) e
il Wendunmuth (Il cambiaumore) di Kirchhoff (1568).
Al primo posto sta indubbiamente Heinrich Bebel con le sue facezie.
Sappiamo ben poco della sua vita. È certo che egli visse dal 1472
(circa) al 1518, e fu professore di teologia a Tubinga. A quel tempo
mandava piccoli doni agli amici che si trovavano ai bagni e Bebel, che
non sapeva che cos’altro mandare in dono, nel 1506 scrisse i suoi
Facetiarum libri tres (I tre libri delle facezie) per il suo amico
Petrus Arelunensis. Fra il 1508 e il 1512 le sue facezie furono
pubblicate da Johann Grüninger a Strasburgo. Si distinguono per una
spoglia, quasi epigrammatica brevità. Bebel mette in rilievo di
proposito il carattere leggero, libero da tendenze moralistiche, delle
sue facezie. Egli scrisse in latino, poiché non si allontanò dalla
concezione umanistica, secondo cui solo il dotto, lo scienziato poteva
essere in grado di apprezzare lo spirito delle sue facezie. Certo non
dubitò mai che, a causa della lingua da lui adoperata, le frecciate
contenute nelle sue storie non avrebbero raggiunto l’effetto
desiderato, ma egualmente non potè assolutamente liberarsi dalla
pedante opinione preconcetta degli homines doctissimi e si servì di
espressioni tedesche, solo quando volle rappresentare dei tangheri o il
popolo ignorante in tutta la loro naturalezza.
Dal nostro punto di vista è una cosa deplorevole, poiché nelle facezie
di Bebel si trovano tutti gli argomenti che l’umorismo popolare di
un’epoca rozza usava per i suoi scopi satirici. Lo scrittore satirico
agita allegramente la sua frusta su tutte le follie, le ipocrisie e le
false moralità. Inoltre si trovano nella sua opera proprio le
espressioni calzanti, nude e crude, dello spirito popolare. La vita
amorosa di monaci corrotti e di donne adultere vi occupa un posto
importante e in particolar modo sono disegnati con gusto tutti i minimi
tratti del nobile clero, sì da formare nel loro insieme l’acuta
caratteristica di questi servi di Dio. I 500 brani messi insieme da
Bebel ebbero un influsso particolare sugli umoristi dei tempi
successivi, infatti è dimostrato che Hans Sachs e Lutero attinsero a
questa fonte.
Per dare un’idea più precisa di questo scrittore riportiamo brevemente
il contenuto di qualche sua facezia:
Un francescano entrò in un convento di suore e dopo aver loro
lungamente predicato, gli fu assegnato per la notte, in segno di
riconoscenza, un giaciglio nel dormitorio comune. Durante la notte egli
gridò diverse volte. — No, non voglio farlo! — Le suore gli chiedono
che cosa voglia dire. Ed egli risponde che era scesa dal cielo una voce
che gli consigliava di dormire con la più giovane di loro per generare
un vescovo. Le suore gli portarono allora la più giovane, ma questa da
principio si rifiuta. Le altre la biasimano: se fossero state al suo
posto, non si sarebbero rifiutate. Alla fine la giovane suora obbedì;
solo che dopo nove mesi partorì una bambina. Il monaco, informato di
quanto era accaduto, rispose che quello era il castigo del cielo,
poiché in un primo tempo la suora si era rifiutata.
Un minorità parla spesso di operazioni veneree. Quando gli viene
ricordato il suo voto, risponde: — Questi sono i tre voti che ho fatto:
povertà nel bagno, ubbidienza a tavola, castità davanti all’altare.
Un tizio entrò in un monastero e chiese ad alcuni novizi se
avessero delle donne. — No, — risposero quelli, — non ci è permesso
finché non siamo santi padri.
Ho sentito predicare un fratello, uno dell’Osservanza. Una volta,
mentre parlava severamente contro l’iracondia e contro il lusso che si
fa con gli abiti, concluse con le parole : « Le sgualdrine della nostra
città fan tanto vedere le cose fuori delle loro mutande e mettono in
mostra tante trine, e pettinano i loro riccioli in tal modo che credono
di essere delle regine e non sono che sgualdrine ».
Nel 1508, un anno dopo la pubblicazione del terzo volume delle facezie
di Bebel, Johann Adelphus Mulig, pubblicò la sua Margarita Facetiarum
ex variis scriptoribus col lecta, (La perla delle facezie,
raccolta da vari autori) presso Johann Grüninger a Strasburgo. Adelphus
l’aveva concepita come appendice delle facezie di Bebel. Le sue storie
sembrano quasi una serie di esempi che rispecchiano la vita e la
corruzione del clero. Degli 81 numeri della raccolta, non meno di 47
hanno per tema questo argomento, gli altri si riferiscono per lo più al
concubinato e all’immoralità degli ecclesiastici. Vi si narra di una
badessa che biasima la vita dissoluta di una delle sue suore e che
vuole coglierla in flagrante. Ma nella fretta afferra, invece della
cuffia, le mutande del proprio amante e se le mette in testa, dopo di
che la suora incriminata dice : — Qualis mater, talis fìlia (Tale la
madre, tale la figlia), — e la badessa non può aggiungere altro. O
l’episodio del prete, che sorpreso in atto di adulterio si traveste da
diavolo, e il marito tradito grida: — Vattene, diavolo, ma come
assomigli al nostro parroco!
Oltre a queste facezie, che mettono in viva luce la corruzione
del clero, ne esiste un numero, abbastanza consistente, che tratta nel
modo tradizionale della grande ignoranza di questa classe sociale.
Immoralità, ignoranza e avidità, questi erano i crimini combattuti
dagli umanisti alsaziani, accesi sostenitori di una riforma. Le altre
facezie servivano esclusivamente ad intrattenere e a divertire i
lettori, e sono una testimonianza della preferenza che quest’epoca
aveva per tutto ciò che è grossolano e sconcio. Molte di queste facezie
sembrano basarsi su esperienze vissute e la maggior parte risale ad una
tradizione orale.
Johannes Pauli (circa 14551530), considerato di origine ebraica e poi
divenuto monaco francescano, è uno dei migliori narratori burleschi del
XVI secolo. Nel 1522 pubblicò, presso l’editore di Bebel, il suo
Schimpf und Ernst (Fra il serio e il faceto), che aveva scritto nel
1519. I suoi « Seri e divertenti esempi, parabole e storie » (prima
693, poi 732), devono « servire al miglioramento degli uomini ». Ma di
questi uomini egli ne ha in mente soprattutto due tipi : « gli
ecclesiastici rinchiusi nei conventi » e « coloro che vivono nei
castelli e sulle montagne ». Tuttavia lo scopo di questi esempi non è
poi così moralista come vorrebbe far credere. Egli trae i suoi temi
dalle omelie e dalle raccolte di massime e anche da Poggio Fiorentino.
Sue caratteristiche essenziali sono una immaginativa drastica e
un’ingenua crudezza, il forte rilievo dell’elemento narrativo, e !a
tendenza a vedere il lato umoristico nei fatti della vita. Questo lo
differenzia dagli autori di prediche medioevali. Ma, nel suo desiderio
di moralizzare, egli si allontana molto dalla spensieratezza e
dall’allegria di Poggio, espressamente motteggiatore. Sebbene fosse un
ecclesiastico e avesse quindi le sue radici nel cattolicesimo, non fu
cieco davanti ai delitti del suo tempo, come dimostra il suo
insegnamento, sempre pervaso da tendenze moraleggianti.
Jorg Wickram col suo Rollwagenbuchlein (Libretto da carrozza), non
aveva altro scopo se non divertire i suoi lettori e far passare loro
piacevolmente il tempo, come indica anche il titolo : « un libro nuovo,
quale non fu mai concepito fino ad ora, che contiene facezie e storie
da raccontare sulle navi e in carrozza, come pure nelle case di piacere
e ai bagni, nei momenti di noia e per rallegrare i temperamenti
melanconici, e da dare da leggere e far ascoltare a tutti i tipi
giovani ed anziani senza scandalo, ecc. ». La prima edizione apparve
nel 1550 per i tipi di Egenolf di Francoforte, e fu ristampata
parecchie volte. Wickram non pretese affatto di fustigare i costumi con
la satira, come Bebel, o di edificare il popolo con aggiunte morali,
come Pauli e Brant. Perciò queste facezie sono prolisse, comode e
cordiali e scritte in modo da suscitare il riso. Ecco un esempio :
Storia di un monaco che tolse una spina dal piede di una ragazza.
« Un monaco scalzo andò alla questua, per raccogliere formaggio e uova.
C’era nel villaggio una vecchia e ricca contadina che aveva grande
stima di lui e che con lui era molto più generosa che con gli altri
frati. Un giorno egli tornò da lei per mendicare formaggio. E dopo che
lei gli ebbe dato un formaggio e le uova pasquali, lui le domandò : —
Comare, dov’è vostra figlia Grete, che non la vedo? — La madre rispose:
— Ahimè, è in camera sua, sdraiata sul letto e si sente male, perché le
è entrata una spina nel piede, che le si è tutto gonfiato. — Il monaco
disse: — Bisogna che la veda, forse la posso aiutare. — La madre
rispose: — Sì, caro Thilmann, vi preparo intanto una minestra. — Il
monaco andò dalla ragazza, le prese il piede con la spina, che faceva
un po’ soffrire la figliola. La madre pensava che il monaco cercasse di
estrarre la spina (e la ragazza intanto urlava) e gridava: — Lascialo
fare, bambina mia, è per il tuo bene. — Quando il monaco ebbe finito,
discese la scala, prese il suo sacco e fece per uscire. La madre disse:
— Mangia prima la minestra! — Il monaco rispose: — No, oggi è il mio
giorno di digiuno! — Naturalmente pensava che fosse meglio tagliare la
corda. Quando la madre vide la figlia, si accorse che il monaco si era
comportato ben diversamente da come aveva creduto; allora prese un
robusto bastone e attese finché il monaco non tornò dall’altra parte
del villaggio. E quando lo vide arrivare, prese il bastone, lo nascose
dietro la schiena, con l’altra mano prese un formaggio e gridò al
monaco: — Thilmann, venite qui, prendete ancora un formaggio! — Ma il
monaco notò l’inganno e disse: — No, comare, sarebbe troppo! Non è
costume dar due volte a una stessa porta. — Allora la contadina lo
minacciò col bastone ed esclamò : — Frate, sei stato fortunato a non
venire davanti alla mia porta, perché altrimenti ti avrei fatto
ingoiare la spina. — Il monaco trottò via e non si fece più vedere nel
villaggio a mendicare formaggio, poiché sapeva che la madre non avrebbe
dimenticato ciò che aveva fatto ».
Hans Wilhelm Kirchhoff, per il suo Wendunmuth (Il cambiaumore) si
ispirò molto a Bebel e ad altri predecessori. La sua raccolta fu
pubblicata per la prima volta nel 1563 e nella sua edizione definitiva
conteneva milleottocentoquaranta brani. A tutte le storie aggiunge una
facezia moralistica e anche nella prefazione, egli assicura che tutto
si svolge con la massima moralità, ma nel testo se ne trova ben poca.
Allo stesso modo Jakob Frey, autore della Gartengesellschaft (La
compagnia del giardino) sottolinea il carattere moralistico della sua
raccolta, pubblicata per la prima volta nel 1556. Le sue facezie
risalgono in gran parte a Boccaccio, Bebel e Poggio. Ma, come Montanus
nel suo Wegkurzer (L’accorciacammino), anch’egli sembra aver
dimenticato volentieri nel contesto della raccolta i suoi principi
morali.
Katzipori di Michael Lindner, contiene 126 brani di carattere piuttosto
erotico. I suoi racconti allegri e i suoi scherzi possono considerarsi
ottimi trattenimenti da bettola, raccolti per muovere al riso
un’allegra comitiva. Per la storia del costume i suoi scritti
costituiscono un interessante soggetto di studio e pare che Fischart
abbia in parte imitato il suo gergo comico e popolaresco.
Negli scritti del pedante Sebastian Brant la vena tutta particolare
della facezia sembra quasi estinta. Nelle sue favole egli persegue
esclusivamente lo scopo di contribuire al miglioramento dei costumi di
suo figlio Onofrio. Di conseguenza le sue storie portano tutte un
distico introduttivo di carattere didattico e sono abbellite da
un’aggiunta morale. Le fiabe non sono farina del suo sacco, ma sono
tratte da diversi autori. Di centocinquanta, trentacinque derivano dal
Liber facetiarum (Libro delle facezie) di Poggio. Sono state riportate
quasi interamente, senza alcuna modificazione, ma il loro scopo
principale non è divertire e sollecitare il riso, bensì offrire una
morale, poiché ovunque appare la figura del pedagogo con l’indice
levato, pronto a sputar sentenze.
La raccolta dell’ultimo umanista burlesco, Nicodemo Frischlin (apparsa
postuma nel 1600), non venne diffusa nel popolo, e rimase nei circoli
dotti.
Uno dei più famosi libri popolari del XV e del XVI secolo fu
indubbiamente Eulenspiegel. Colui che diede il titolo al libro deve
essere veramente esistito. Pare che fosse un vagabondo burlone che
faceva ridere la gente e che sbarcava così il lunario. Il primo
Eulenspiegel a noi noto fu pubblicato nel 1519. Per lo più i contadini
si fanno beffe dei cittadini, contrariamente a quanto avviene nei
racconti carnevaleschi, in cui i cittadini se la ridono alle spalle di
contadini tonti. Lappenberg cita centoquattro versioni del libro.
« Tutti, a sentirne il nome », dice molto giustamente Lappenberg, «
capiscono subito che si tratta di facezie e di tiri burloni ».
INGHILTERRA
L’Inghilterra possiede la prima raccolta di farse che servì da modello
per taluni fabliaux e farse del Medio Evo, cioè le Gesta Romanorum.
Queste non hanno avuto un solo autore, ma molti. La loro genesi risale
al III secolo. Il più antico manoscritto conservato è dell’anno 1342.
In questa raccolta è chiaro l’influsso eterogeneo della cultura
francese, della cultura e letteratura classica orientale e cristiana
nei loro più singolari reciproci influssi. Vi si ritrova la lascivia
dei fabliaux, il monotono declamare dei troubadours, la magnifica
dovizia orientale accanto ai personaggi storici dell’antichità. Tutti
questi eterogenei soggetti vennero rappezzati dal monaco che li
raccolse in una veste screziata e guarniti con frange moralistiche.
Più importanti di queste Gesta sono i Canterbury Tales del Boccaccio
inglese, Geoffrey Chaucer, la cui vita cadde nel periodo che va dal
1328 o 1340 al 1400. Per il loro piano generale Chaucer indubbiamente
prese per modello Boccaccio e il suo Decamerone. Una compagnia di 29
persone, uomini e donne, si trovano in un’osteria di TabardInn, per
intraprendere da qui un pellegrinaggio verso la tomba di San Tommaso
Becket, a Canterbury. Per ingannare il tempo viene deciso che ogni
partecipante sia andando che ritornando racconti due storie. A
colui che ha raccontato la storia migliore gli altri dovevano offrire
al ritorno un banchetto. Se Chaucer avesse attuato completamente questo
progetto, si sarebbero avute 120 storie. Ma il poeta ne ha realizzate
solo 24, delle quali due sono in prosa e alcune sono incompiute.
Promiscue come i personaggi sono anche le loro storie. « La scala della
narrazione va dall’affascinante fantasticare da favola, dall’eroismo e
dal pathos fino al crudo turpiloquio burlesco. La pruderie era a quel
tempo e lo fu ancora per molto, una cosa sconosciuta. Parlare
francamente anche là dove si trattava di rapporti sessuali, e di altre
cose naturali, rientrava nel carattere dell’epoca. » Misurato con
il metro del nostro tempo suscettibile Chaucer talvolta è assai osceno,
ma mai immorale. Lo si può chiamare appropriatamente rude, grossolano,
volgare, la buona creanza rimarrà spaventata, ma l’innocenza e la virtù
non hanno nulla da temere da lui, come non hanno nulla da temere dai
tiri birboni di Eulenspiegel.
LA
NOVELLA
Per la storia della novella del Rinascimento rinvio al grande studio di
Letterio Di Francia che ho inserito tra le opere complementari..
La creazione novellistica italiana rinascimentale è senz'altro unica al
mondo e non ha trovato paragone negli altri Stati europei né come
qualità né come quantità.
La Francia ha avuto grandi autori nei Fabliaux e grandi scrittori come
Rabelais e Beroaldo di Verville, ma le sue novelle si riducono a poche
centinaia. In Inghilterra sono passati alla storia solo i Racconti di
Canterbury del Chaucer e in Spagna in Germania la produzione
novellistica è stata trascurabile.